L’argomento di questo intervento riguarda un aspetto particolare delle istituzioni museali nate dai patrimoni artistici di grandi casati del passato: le doti nuziali e le eredità femminili che nei secoli hanno ampliato e impreziosito il complesso dei beni di una dinastia e ora costituiscono parti significative di collezioni museali.
Le doti sono state sempre giudicate dei pilastri portanti nella costruzione delle alleanze matrimoniali. Ritenute determinanti per siglare un patto nuziale, erano considerate una dispersione del patrimonio ‒ necessaria, ma pur sempre una dispersione ‒ dalla famiglia della sposa, mentre dalla dinastia dello sposo erano valutate una fruttuosa risorsa economico-finanziaria in entrata tanto che, in caso di vedovanza della donna, la restituzione dei beni dotali poteva diventare oggetto di diatribe spesso lunghe e aspre.
Anche le eredità femminili potevano costituire un elemento di perdita di beni e patrimoni. Al contrario delle linee ereditarie maschili, che possiamo immaginare come rette continue nel tempo e molto spesso inscindibili dai contesti familiari e geografici, quelle femminili assomigliano a linee che si intersecano, si allargano, prendono altre strade, si ricongiungono, muovendosi in aree geografiche e in ambiti familiari diversi.
I casi presi in esame in questo contributo riguardano alcune donne illustri e potenti dei casati Medici e Farnese e alcune istituzioni museali di Firenze e Napoli, ma il fenomeno interessa la gran parte delle famiglie nobiliari, dei musei e delle gallerie pubbliche e private.
Margherita d’Austria ed Elisabetta Farnese.
Margherita d’Austria, figlia naturale dell’imperatore Carlo V, sposò Alessandro de’ Medici nel 1536 portando al casato fiorentino una ricca dote. Il matrimonio tra Alessandro e Margherita durò solo pochi mesi e all’inizio del 1537 la giovane donna rimase vedova. Dopo il sanguinoso epilogo, a lei andò l’eredità del marito che portò a lunghe e complesse controversie ereditarie con la dinastia toscana. Vista la giovane età Margherita fu destinata presto a nuove nozze con l’obiettivo di rafforzare, attraverso nuove alleanze familiari, il controllo imperiale sulla Penisola. La casata prescelta per siglare le nuove nozze fu quella Farnese che vantava un papa, Paolo III, al soglio pontificio. Al momento del matrimonio, al quale la sposa cercò di sottrarsi in vario modo manifestando tutta la sua riprovazione nei confronti del giovane marito Ottavio, Margherita portò un patrimonio ingente con vasti possedimenti e feudi nell’Appennino centrale tra Lazio e Abruzzo, denaro, gioie, oggetti d’arte e, in aggiunta a quanto già posseduto, l’eredità del marito Alessandro de’ Medici tra cui Palazzo e Villa Madama a Roma e la preziosa collezione di opere di glittica di Lorenzo il Magnifico a lungo contesa con Caterina de’ Medici regina di Francia. Margherita ebbe una particolare predilezione per queste particolari gemme i cui pezzi più significativi portò sempre con sé, sia quando soggiornò come Governatrice nelle Fiandre sia quando visse nei suoi possedimenti in Abruzzo. Era quindi di sua proprietà l’opera più importante della collezione, conosciuta oggi col nome di Tazza Farnese, un vero capolavoro di età ellenistica e il più grande vaso di vetro inciso giunto a noi dal mondo antico. Alla morte di Margherita d’Austria, avvenuta nel 1586, i suoi beni confluirono in quelli della famiglia Farnese, tra questi Villa Madama con tutti i suoi preziosi tesori, gli arredi, le suppellettili e importanti opere d’arte quali il Gruppo dei Tirannicidi lasciato, nelle disposizioni testamentarie, al marito Ottavio. I patrimoni della famiglia Farnese nel tempo passarono da Roma nel ducato di Parma e Piacenza e riuscirono a trasformare Parma in una delle tappe di maggior richiamo per i viaggiatori del Grand Tour.

