«Donna». Word e il Tribunale 8 marzo

Ero appena laureata in filosofia, cum laude, nel 1976 e mi si schiudeva davanti quello che pensavo essere finalmente il mio mondo, quando alcune aderenti al Movimento di liberazione della donna, occuparono Palazzo Nardini, nel cuore della Roma antica, in via del Governo Vecchio, alle spalle di piazza Navona, fondando La casa delle donne. Compresi che di libertà nel mio futuro ve ne era moltissima, ma tutta da conquistare. L’opinione pubblica di allora le prese per pazze. Intanto quel gesto e il vento di ordinaria follia che si portò dietro incisero profondamente la morfologia da secoli immota del paternalismo e patriarcalismo imperante.

Come tutti i fenomeni naturali, l’erosione fu lenta ma costante e iniziò ad aprire varchi, scavare anfratti, sgretolare pregiudizi, allargare visioni, diffondere una nuova cultura. Le donne cominciarono a raccontarsi l’una all’altra, si chiamava «fare autocoscienza». Cominciarono a parlare dei loro problemi: cominciarono, insieme, a sgretolare il muro di silenzio innalzato intorno a loro. Organizzarono un Convegno internazionale sulla violenza contro le donne, correva l’anno 1978, era il 26 marzo.

Se allora questo vento poteva sembrare uno zeffiro gentile e inutile, di lì a poco, nei confronti del mondo patriarcale, divenne una violenta tramontana, come testimonia il volume La PAROLA del Tribunale 8 marzo, per i tipi di Armando editore. Libro in cui si restituisce l’immagine di ciò che era il mondo femminile italiano sul finire degli anni ’70 del Novecento. Una fotografia per alcuni versi sconvolgente e sconcertante, dolorosa a guardarsi, che, comunque, rende a pieno quel mondo minore in cui la donna era confinata.
Il Tribunale nasce il 6 marzo 1979 e «si intitola a una data che ricorda un episodio che è insieme testimonianza di coraggio e capo d’accusa. L’8 marzo è ormai di tutte le donne che hanno scelto di esistere nella società, di lottare per il riconoscimento dei propri diritti e l’affermazione dei propri valori».
Oggi questa prima frase dell’atto costitutivo potrebbe risultare banale e scontata: tutti e tutte credono di sapere cos’è l’8 marzo. Davvero sappiamo che questa data ricorda un paio di mostruosi incendi, uno avvenuto l’8 marzo 1908, l’altro il 25 marzo 1911, a New York, in cui perirono centinaia, dico centinaia, di camiciaie, la maggioranza giovani italiane ed ebree? Perfino le fonti discordano sull’origine dell’evento, in parte attribuito alle donne russe che l’8 marzo 1917 manifestarono a San Pietroburgo a favore della pace. Di sicuro sappiamo che si regala un rametto di mimosa: perché, qualcuno racconta che, l’8 marzo del 1946, quando si poté di nuovo celebrare la giornata della donna, era l’unico fiore in circolazione e a poco prezzo. Si usciva dalla seconda guerra mondiale e bello che ti offrissero un fiore in quel periodo.

Le donne italiane avevano fatto la Resistenza, eppure Togliatti sconsigliò di farle sfilare con i partigiani il 25 aprile. Pensava che la gente non avrebbe compreso la loro presenza, le avrebbe giudicate poco di buono, ci ricorda Menapace. Avevano contribuito alla stesura della Costituzione, eppure era necessario il Tribunale dell’8 marzo per far fare loro un salto definitivo, una scelta «tra il grido e il silenzio»: la scelta della «Parola».
Com’eravamo agli inizi del 1980, lo raccontano le tante donne che, pur non avendo il coraggio di denunciare, perché un’educazione millenaria le aveva abituate alla sottomissione silente e passiva, e perché l’Autorità giudiziaria assolutamente e totalmente maschile non le ascoltava, sentono però forte il desiderio di raccontare la propria sofferenza taciuta. Allora di problemi femminili non se ne parlava. La maggioranza delle nostre madri non erano state educate a parlare di sé stesse: avevano una visione autoritaria del maschio che accettavano – istruite sotto il fascismo! Ogni donna della mia generazione può affermare d’aver vissuto e subìto, nel suo piccolo mondo, una o più situazioni simili. Essere donna: una conquista giornaliera, passo dopo passo.

