Editoriale. Un messaggio provocatorio

Carissime lettrici e carissimi lettori,

dobbiamo farlo. Si dovrebbero guardare con più attenzione e renderle note, quando ci sono. Sono le cosiddette belle notizie che sui media, giornali, televisioni, notizie on line, vengono trattate raramente e, invece, dovrebbero essere considerate e inserite con maggiore frequenza nella cronaca dei nostri giorni.

Abbiamo inesorabile bisogno, grande e urgentissimo, di pace. Lo abbiamo scritto già altre volte. Non è retorica, ma esigenza di noi esseri viventi. Spesso lettrici e lettori me lo chiedono, per buttare via l’arsura della paura del male umano e dei fenomeni naturali, spesso purtroppo legati, attraverso le cause del loro avverarsi, alle nostre stesse mancanze e abusi. C’è un planetario costante e forte bisogno di pace come di bellezza e di atti buoni. Contornati/e da paure di guerra, compresa la minaccia nucleare, da personali incertezze economiche, da un virus troppo piccolo che è capace, però, di uccidere in larga scala, senza nessun confine. Dal terrore toccato con gli occhi, ma anche con le mani (nel ricordo di nostre tragedie passate, pronte a riproporsi), delle immagini della devastazione portata, in pochi attimi, da un terremoto che in fondo non è così lontano da noi. Al confronto con le guerre, gli assassinii, le realtà politiche che le causano, esigiamo di incontrare le notizie dei progressi della ricerca, le novità dell’arte, della musica e della letteratura. Ne uscirebbe, e con maggiore frequenza, uno spaccato creativo e completo della società o di quella parte della società che ci viene offerta. Se non altro consola.

Ecco perché immagini e notizie positive che in questi giorni ci sono arrivate dalle zone terremotate della Turchia e della Siria dopo le forti scosse della notte tra il 5 e il 6 febbraio, ci hanno attratto e ci sono rimaste impresse. Per esempio: i tanti bambini e bambine ri-nati/e dalle viscere dei palazzi caduti a causa dello sconquasso delle scosse del sisma. O quell’immagine immensamente bella ripresa dalle telecamere di sorveglianza sul nido del reparto di maternità dell’ospedale di Ganziantep, nel sud della Turchia: ci offrono la vista del coraggioso gesto di un’infermiera che, anziché scappare, ha preferito proteggere, tenendola ferma con le mani, la culla di un neonato in terapia intensiva, a rischio di rovesciamento per la forte instabilità della struttura.

Chiaramente bello e importante per l’arte e la cultura il progetto di un murale che sorgerà a Melegnano, una cittadina lombarda a pochi chilometri da Lodi: raffigurerà le ventuno donne che hanno scritto, insieme ai numerosissimi colleghi (i maschi furono 535) la nostra Costituzione. Questa sproporzione di genere, della presenza femminile in politica, rimanda all’ultima tornata delle elezioni regionali in Lombardia e nel Lazio. I risultati hanno duplicato quelli delle ultime elezioni nazionali con una presenza molto bassa delle donne elette e elettrici. Davvero poveri i risultati per ciascuno dei due consigli regionali che vedono comunque un uomo al timone. In Lombardia sono state elette 20 donne su 78 (il 25,6%) e nessuna nelle province di Cremona, Lecco, e Sondrio. Un po’ migliori i risultati del Lazio, ma non certo ottimali: 21 donne su 51 (il 41%) con 7 donne a Roma (Fonte Danielaedintorni.com). Assenza di voci al femminile anche per il commento al voto: intere trasmissioni – come ha denunciato l’Usigrai, il sindacato dei giornalisti/e della Rai – protestano per l’assenza di una commentatrice durante trasmissioni molto viste (Porta a Porta e Tg2 flash). In video solo maschi!

Continuano poi i soprusi, gli abusi, le violenze verbali e fisiche contro il corpo delle donne, troppo spesso violato. Di violenza si tratta, infatti, quando un gruppo di ragazzini e ragazzine quindicenni aggrediscono in questo modo due dodicenni, quasi coetanee: «Non saluti, puttana?». È successo qualche giorno fa a Roma, nel quartiere Talenti, in una zona non centrale, ma certo non emarginata della capitale, una sorta di baby band fatta di otto bulli maschi e due femmine, altrettanto bulle, che hanno aggredito senza pietà e senza remore le vittime che avevano scelto. Le hanno picchiate, hanno spaccato un dente e rotto gli occhiali di una delle due ragazzine e fracassato il cellulare. Adesso nel quartiere hanno paura.