La linea maschile del casato Farnese si estinse nel 1731 con la morte del duca Antonio. Sua legittima discendente divenne la nipote Elisabetta, duchessa di Parma e regina di Spagna, che vantava anche una linea di successione nel casato Medici. Non potendo salire al trono, la potente sovrana riuscì però a vedere riconosciuti i diritti dinastici del figlio Carlo di Borbone che nel 1731 divenne duca di Parma e Piacenza, in seguito ottenne la corona del regno di Napoli e di Sicilia e infine salì sul trono di Spagna. A lui Elisabetta Farnese destinò tutte le collezioni di famiglia sollecitandone il trasferimento a Napoli e il generoso lascito ha dato origine a un capitale artistico fondamentale per il nuovo regno borbonico e per il Museo archeologico di Napoli e quello di Capodimonte. Tra i beni trasferiti ci furono anche le statue antiche e le opere di glittica giunte attraverso l’eredità di Margherita d’Austria. Elisabetta Farnese raccomandò al figlio lo spostamento della collezione nella città partenopea spinta dal desiderio di preservarla e metterla al sicuro da mani predatorie, ritenendola da ogni punto di vista un bene di famiglia che tale doveva restare. L’allontanamento da Parma e Piacenza dell’ingente tesoro artistico spezzò per sempre il legame con quell’area geografica e fu motivo di biasimo e di rimpianto da parte di tutti quegli intellettuali e viaggiatori che nella collezione farnesiana trovavano occasioni di intensa ammirazione.
Doti nuziali che vanno e poi tornano: Caterina de’ Medici e Cristina di Lorena.
Il 2 settembre 1533 Caterina de’ Medici, promessa sposa di Enrico d’Orléans figlio del re Francesco I, partì per la Francia accompagnata da un maestoso corteo di carri pieni di abiti, broccati, suppellettili, gioielli, opere che costituivano il suo corredo e parte della dote. Pochi giorni dopo mosse alla volta di Marsiglia anche papa Clemente VII, che aveva fortemente voluto l’alleanza matrimoniale tra il casato Medici e la corona francese. Fu lui a donare a Francesco I la preziosa Cassetta Medici, un capolavoro di glittica rinascimentale a forma di sarcofago classico con incise scene della vita di Cristo, con cui la dinastia toscana voleva suggellare il patto nuziale. La preziosa cassetta restò in Francia fino al 1589, quando fece ritorno a Firenze con i beni della dote di Cristina di Lorena nipote di Caterina de’ Medici. Insieme alla teca medicea Cristina portò in dote 600.000 corone, i diritti sui beni di casa Medici e quelli sul ducato di Urbino che le provenivano dalla nonna Caterina, numerosi gioielli e pietre preziose, oggetti di gran pregio come la coppa di cristallo di rocca inciso, conosciuta come Coppa di Diana di Poitiers, e i cosiddetti arazzi delle Feste di Valois, che Caterina de’ Medici fece realizzare in ricordo delle feste e della magnificenza della corte francese. Questi splendori entrarono a pieno diritto nelle collezioni medicee e ora costituiscono parte dei patrimoni artistici conservati nei poli museali fiorentini degli Uffizi e di Palazzo Pitti.
Dote ed eredità di Vittoria Della Rovere.
Vittoria della Rovere nacque nel 1622, figlia unica di Claudia de’ Medici e Federico Ubaldo Della Rovere. Già orfana di padre a solo un anno di vita, fu subito al centro di una complessa controversia ereditaria tra lo Stato pontificio, la famiglia Della Rovere e la dinastia Medici.
La nonna materna Cristina di Lorena chiese la sua mano al nonno paterno, il duca Francesco Maria II Della Rovere, a nome dell’altro nipote, il granduca Ferdinando de’ Medici appena tredicenne e ancora sotto la tutela sua e della madre Maria Maddalena d’Austria. Per Cristina era un modo per riportare la nipotina nell’alveo della stirpe medicea, salvaguardandola nell’ingarbugliata situazione politico-ereditaria del ducato di Urbino che, senza un erede maschio, stava per finire nelle mani dello Stato della Chiesa. A rischio non erano solo i destini della bimba, ma anche i beni e le proprietà assegnate per legittima successione alla piccola Vittoria, un’eredità cospicua che poteva costituire la ricca dote futura della bambina. Per comprendere l’entità di questo patrimonio basti pensare che nel 1631, quando l’eredità fu spostata a Firenze dopo la morte dell’ultimo duca di Urbino, vennero utilizzati settanta carri per stipare il prezioso bagaglio costituito da argenti, statue, gioielli, armi e straordinarie opere d’arte che insigni maestri avevano creato per il ducato Della Rovere; era solo l’ultima tranche visto che, a quella data, molti altri beni del casato erano già stati trasferiti in Toscana, pur essendo il nonno paterno ancora in vita, nella preoccupazione che le mire papali potessero sottrarre la legittima eredità della nipotina. Fu in questo modo che dipinti di Piero della Francesca, Raffello, Tiziano entrarono a far parte delle già ragguardevoli collezioni medicee.
