Carissime lettrici e carissimi lettori
cercate una donna. Ma, soprattutto, votatela! In due importanti regioni italiane, Lazio e Lombardia, con le città del potere politico e dell’industria, domani e lunedì le donne e gli uomini, le ragazze e i ragazzi dai diciotto anni in su, dovranno scegliere il/la presidente del territorio. In effetti un’aspirante (con l’apostrofo del femminile) presidente per ciascuna delle due regioni sopra nominate è in gara. Ma c’è da ricostruire anche tutto il consiglio regionale indipendentemente dal genere di chi siederà nella poltrona principale. Insomma, le donne saranno elette e, dato non poco significativo, le donne eleggeranno altre donne in modo da essere garanzia di una buona rappresentanza anche riguardo alle problematiche di genere. Già, ma non è per nulla questione da poco. Nelle ultime elezioni, quelle di settembre scorso, dalle quali è risultata la possibilità per una donna (che però ha scelto di essere chiamata e citata sempre e ovunque al maschile!) di salire per la prima volta nella storia repubblicana, alla carica della presidenza del Consiglio, di donne se ne sono viste poche. Purtroppo, proprio in questo primo governo diretto al femminile, il gender gap si è mostrato in tutta la sua fragilità ed evidenza. Infatti la presenza delle donne in Parlamento si è abbassata dal 35% (nel 2018) al 31%: «un calo che non si registrava da oltre venti anni – osservava, a governo appena insediato, Flaminia Saccà, professoressa di Sociologia dei fenomeni politici all’Università La Sapienza di Roma – Mentre l’Italia sembra destinata (il discorso è stato fatto appena dopo il 25 settembre scorso, n.d.r.) ad avere per la prima volta una donna (di destra) alla presidenza del Consiglio dalla XIV legislatura del 2001 con il 10,17% in leggera crescita sulla precedente, il progresso era stato evidente: 15,94% nella XV, 19,63 nella XVI, 30,11 nella XVII e 35 nella XVIII». Ma c’è ancora un altro dato che preoccupa e dovrebbe spingere oggi le elettrici delle due regioni in rinnovo ad andare a votare perché allora, a settembre, sono state proprio le donne le grandi assenti al voto: il 65,74% degli uomini e il 62,19% di donne», come spiegò Davide Del Monte di onData.«In quasi 9 comuni su 10 (87,18%) l’affluenza maschile è stata maggiore di quella femminile. Male Napoli, dove la percentuale di votanti è del 52% tra gli uomini e del 46% tra le donne. Tra le grandi città la peggiore è stata Catanzaro, con una differenza del 7,26% tra uomini e donne. C’è una minore propensione al voto da parte delle donne». Perciò quello di settembre fu un voto, come è stato scritto «essenzialmente fatto dagli uomini!».
Una maggiore presenza femminile nel mondo del lavoro e della politica dovrebbe almeno aiutare ad alzare esponenzialmente il numero delle donne presenti nei cosiddetti piani alti, nella sala dei comandi, in quei posti apicali che permettono la responsabilità delle decisioni. E invece non è sempre così.
Succede proprio nella Pubblica Amministrazione dove la presenza femminile è altissima, ma è quasi assente nei vertici. La Pubblica amministrazione è vero che è donna, ma non lo è la sua dirigenza: se infatti il personale è per il 58% di genere femminile, solo il 36% sono le dirigenti donne e ancor meno (il 27%) quelle che ricoprono l’incarico di direttore/direttrice generale.