Orribile e osceno il comportamento maschilista, e soprattutto volgare, riportato in questi giorni dai media, del rozzo e volgare modo di esprimersi e conversare di un consigliere comunale del Salento che ha sparato insulti davvero poco edificanti verso Laura Manta, sindaca di Collepasso. È stato solo un modo estremamente ottuso di condurre il dialogo, per quanto serrato e duro, con una persona versando la propria mente solo con esempi e boutade sessuali (sul piacere fisico) e violenti (desiderio di schiaffeggiare qualcuno). Da manuale di psichiatria, francamente, diciamocelo! Voglio solo credere che una migliore educazione e una più vivace intelligenza e apertura mentale faccia in modo che i ragazzi (maschi) bandiscano per sempre un tale assurdo comportamento tra le possibilità di confronto con il prossimo, a qualsiasi genere appartenga.

Poi vi racconto della protesta di due donne, anzi due ragazze, che vogliono rompere proprio con gli schemi che imprigionano, soprattutto le giovani, colpite nel loro corpo e nel volere essere donne non calpestabili. Spinte (ma qui vi rientrano, purtroppo, anche i ragazzi) alla competizione sfrenata. Chiamate a parlare di sé e della propria generazione la studentessa Emma Ruzzon in un suo intervento all’Università di Padova e Martina Scavelli, 35 anni, arbitra di Volley in serie B. Emma Ruzzon ha denunciato davanti alla Rettrice e a rappresentanze della politica la triste abitudine di spingere i/le giovani a prestazioni fuori norma costringendo di fatto chi è fragile anche al suicidio. Martina invece è vittima di una situazione surreale (così l’ha definita lo psicanalista Paolo Crepet): è stata giudicata troppo grassa (!) per essere un’arbitra di Volley. Martina si è dimessa e ha detto di essersi sentita, durante i controlli di prassi, pesata come si fa con un animale da macello. Su un social rivolgendosi alla sua idolo, la pallavolista Egonu, ha fatto semplicemente il parallelismo: «Tu sei nera io sono grassa!». Una sfida e una provocazione in giusta e piena regola. Martina si è dimessa e lo ha fatto intenzionalmente nel giorno di San Valentino, per la festa degli innamorati «perché dobbiamo prima di tutto amarci, rispettare con amore noi stesse. Non sopporto più di essere misurata e pesata come si fa con le vacche – ha detto in un’intervista – Non voglio più essere messa all’angolo per qualche chilo in più. Lo sport dovrebbe unire, non emarginare».

E intanto proprio a San Valentino l’artista di strada Bansky ha disegnato e denunciato le brutture e storture del finto amore, del cosiddetto amore malato che invece è oggettivazione e sfrenato desiderio di possesso, disegnandolo sul muro di una casa di Morgante, cittadina balneare vicino Canterbury.

Decisamente bella, invece, la notizia dell’elezione di una donna a guidare la Cassazione (il voto finale è previsto per il 1 marzo prossimo) e il nome praticamente certo è quello di Margherita Cassano. Così è importante per una sorellanza vera l’alleanza delle giornaliste di un quotidiano con le donne afghane. Le pagine del quotidiano propongono, dal 12 febbraio fino all’8 marzo, con articoli tutti firmati dalle donne, testimonianze, analisi, e interviste «per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla cancellazione della donna che si consuma nell’Emirato islamico dei taleban» (L’Avvenire).