Lo spostamento della ricchissima dote determinò da un lato il depauperamento del patrimonio artistico di Urbino, dall’altro l’arricchimento delle collezioni medicee e in Vittoria la consapevolezza di essere l’ultima erede della dinastia Della Rovere e del suo retaggio culturale.

Anna Maria Luisa de’ Medici e il Patto di famiglia.
Nel 1717 Anna Maria Luisa de’ Medici, figlia di Cosimo III, tornò a Firenze dopo ventisei anni di vita trascorsi in Germania come moglie dell’Elettore Palatino Giovanni Guglielmo II di Wittelsbach-Neuburg. Era rimasta vedova un anno prima e le negoziazioni per la riconsegna di parte della sua dote e per il trasferimento del patrimonio personale, in un clima di generale sospetto, presero molto tempo. L’Elettrice portò con sé a Firenze una gran quantità di oggetti d’arte, le amate “galanterie gioiellate” (preziosi oggetti in oro con smalti, gioielli, perle e perle scaramazze), i gioielli, i dipinti, i mobili, le porcellane, le argenterie che in gran parte andarono a formare l’arredo delle sue stanze private in Palazzo Pitti. Ritornarono con lei, per esempio, la Madonna con Bambino di Carlo Dolci, un quadro appartenuto alla nonna paterna Vittoria Della Rovere che Cosimo III fece completare, prima di donarlo alla figlia, con una preziosa cornice in ebano, bronzo dorato e pietre dure realizzata dalla Galleria dei Lavori; rientrarono l’Acquasantiera con Annunciazione e angeli, anch’essa manifattura della Galleria dei Lavori, l’Inginocchiatoio in ebano, bronzo dorato e pietre dure e lo Stipo dell’Elettore Palatino, tutti e tre regali del Granduca Cosimo III alla figlia inviati nel 1707 alla reggia di Düsseldorf. Giunsero in Italia molte “galanterie gioiellate” e i suoi gioielli, gran parte dei quali formavano la decorazione del suo abito da sposa, mentre altri le erano stati regalati dal padre, dal marito o erano stati da lei stessa commissionati.
Alla morte del fratello Gian Gastone, l’ultimo granduca Medici, Anna Maria Luisa ricevette in eredità la straordinaria collezione dei gioielli della corona che costituivano una significativa e importante riserva aurea per lo Stato toscano. Ad essa volle unire le sue gioie personali e, ritenendole un patrimonio fondamentale, le vincolò, al pari di statue e dipinti, con il Patto di Famiglia al quale l’Elettrice Palatina dedicò tutta se stessa a partire dagli anni Trenta del XVIII secolo.
In realtà subito dopo la sua morte cominciò il trafugamento dei gioielli da parte delle persone di fiducia del successore al Granducato di Toscana Francesco Stefano di Lorena incaricate di stilare gli inventari dei beni dell’Elettrice. Molte gioie furono smontate, trasformate o fuse e di loro non si ebbe più traccia; altre vennero portate a Vienna come il pendente a forma di gondola, quello a forma di tritone o la Borraccia di perla, costituita da una perla scaramazza di 2 cm di diametro svuotata e montata in forme di borraccia che, attaccata alla cintura, doveva con ogni probabilità contenere essenze profumate; furono trasferite a Vienna anche alcune “galanterie gioiellate” come la Culla con bambino, un regalo fattole dal marito come augurio per il tanto sospirato figlio che non nacque mai, e l’Arrotino; fu sottratto da Firenze anche un soffietto da camino in oro, smalto, seta e pelle che la nobildonna regalò al coniuge e al quale era stata sempre molto affezionata. Dopo la fine del primo conflitto mondiale queste gemme furono oggetto di trattative nella Commissione di pace e tornarono nelle collezioni pubbliche fiorentine in base al trattato di Versailles, riunendosi alle altre collezioni medicee.
Anna Maria Luisa de’ Medici aveva un’altra passione, quella per la mobilia in argento che aveva cominciato ad apprezzare in Germania. Molti di quegli arredi tornarono con lei a Firenze e furono collocati le sue stanze private in Palazzo Pitti secondo un gusto che il mondo fiorentino giudicò più sfarzoso ed eccentrico che bello. Di questa mobilia, non vincolata dal Patto di famiglia, purtroppo non sono giunti esemplari.
