L’attività necessaria del Tribunale 8 marzo

Quanto siano utili le «formazioni sociali ove si svolge la nostra personalità» lo sapevano bene le nostre e i nostri Costituenti, che le hanno citate nell’articolo 2 e le hanno considerate come il nucleo della vera politica, intesa nella sua accezione più alta, di attività che contribuisce al bene della comunità. Nell’epoca dello scollamento massimo tra i partiti politici e la cosiddetta società civile sono proprio le associazioni il collante della collettività e il fulcro delle migliori proposte per migliorare la nostra società. Vi si trovano spesso idee e progetti visionari, che i politici e le politiche politicanti, ormai lontani dal popolo che dovrebbero rappresentare, farebbero bene a ascoltare.
Tra le tante realtà femminili e femministe l’Associazione Tribunale 8 marzo è una «formazione sociale» che va conosciuta per l’opera meritoria che ha realizzato dalla data della sua costituzione, il 6 marzo 1979 fino al 1988, intercettando tutto il non detto e il taciuto delle donne vittime della violazione dei loro diritti, donne spesso non credute, inascoltate, derise. Un libro, che recensiremo approfonditamente sulla nostra rivista, racconta il percorso di questa associazione. Si intitola La parola del Tribunale 8 marzo ed è stato scritto da Gioia Di Cristofaro Laura Remiddi e Antonietta Carestia. Da questo libro partirò per presentare questa associazione cui tutte e tutti dobbiamo moltissimo e in cui possiamo ritrovare le nostre radici. Il simbolo scelto dal Tribunale 8 marzo è stato preso da un manifesto inglese del 1945, riferito «alle donne e ai matti».

Le fondatrici del Tribunale 8 marzo

Vi si vede una giovane donna con la toga e il tocco di laurea, vestita elegantemente come avvocata o magistrata, nell’atto di aprire la catena di un pesante cancello che la rinchiude. Subito fuori, in basso, ci sono dei libri che vogliono rappresentare «i diritti da affermare attraverso la cultura, intesa come strumento di liberazione». Il messaggio è chiarissimo: la donna, raffigurata con dignità al massimo livello di competenza giuridica, ottiene giustizia da sola attraverso l’apertura del lucchetto, senza demandare ad alcuno la soluzione del problema. L’immagine si rifà al passato ma è estremamente attuale, perché il riconoscimento dei diritti delle donne è un problema di tutte le epoche e di tutto il mondo». Come ricordano alcune delle fondatrici «la rottura culturale che ha sancito a livello teorico il superamento del pregiudizio che giustifica l’inferiorità femminile è documentata a livello nazionale dall’articolo 3 della Costituzione italiana» che tutte e tutti dovrebbero conoscere nel suo significato più profondo.

Sempre dalla nostra Carta Costituzionale, tanto bistrattata e poco conosciuta, occorre partire quando si parla di parità, concetto introdotto in Assemblea Costituente da 21 pioniere coraggiose che ci hanno aperto la strada verso una società inclusiva: le Madri Costituenti. Accanto all’articolo 3 ricordiamo anche, a livello internazionale, gli articoli 1 e 2 della Dichiarazione universale dei diritti umani: «Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire verso gli altri in spirito di fratellanza» (articolo 1); «A ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione. Di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione» (articolo 2). Tra queste affermazioni e quanto accade nelle nostre società la discrasia era ed è tuttora evidente e ha ispirato la Carta Costitutiva del Tribunale 8 marzo. Il nome scelto dalle fondatrici dell’associazione richiama una data importante, che ricorda «un episodio che è insieme testimonianza di coraggio e capo d’accusa». Preso atto dello stato di inferiorizzazione in cui nel 1979 si trovava il genere femminile in Italia, l’associazione ha raccolto le testimonianze di moltissime donne «che ritenevano di essere state lese in un loro diritto, o di avere subito violenza, ingiustizie, soprusi, discriminazioni».