Proprio dal paese dei giardini, come una volta era chiamato l’Afghanistan, arriva un’altra bella notizia con protagonista una donna. Anzi una ragazzina. Sonita Alizadeh a soli dieci anni, a pochi giorni dalla morte del padre, era stata oggetto di scambio con la richiesta di un uomo, certo molto più grande di lei, di comprarla. La fortuna si mette però dalla sua parte e i parenti riescono a farla fuggire in Iran, a casa di sua sorella. Ma Sonita non ha documenti e non può andare neppure a scuola. Deve cominciare a lavorare. Pulisce i bagni e cerca conforto nella musica rap. Presto comincia a scrivere canzoni: parlano di guerra, del suo Paese, delle sue amiche che piano piano spariscono nel nulla. Delle bambine che vengono vendute, come spose, a uomini adulti, quando non addirittura anziani. Ragazzine che vengono usate per fabbricare figli e figlie, come in una catena di montaggio, come era stato pensato per lei, messa in vendita anche per pagare il matrimonio del fratello, come vogliono i suoi familiari. Sonita però ha talento, e una regista iraniana, Ghaem Maghami, decide di girare un documentario sulla giovanissima rapper.
Passano abbastanza tranquilli altri tre anni. Sonita ha sedici anni. Un giorno la mamma torna trionfante a Teheran con quella che doveva essere una bella notizia per Sonita e le annuncia che le ha trovato un marito, che vuole sposarla (venderla!) per prendere i 9000 dollari offerti dall’uomo e pagare così il matrimonio del fratello di Sonita. È un’occasione da non perdere: suo fratello maggiore si deve sposare, ma ha bisogno di soldi per la dote, quindi i soldi si possono ricavare dalla vendita di Sonita. Però lei ha capito come vuole vivere: libera! Si oppone, non vuole sposarsi. Chiede aiuto alla regista del documentario, che decide di pagare di tasca sua alla famiglia duemila dollari per il matrimonio del fratello e per la libertà di questa ragazzina che, così, ritrova la pace. 
Purtroppo non è una soluzione definitiva, ma in quei giorni di angoscia Sonita scrive una nuova canzone rap: figlie in vendita, e sempre Ghaem Maghami gira il video, in cui Sonita canta vestita da sposa con un codice a barre stampato in fronte. 
Il video diventa virale, tanto che un Ong americana la contatta per aiutarla. Le offrono un visto e una borsa di studio negli Stati Uniti. È ancora la fortuna a sorreggere Sonila e il suo talento. Sonita parte verso la sua vita, verso un college e una strada nuova da percorrere, nell’Utah. Solo una volta arrivata negli States contatta di nuovo la famiglia e racconta tutto quello che ha conquistato per la sua vita. La mamma e il fratello finiscono per approvare la sua scelta e appoggiarla vedendola contenta. Sonita è felice, studia all’università, è perfettamente integrata e continua non solo a cantare, ma soprattutto a sensibilizzare l’opinione pubblica sul dramma delle spose bambine. Però non le basta. Perché «Sonita vuole tornare a casa, nel Paese dove è nata. Vuole lottare per i diritti delle donne in Afghanistan. Sa bene che è pericoloso, ma sente che il suo paese ha bisogno di lei. Se è riuscita a far cambiare idea alla sua famiglia, sui matrimoni forzati, sulla musica, allora forse riuscirà a cambiare anche la mentalità degli altri. Perché Sonita con la forza della sua musica e delle sue parole vuole fare questo: cambiare il mondo!»

Prima della poesia, ma nello spazio dedicato alla poesia, insieme a voi tutte e tutti vorrei dare mille e sentiti auguri alla mia mamma che oggi compie ben 103 anni! É stata la prima donna che ho conosciuto, con la sua forza e dolcezza, segni inequivocabili di femminilità. Ho appreso da lei, e la ringrazio, la lezione femminile del saper guardare verso più mondi che ha vissuto e spesso è riuscita anche a cambiare. Auguri di cuore, a te!
Con una promessa: questa per impegnarci a parlare delle ultracentenarie, delle loro forze fisiche (mediche e scientifiche) e delle tante che hanno offerto a noi la loro gioia di vivere e costruire mondi, appunto. Da Rita Levi Montalcini alle tante ancora tra noi. Dunque auguri, auguri tanti di buoni giorni di vita!

Chiudiamo con una poesia che viene dall’Afghanistan, da una poeta che nasce sulla scia della poesia di Rabia Balkhi (X secolo) considerata la più grande del Paese. Di lei hanno scritto «La storia di Rabia è la storia di un grido nella gola strozzata delle donne del suo tempo e di altri tempi passati». Un Amore proibito quello della poeta che infrangeva il divieto di scrivere. La leggenda che avvolge questa antica sacerdotessa della parola narra come Rabia fu innamorata di uno schiavo. Il fratello le proibì tale amore tanto da ferirla con un rasoio e lasciarla morire dissanguata nel hammam, dove ella ricoprì le pareti dei suoi ultimi versi scritti con il sangue che le fluiva via dal corpo: «L’amore è un oceano talmente sconfinato. Che nessuno vi nuota senza esserne ingoiato», scriveva. «Rabia è sopravvissuta, nell’hammam con il sangue alle pareti. È lei la naturale antesignana di storie e parole atroci, spesso solo sussurrate e sigillate nei landai anonimi che il vento ogni tanto manda fin qui».