A metà dello scorso mese la rivista Fortune Italia ha organizzato un dibattito molto interessante sul rapporto tra donne e Pubblica amministrazione, con l’obiettivo di capire come ovviare a quel gap così sbilanciato tra base e vertice della piramide. Secondo Patrizia Ravaioli, direttrice generale Formez e presidente dell’Associazione Donne leader in sanità «occorre garantire percorsi di carriera alle lavoratrici di sesso femminile, mettendole in condizione di superarele difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia». Ma se non cambiano il contesto culturale e la divisione casalinga dei compiti l’attuazione di una maggiore presenza delle donne dirigenti è molto più difficile. «Non di sola organizzazione si tratta – ha obiettato Daniela Carlà, dirigente di prima fascia presso il ministero del lavoro, promotrice di Noi Rete Donna e da tempo interessata alla problematica della presenza e carriera delle donne nella PA – C’è anche un tema di potere e di difficoltà per le donne ad accedervi. Perché se è vero che ai livelli dirigenziali più bassi si accede solitamente per concorso e quindi è più facile giocarsela alla pari con i colleghi, per i livelli più alti è necessario frequentare quella specie di zona grigia che fa da cerniera tra Pubblica amministrazione e politica, attività a cui la componente femminile è poco assuefatta.
L’importante – ha concluso Daniela Carlà – è partire dai risultati acquisiti, perché con le urgenze attuali non ci si può permettere di ricominciare sempre da zero». Dal convegno di metà gennaio si è evidenziata anche un’altra problematica riguardante le giovani generazioni, maschi e femmine. Perché se è vero che occorrerebbero più donne ai piani alti, sarebbe anche molto utile una maggior presenza maschile in quelli inferiori. L’insegnamento è praticamente femminile, invece, soprattutto nella scuola dell’infanzia e nella primaria, gioverebbe un’educazione equilibrata dei bambini che abbia la presenza di più voci e dia quindi più prestigio a un lavoro così importante per la società. «Rimane il fatto – è stato detto – che le donne non si mettono in gioco nel momento in cui si decidono le posizioni più avanzate di carriera anche perché i carichi familiari e di cura gravano ancora prevalentemente su di loro e l’organizzazione del lavoro, anche nella Pubblica Amministrazione, è ancora disegnata su tempi e orari molto maschili. Una impostazione che comincia a cambiare e che dovrà cambiare ancora più rapidamente per adeguarsi a una tendenza, quella della femminilizzazione del settore pubblico, che è già una realtà». Si è poi evidenziato il dato sulla partecipazione femminile ai concorsi pubblici: «Nell’ultimo anno, nelle selezioni gestite da Formez PA, le donne hanno rappresentato il 57,7% dei partecipanti e addirittura il 58,4% degli idonei».
Ma un’altra notizia, non poco negativa per noi donne, è quella apparsa su un quotidiano a inizio anno. Si evidenzia che una donna, a parità di presenza sul lavoro, rispetto a quanto guadagna il collega maschio, per ogni anno di attività è come se non fosse retribuita per un periodo corrispondente a un mese e mezzo. Per dirla praticamente: una donna, di ritorno dalle festività di fine anno, a conti fatti, si troverebbe a lavorare gratuitamente per un tempo compreso tra il 2 gennaio a oggi, l’11 febbraio! (fonte La Repubblica). Un altro pericolo poi aleggia sulla parte femminile del nostro Paese: lo schema del Nuovo codice degli appalti appena inviato dal governo potrebbe, infatti, penalizzare fortemente le donne. Con l’eliminazione del cosiddetto bollino rosa, le aziende si svincolano dall’opportunità di assunzione di personale femminile che permetteva, però, sgravi fiscali. «In realtà a parità di offerte il bollino rosa premia l’azienda con la certificazione di genere e non determina una burocrazia complicata – chiarisce la cofondatrice di Le Contemporanee Valeria Manieri, contro le osservazioni del ministro delle Infrastrutture – . non è una questione di essere femministe o no, c’è in ballo la crescita equa del Paese». «Anche negli appalti pubblici – si legge su un quotidiano – il capitale umano femminile, sebbene presente ancora in quantità minore in settori come le costruzioni, l’energia, i trasporti, il digitale, è una risorsa imprescindibile per la crescita del Paese e per le sue imprese. Il percorso non è semplice, ma decisivo. Se la domanda pubblica chiede soglie minime cui le imprese non riescono ad adeguarsi rapidamente, pur di non rallentare l’iter del PNRR, si possono invocare clausole di urgenza per alleggerire a monte obblighi complessi da ottemperare in situazioni complesse. È tutto già previsto nelle linee guida propedeutiche alla norma sulla certificazione. Potrebbe essere applicato anche nel nuovo codice degli appalti. Senza perdere di vista l’orizzonte di un Paese che valorizzi, finalmente, la metà della sua popolazione».
