Ho riletto il libro Un eremo non è un guscio di lumaca di Adriana Zarri a distanza di dieci anni dalla prima volta. L’occasione è stata aver da poco scoperto Gordon Hempton, ecografo dei suoni, che vuole salvare il mondo con il silenzio. E anche la notizia che sono circa 200 gli/le italiane che vivono da eremite, fuori dai rumori del mondo, in prevalenza donne e laiche.
Avevo già letto di donne eremite, alla ricerca di una spiritualità nuova, come Antonella Lumini che ha lavorato per anni presso la Biblioteca Nazionale di Firenze (Io, Antonella, eremita in città, Einaudi, 2016) o come Sorella Daniela Maria, responsabile della Comunità di Sorelle di Campello a Spoleto.
Il silenzio e le donne, dunque, la solitudine come scelta di vita alternativa al convento inteso nella sua accezione tradizionale. Mariangela Meraviglia nella sua biografia su Adriana Zarri (Mariangela Maraviglia, Semplicemente una che vive. Vita e opere di Adriana Zarri, Il Mulino, Bologna, 2020) ci ricorda che Adriana Zarri fu la prima teologa ed eremita d’Italia. E dunque la prima di una lunga fila di donne che anche oggi cercano sé stesse fuori dal mondo. Avevo scoperto Adriana Zarri attraverso la lettura delle sue “Parabole” che uscivano sul quotidiano il Manifesto. Rossana Rossanda l’aveva convinta a collaborare al quotidiano comunista e l’ultima parabola che scrisse fu il saluto d’addio ad Alex Langer (militante politico di Lotta Continua e insieme giornalista cattolico) e all’albicocco al quale era finito impiccato. «L’albicocco è un albero fruttifero» disse, «che parla di vita e non di morte». Langer nello scegliere quella pianta voleva alludere a un al di là che attende tutti, credenti o non credenti. Ecco chi era Adriana Zarri, una credente libera e anticonformista.
Il libro sul quale stiamo riflettendo, Un eremo non è un guscio di lumaca (Adriana Zarri, Einaudi, 2011) si apre con uno scritto di Rossana Rossanda Le mie ore con Adriana nel quale due donne libere si incontrano, determinate e fiere ma rispettose della propria scelta di vita. Diciamo subito che la Zarri, eremita ma anche teologa e scrittrice, fu quasi dimenticata dalla Chiesa ufficiale, in quanto ritenuta piuttosto scomoda e irriverente verso la nomenclatura ecclesiastica. Sicuramente fu più amata dal mondo laico, per il suo impegno nella battaglia per i diritti civili, nella fattispecie per il divorzio e l’aborto. Andò a cercarla anche Pannella. Con tutti mantenne un atteggiamento deciso e responsabile. «Ma sia ben chiaro che il Molinasso non è un’isola: è una cascina radicata in questa asfissiante Italia democristiana, clericale e anticlericale. È un chiodo piantato in questa chiesa che parla tanto dell’uomo e non sa ancora essere sempre umana.» (pag. 30). Certo che queste parole non potevano piacere alla chiesa di papa Wojtyla né al suo successore Ratzinger, ma neanche al mondo cattolico tradizionale.
Adriana Zarri era nata a San Lazzaro di Savena vicino a Bologna nel 1919. «Io sono nata sull’acqua: in un vecchio mulino dove il canale passava sotto la casa, e nel suo ventre, ruotavano le grosse pale di rovere che azionavano le macine di pietra.» (pag. 205). Aveva ricevuto una educazione religiosa dalla famiglia ed era stata anche responsabile nazionale dell’Azione cattolica femminile. Ma dopo una vita nel mondo, negli anni settanta aveva scelto la vita monastica ed eremitica, prima ad Albiano d’Ivrea (dal 1970 al 1975) poi nella più solitaria Cascina Molinasso (Torino). Nel 1984 si era trasferita nell’eremo di Ca’ Sassino (Grotte di Strambino, Torino), un luogo meno isolato dei precedenti, dopo aver subito un’aggressione che poteva finir male. La scelta di vita appartata non era un isolamento dal mondo. Partecipò al dissenso cattolico e alla nascente teologia femminista. Ebbe qualche riconoscimento anche dal mondo cattolico, per tutti Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, ma sicuramente più gratificazioni dal mondo laico. Partecipò a un’esperienza di confronti tra credenti e non credenti nell’eremo camaldolese di Monte Giove (Pesaro-Urbino, 1989-2000) con personaggi autorevoli della sinistra italiana come Pietro Ingrao e Mario Tronti. Anche la sua casa, l’eremo di Ca’ Sassino, divenne luogo di incontri e un punto di riferimento per i cattolici del dissenso. Partecipò anche alla trasmissione televisiva Samarcanda con Michele Santoro. Scrisse articoli, libri tra cui Dodici lune, Milano, 1989. Morì nel suo eremo, aveva novantuno anni. «Il libro sul monachesimo, che è stato pubblicato di recente, afferma che l’eremita non deve leggere i giornali. Non credeteci. È soprattutto l’eremita che deve leggerli, per non estraniarsi dalle vicende, dai drammi, dai problemi di un mondo col quale ha scarsi contatti… se è una scelta permanente rischia davvero di fare dell’eremo un guscio, un rifugio, un’isola, tagliata fuori dal mondo» (p. 29). È questo diciamo il suo programma politico, un progetto per allora veramente innovativo.
Il libro racconta la gioia di vivere che vuol dire ristrutturare un vecchio cascinale, cercare la bellezza nell’armonia della natura, ritirarsi a vivere in una stanza quando l’inverno imbianca la collina. Il suo silenzio contemplativo è pieno di parole e di persone. La foto sulla copertina del libro la ritrae insieme al suo gatto Malestro. Non è certo la rappresentazione di una donna che vive tristemente la sua scelta di solitudine! Adriana Zarri amava la vita. Il libro è pieno di buon cibo consumato da sola o in compagnia, di profumi della terra, di preghiere raccolte dal vento. Volle per la sua morte lasciare queste indicazioni. «Non mi vestite di nero: è triste, funebre. Non mi vestite di bianco: è superbo e retorico. Vestitemi a fiori turchini e rossi con ali di uccello». (pag. 197). La sua vita non è stato un navigare semplice, spesso ha dovuto farlo controcorrente. Ci ricorda che la fedeltà a sé stessi può rendere felici.

Adriana Zarri
Un eremo non è un guscio di lumaca
Einaudi Editore, Torino 2011
pp. 280
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Articolo di Luciana Marinari

Insegnante di scuola primaria per quasi quarant’anni, ha conseguito nel 2010 il Master Insegnare italiano agli stranieri presso la facoltà di Lingue di Urbino. Studiosa del pensiero della differenza, ha frequentato seminari di lettura e scrittura con Gabriella Fiori, studiosa di Simone Weil. Relatrice a incontri culturali sul tema della differenza, ha pubblicato articoli su riviste specializzate. Insegna italiano per stranieri presso il comune di Senigallia (AN) dove risiede.