La libertà proibita attraversa come una spada affilata le pagine delle poete afgane più contemporanee. Una di loro, Nadia Anjuman, viene assassinata nel 2005. Durante il regime talebano ad Herat. Nel 1995 frequentava un circolo letterario mascherato da scuola di cucito: La Goodle Niddle School.  Finito il regime si iscrive all’Università, studia Lettere, pubblica una pregevole raccolta di poesia: Gul-e-dodi (Fiore di fumo). Si sposa. Il marito la uccide perché declama le sue poesie in pubblico. Aveva 25 anni.

Divento fumo nello spazio del mio credo
Lentamente mi avvolgo e mi anniento
Finché vengo allevata dalle mani dell’ansia
Nell’abisso del cuore i miei battiti aumentano
E quel battito intende conoscere la terra della fossa del tardi
Mi preparo al momento trascorso
A volte dall’amore arido e dal buon miraggio di una nuvola
Mi trasformo nel più arido deserto salato
Ma l’immaginazione dei miei occhi mi trasforma in acqua
Nel letto della morte per sete, mi trasformo in ruscello
Se arriva a me il capo di uno dei fili della speranza
Divento l’ordito nella sottile trama del cuore
Questo se n’è andato senza commiato, l’immaginazione mi porta via
Sono ancora io che mi riempio di ricordi
Anche la notte un po’ alla volta va per la sua strada e io
Divento il più triste canto d’addio.

Buona lettura a tutte e tutti.

Ecco gli articoli che leggeremo in questo numero. Irène Joliot-Curie, in Calendaria 2023, è la seconda donna a vincere il Nobel per la Chimica, condiviso con il marito con cui scelse, in piena reciprocità, di utilizzare il doppio cognome. Di cognome maritale si parlerà anche in Un esercizio di cittadinanza attiva per la parità, che affronta il tema del doppio cognome delle donne sposate e vedove sulle liste elettorali, residuo di quella società patriarcale di cui racconta l’autrice di Frasi misogine di uomini illustri. Continuano le nostre serie: Mama Samia. Presidente della Tanzania, l’articolo dedicato a figure femminili del mondo musulmano note a livello mondiale ma sconosciute al pubblico italiano, ci farà conoscere la «Presidente per caso» che molto sta facendo per dare una svolta in senso democratico al Paese; Andromaca. La guerra e la parola, seconda puntata di Grecità, approfondirà in modo originale una delle figure più amate dell’Iliade, mentre per la rubrica Le Storie Le Medici e la musica ci accompagnerà alla scoperta della cultura musicale di queste figure femminili e di quanto abbiano fatto per diffondere la musica italiana, anche in Stati stranieri. Si parla dell’origine delle discriminazioni di genere in Il peso dell’eredità greca. Nella sezione sport leggeremo I successi femminili del Festival olimpico della gioventù 2023. Per Juvenilia Attività didattiche e intitolazioni toponomastiche descriverà i lavori delle scuole di Aosta, Lodi e Melegnano che hanno ricevuto una menzione speciale negli ambiti Cittadinanza attiva e Percorsi e cammini, nella IX edizione del Concorso Sulle vie della parità. Nella sezione Tesi vaganti Piccole Donne di Louisa May Alcott. Dal romanzo agli adattamenti cinematografici ci presenterà un lavoro che approfondisce la storia della famiglia March variamente raccontata nel libro e nei film.
L’anniversario di questa settimana è quello della nascita di Anais Nin, scrittrice controversa, «la prima donna a scrivere in modo esplicito dell’erotismo femminile e ad affrontare temi che in precedenza nessuna mai aveva osato trattare», mentre il nostro consiglio di lettura è in Spirito libero e sangue caldo, l’articolo che recensisce il libro di Marianna A. Autobiografia di una donna rom, un racconto potente trovato per caso su una bancarella, una di quelle sorprese che premiano i cacciatori e le cacciatrici seriali di libri.
Si parla di cibo in La pizza è donna. Parte seconda per la serie Cuoche e chef e, per La Cucina vegana, in Farinata ligure di ceci, con cui chiudiamo la nostra rassegna, augurando a tutte e tutti buoni pranzi e buon appetito.
SM

***

Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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