Ora una storia bella. Una vicenda umana, dolce e profonda che ci racconta di un amore sconfinato, quello per la lettura. Il piacere di leggere è stato il grande amore di tutta una vita di una signora che ha abbandonato i banchi di scuola a nove anni, non ottenendo neppure la licenza delle elementari, ma mantenendo quell’arte di decifrare le lettere di cui si è nutrita grazie alle mille pagine dei suoi “compagni di carta”. La signora Gina Lanzilotta, oggi 97 anni suonati, tutti vissuti nel suo piccolo borgo calabrese di Cervicati, è diventata da quest’estate, la testimonial di una casa editrice, la Rubbettino, ugualmente calabrese. La foto pubblicizzata ritrae la signora seduta raccolta, sui gradini di fronte alla porta di casa, con i capelli bianchissimi dai riflessi d’argento, china su un libro, tra i tanti amati, e con in mano una lente che l’aiuta a leggere contro l’usura della vista per il passare degli anni. Tutto è accaduto per caso: la fotografia scattata dalla nipote Bianca che insegnando Lettere ha realizzato il sogno di “Zia Gina”, come la chiama, un sogno impedito a realizzarsi dalla guerra e dalle difficoltà della vita. Poi l’invio casuale a uno degli scrittori della casa editrice e l’idea improvvisa per sostenere una frase del grande scrittore Luis Sepùlveda: «sapeva leggere. Possedeva l’antidoto contro il terribile veleno della vecchiaia» tratta dal libro Il vecchio che leggeva romanzi d’amore. Così la signora Gina ci ha fatto conoscere il suo sogno che si è fatta viatico, una guida spirituale di cultura per tutti e tutte noi. Ci ha insegnato, la signora Lanzilotta, così vicina a compiere il secolo di vita, a desiderare e fare proprio quell’inutile che riempie l’esistenza di ciascuno e ciascuna di noi, adoperato per interpretare l’utile della vita, come dicevamo e scrivevamo qui, nell’editoriale della settimana scorsa.
Per la poesia non potevamo che parlare di donne e di donne nel loro rapporto e duplicazione tra lavoro e famiglia. Leggiamo insieme i versi di Maya Angelou addolorata dalla vita e voce di lotta. Poi una breve poesia dell’amatissima e delicata poeta Emily Dickinson che rende la pagina come ricamata di bellezza classica. Prima di chiudere però un pensiero lo rivolgiamo alle vittime del terremoto che ha avuto come epicentro delle ripetute scosse di lunedì notte la Turchia e che ha visto la Siria ancora una volta vittima, di nuovo sofferente, dopo una guerra, ferita ancora non rimarginata. Troviamo bellezza nella tragedia: quella del bambino nato tra le macerie, una vita sgorgata dalla morte della madre che non conoscerà, ma da cui ha avuto l’avvio all’esistenza. E del bambino di nove anni salvato, tra i tanti, ma dopo quasi ottanta ore di assenza, sotto le macerie. Quasi un miracolo. Dalla bellezza della vita che lotta per esserci alla bellezza delle poesie proposte oggi.
Lavoro di donna
Ho dei bambini cui badare
vestiti da rattoppare
pavimenti da lavare
cibo da comprare
poi, il pollo da friggere
il bambino da asciugare
un reggimento da sfamare
il giardino da curare
ho camicie da stirare
i bimbetti da vestire
la canna da tagliare
e questa baracca da ripulire
dare un’occhiata agli ammalati
e raccogliere cotone.
Risplendi su di me, sole
bagnami, pioggia
posatevi dolcemente, gocce di rugiada
e rinfrescate ancora questa fronte.