La dinastia toscana era destinata a concludersi con Anna Maria Luisa de’ Medici, né lei né i suoi fratelli avevano avuto infatti eredi maschi; il tentativo paterno di legittimare la sua successione al trono di Toscana si scontrò, infrangendosi presto, contro i piani politici delle grandi potenze europee.
Anna Maria Luisa de’ Medici si dedicò, a partire dagli anni Trenta del Settecento, a tutelare la memoria e l’immenso patrimonio della sua famiglia. Si trovò, sul finire della vita, a essere responsabile dell’intero complesso dei beni mobili e immobili dei suoi antenati e delle sue antenate, cui aggiunse quasi tutte le sue ricchezze personali; senza però nessuno a cui tramandare un così grande ed eccezionale patrimonio, l’Elettrice Palatina capì che su quei tesori incombeva la prospettiva della dispersione e della distruzione. Forse le tornò in mente la storia dei beni della dinastia Della Rovere, trasferiti a Firenze da Urbino al seguito della nonna materna Vittoria.
L’Elettrice Palatina, «Principessa di gran saviezza», seppe però guardare lontano. Pur indicando nel testamento il casato di Asburgo-Lorena come erede universale, restrinse con il Patto di famiglia, in particolar modo con l’Articolo III, la loro piena disponibilità. Fu lucida l’accortezza con cui Anna Maria Luisa giunse alla protezione del patrimonio dinastico. Il Patto di famiglia fu la «sintesi perfettamente efficace di orgoglio dinastico, senso della storia, consapevolezza della preziosa unicità di un contesto monumentale e culturale profondamente stratificato e indivisibile, e di acuta capacità di anticipare e condizionare il corso futuro degli eventi», come ha scritto Stefano Casciu nel catalogo della mostra su Anna Maria Luisa de’ Medici organizzata a Firenze nel 2007.
Se Elisabetta Farnese, l’ultima della stirpe, aveva trovato nel figlio Carlo di Borbone l’erede a cui destinare le collezioni di famiglia per far proseguire i fasti e celebrare il suo casato, Anna Maria Luisa de’ Medici non ebbe questa possibilità e individuò un’altra e ben più lungimirante risposta al suo desiderio di continuità nella storia, come ha affermato Stefano Casciu. Identificò in Firenze e nella sua comunità le legittime eredi della sua famiglia, quasi fossero sue stesse figlie e, allargando lo sguardo ai «Forestieri», abbracciò con esse il mondo intero.
Per saperne di più:
Stefano Casciu (a cura di), La principessa saggia. L’eredità di Anna Maria Luisa de’ Medici Elettrice Palatina, Sillabe, Livorno 2006
Pierluigi Leone de Castris, “Dalla Ducale Galleria di Parma al Real Museo di Napoli”, in Gigliola Fragnito (a cura di), Elisabetta Farnese principessa di Parma e regina di Spagna, Viella, Roma 2009, pp. 335-364
Alessia De Santis, Carlo di Borbone e le eredità Medici e Farnese, Stamperia del Valentino, Napoli 2018
Barbara Marx, “Politica culturale al femminile e identità medicea”, in Guido Calvi e Riccardo Spinelli (a cura di), Le donne Medici nel sistema europeo delle corti XVI-XVIII secolo, Edizioni Polistampa, Firenze 2008, pp. 147-167
Monica Miretti, “Dal Ducato di Urbino al Granducato di Toscana. Vittoria della Rovere e la devoluzione del patrimonio”, in Guido Calvi e Riccardo Spinelli (a cura di), Le donne Medici nel sistema europeo delle corti XVI-XVIII secolo, Edizioni Polistampa, Firenze 2008, pp. 313-326
https://www.uffizi.it/palazzo-pitti/tesoro-dei-granduchi
https://capodimonte.cultura.gov.it/esplora-collezioni/
https://mannapoli.it/collezioni/
In copertina: Firenze. Lungarno Anna Maria Luisa de Medici. Foto Rossella Di Bari.
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Articolo di Barbara Belotti

Dopo aver insegnato per oltre trent’anni Storia dell’arte nella scuola superiore, si occupa ora di storia, cultura e didattica di genere e scrive sui temi della toponomastica femminile per diverse testate e pubblicazioni. Fa parte del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione Consultiva Toponomastica del Comune di Roma.