Quello che la Carta Costitutiva dell’associazione si proponeva era contribuire, anche attraverso il Tribunale, «a costruire nuove dimensioni della società, una nuova scala di valori, nella quale trovino la loro giusta collocazione sia i nuovi valori espressi dalla lotta delle donne, sia quelli che costituiscono il patrimonio storico femminile, ingiustamente discriminati, emarginati, sottovalutati». Questi valori trasformati avrebbero dovuto, nelle intenzioni delle sottoscrittrici della Carta, trasformare la vita e la società, fino ad ora pensata solo secondo un genere, quello maschile. Chi, come donna, oggi si sente scomoda e stretta all’interno della comunità, deve essere grata al Tribunale 8 marzo che ha iniziato il percorso di consapevolezza su questi temi e li ha portati all’attenzione dell’opinione pubblica. Il primo atto di questa associazione è stata la raccolta di testimonianze, messe a disposizione del movimento delle donne e della società come strumento di lotta e come indicazione per un progetto. Il motto del Tribunale 8 marzo, con cui si chiude la sua Carta Costitutiva è: «Tra il grido, la violenza e il silenzio, scegliamo la parola». Quella parola che troppo a lungo è stata negata alle donne nei nostri sistemi giuridici, quella parola che per troppo tempo è stata negata alle donne.  Il primo atto politico del Tribunale è stato la raccolta e la pubblicazione, con il loro consenso, di lettere di donne vittime di violenza, poi raccolte nel libro Cosa loro. Il Tribunale si è poi rivolto nella sua prima sessione nel 1980 al Parlamento Europeo con una denuncia contro la discriminazione in materia di trasmissione di cittadinanza nei confronti della donna e ha approfondito i temi della violenza in famiglia e della cittadinanza, facendo pressione affinché la legge in vigore fosse cambiata e questo accadde nel 1992. Nella seconda sessione si è occupato di Donne e medicina. Nella terza sessione, nel 1982 di Diritto alla giustizia e della Carta dei diritti della partoriente.

Convegno internazionale: Strade europee per il Diritto alla Giustizia

Nel 1983 ha organizzato il Convegno internazionale: Strade Europee per il Diritto alla Giustizia., cui hanno preso parte molte relatrici, tra cui Elena Gianini Belotti. Il Tribunale 8 marzo ha promosso anche i Centri di Assistenza e consulenza legale e Il telefono Rosa promuovendo le scuole di diritto. La raccolta e pubblicazione delle denunce delle donne vittime di varie forme di violenza, riportate nel libro Cosa Loro ( dal sottotitolo significativo: È tutto vero, verissimo e non è tutto) non è una lettura facile, ma necessaria e ha consentito alle donne di «dire la propria verità in tutta la complessità delle sue facce», senza limitare il racconto a un fatto isolato, ma denunciando una concatenazione di eventi che evidenziavano un rapporto violento protratto nel tempo e fatto di tanti atti intimidatori e svalutativi. A quell’epoca (ma non è cambiato molto oggi) nei tribunali le donne, per come era e è organizzata la giustizia, erano spinte alla ritrattazione, alla sconfessione di sé, alla rassegnazione. La giustizia, scrivono le autrici, «isola il fatto, lo colloca, lo ferma e lo riesamina secondo tempi burocratici e inverosimilmente lunghi». Il Tribunale 8 marzo ha messo in evidenza che invece le denunce delle donne avrebbero richiesto un Tribunale «a misura di donna» a cui non si chiedeva di condannare ma di «contribuire a modificare rapporti umani e valori culturali, insomma a liberare una donna piuttosto che incarcerare un uomo». Dalle lettere delle donne emergeva una violenza non solo del partner ma della società. Quando una donna si rivolgeva agli ospedali, alle scuole, ai tribunali, ai luoghi di lavoro spesso vi incontrava professionisti o funzionari o modi di lavorare pensati e organizzati da uomini per uomini, sorretti da una cultura loro omogenea in cui la donna non si riconosceva. Bastino per tutte due testimonianze: «Io piangevo – scrive una donna – Il maresciallo si è messo a ridere io non ne potevo più. Gli ho detto: guardi io non sono venuta da lei per farmi ridere in faccia. Lui mi ha detto di fare silenzio, altrimenti mi avrebbe offesa» e, con riferimento al comportamento di certi medici, un’altra donna ricorda: «Mentre partorivo il medico mi ha detto: se fosse mia figlia l’avrei fatta abortire a calci nel sedere» E ancora: «Siccome non mi hai fatto dormire tutta la notte, ti punisco mettendoti le suture senza anestesia». Il merito del Tribunale 8 marzo sta nell’avere dato la parola alle tante donne maltrattate in diversi contesti, nell’avere valorizzato il racconto delle violenze subite dalle donne che non si era mai ascoltato, nei tribunali, negli ospedali, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nell’averlo condivisa e diffuso. Un atto «politico» fondamentale proveniente da un’associazione che finalmente scoperchiava le ingiustizie di un mondo pensato al singolare maschile, un atto necessario, premessa di altre azioni del Tribunale che saranno descritte nei nostri prossimi numeri. Un atto di sovversione pacifica destinata a produrre quel mutamento culturale premessa di ogni trasformazione vera nei rapporti tra uomini e donne. Realizzata «dal basso e dal femminile».

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Articolo di Sara Marsico

Abilitata all’esercizio della professione forense dal 1990, è docente di discipline giuridiche ed economiche. Si è perfezionata per l’insegnamento delle relazioni e del diritto internazionale in modalità CLIL. È stata Presidente del Comitato Pertini per la difesa della Costituzione e dell’Osservatorio contro le mafie nel sud Milano. I suoi interessi sono la Costituzione , la storia delle mafie, il linguaggio sessuato, i diritti delle donne. È appassionata di corsa e montagna.

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