Tempesta, spazzami via di qui
con una raffica di vento
lasciami fluttuare nel cielo
affinché possa riposare.
Cadete morbidi, fiocchi di neve
copritemi di bianco
freddi baci ghiacciati
lasciatemi riposare questa notte
Sole, pioggia, curva del cielo
montagne, oceani, foglie e pietre
bagliori di stelle, barlume di luna:
siete tutto quello che io posso dire mio.
(Maya Angelou)
Mi lego il cappello
Mi lego il cappello, ripiego lo scialle,
le piccole incombenze della vita svolgo –
puntualmente – come se la più insignificante
fosse per me – infinita –
(Emily Dickinson)
Buona lettura a tutte e a tutti.
Iniziamo la rassegna degli articoli di questo numero con le parole della Nobel per la pace Jane Addams, che suonano profetiche per i tempi che stiamo attraversando: «Per Pace non si intende semplicemente assenza di guerra, ma il dispiegamento di tutta una serie di processi costruttivi e vitali che si rivolgono alla realizzazione di uno sviluppo comune […] Essa assomiglia piuttosto a una marea portatrice di sentimenti morali che sta emergendo sempre di più e che piano piano inghiottirà tutta la superbia della conquista e renderà la guerra impossibile».
Purtroppo si parla ancora di guerra in questi giorni che si avvicinano all’anniversario del 24 febbraio e la si definisce ibrida. Ne L’intelligenza non è artificiale. L’ultimo numero di Limes 2022 scopriremo molto di questo strano conflitto e della corsa delle superpotenze a diventare le leader dell’Ai. Ancora di guerra e di Guernica ma solo per un discorso molto più articolato su Picasso e i suoi rapporti con le donne si racconta in Quando l’arte la fa il mostro.
Quando si parla di guerra si parla di stupri e violenza sui corpi delle donne. Una storia poco conosciuta ma straziante è quella della nostra Ester Rizzo nell’articolo Le Mongolate. Si discute sul tema della censura nell’articolo Censura sì e censura no. Nella scuola è pregiudizio. Passiamo alle nostre serie: la seconda puntata de La targa che non c’è Via XX settembre e il cimitero delle Vestali è dedicata alle sacerdotesse che furono spesso innocenti capri espiatori di una società misogina.
Nella Sezione Juvenilia Misteri ed emancipazione: storie di donne che non si arresero ci proporrà i due lavori che hanno vinto la Vedizione del concorso Sulle vie della parità delle Marche. Per la sezione Fotografia La magica arte della fotografia e Vivian Maier ci racconterà la storia della scoperta di un talento femminile avvenuta quasi per caso.
Alleggeriamo l’atmosfera e per Cuoche e chef La pizza è donna. Parte prima facciamoci portare nel mondo, tutto al femminile, della pietanza per cui siamo conosciute/i ovunque. Ed ecco i nostri consigli di lettura: Niente donne perfette per favore. Lettere di profonda superficialità: un libro, a cura di Eugenio Trabucchi, che raccoglie e cataloga alcune delle lettere più interessanti di Jane Austen, recensito dall’autrice di Niente donne perfette per favore e L’eremo non è un guscio di lumaca di Adriana Zarri, riletto a dieci anni di distanza, occasione per meditare sulla scelta, sempre più diffusa tra gli italiani ma soprattutto tra le italiane, del silenzio e della fedeltà a sé stessi, lontano dal rumore del mondo.
Un bel convegno ricorda Rachel Carson, madre dell’ambientalismo è l’occasione per rileggere Primavera silenziosa, un testo fondamentale per l’ecologismo, scritto da questa grande donna a lungo osteggiata in vita. La ricorrenza di questa settimana è quella di una nascita. Se ne parla nell’articolo La brillante carriera di Maria Labia, soprano.
Chiudiamo, come sempre, con una ricetta vegana, semplice e appetitosa, con cui auguriamo a tutte e tutti buon appetito: La cucina vegana. Risotto alla zucca, cremosissimo.
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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.