Una domanda che circola spesso riguarda l’origine di questa soggezione. Se la è posta anche Danielle Paparatti: Quali le radici storiche della nostra oppressione? E in un suo breve intervento nel volume (pag. 274-275), ci riferisce che da una ricerca effettuata «sul campo lessicale e semantico femminile nel ‘700 in Francia, sono uscite due conclusioni importanti: dal punto di vista linguistico la donna viene descritta o bollata come un bambino, un animale, un vegetale, un cibo o un oggetto; dal punto di vista giuridico, viene considerata come un bambino o un oggetto, mai o quasi mai come una persona». Certo il ‘700 è epoca molto lontana da noi, ma siamo così sicure che la declinazione della parola «donna» si sia arricchita di sinonimi nell’arco dei secoli?
Non mi addentro in ricerche storico lessicali. Digito sulla pagina bianca di Word «donna», ci posiziono sopra il cursore e clicco. Scorro la tendina che mi appare, fino a «Sinonimi». Clicco di nuovo e nella seconda tendina compaiono i seguenti lemmi di possibili sostituzioni della parola «donna»: «femmina, signora, signorina, domestica, cameriera, colf, governante, dama, regina, uomo», logicamente il contrario.
Clicco su quest’ultimo lemma, e le possibili soluzioni di sostituzione che appaiono sono: «persona, individuo, umanità, gente, maschio, adulto, addetto, operaio, tecnico, giocatore».
Lascio a voi l’analisi delle differenze!
Certo Word non è il top dei vocabolari di sinonimi e contrari, ma se si guarda lo Zanichelli non ci sono differenze rilevanti.

Invece, la Treccani online, ci fregia della definizione «di essere umano adulto di sesso femminile». Poi, cita le seguenti espressioni: «buona donna, donna da marciapiede (o di malaffare o di strada o di vita o, eufemismo, di facili costumi), prostituta; donna di casa, casalinga, massaia; donna di legge [esperta e studiosa di legge], giurista; donna di lettere [donna che si dedica stabilmente ad attività di studio nel campo umanistico], intellettuale, letterata, umanista; donna di scienza [donna che pratica professionalmente la ricerca, specie nel campo delle scienze naturali ed esatte], ricercatrice, scienziata; donna di stato[donna che ha una profonda esperienza, teorica e pratica, dell’arte di governare uno stato: un’autorevole d. di stato], statista; donna-ragno [artista circense che esegue esercizi di contorsionismo], contorsionista. 2. (fam.) [donna con cui si ha un rapporto sentimentale: la mia d.], amata, compagna, fidanzata, innamorata, ragazza. 3. (mest., fam.) [donna che attende a pagamento alle faccende domestiche: d. (di servizio) a ore], cameriera, colf, collaboratrice domestica, domestica, (lett., scherz.) fantesca, (spreg.) serva. padrona, signora. 4. (gio.) a. [figura delle carte da gioco], dama, regina. b. [pezzo del gioco degli scacchi]». Specificando infine, «in numerose espressioni consolidate nell’uso si riflette un marchio misogino che, attraverso la lingua, una cultura plurisecolare maschilista, penetrata nel senso comune, ha impresso sulla concezione della donna. Il dizionario, registrando, a scopo di documentazione, anche tali forme ed espressioni, in quanto circolanti nella lingua parlata odierna o attestate nella tradizione letteraria, ne sottolinea sempre, congiuntamente, la caratterizzazione negativa o offensiva». 21 righe in tutto.

L’uomo, invece ha tra i suoi sinonimi «sapiens», «individuo di sesso maschile che ha raggiunto il completo sviluppo fisico e psichico» e una serie lunghissima di definizioni ed espressioni, tra cui «leader», «uomo d’affari», «uomo d’armi», ecc. Oltre 60 righe! Senza specificazioni ulteriori.

Con Paparatti potrei concludere: «SENZA COMMENTI»!
In realtà verifico che nonostante la Rivoluzione Francese (1789), nonostante il Risorgimento (il 17 marzo ricorre l’Unità d’Italia), nonostante la Resistenza (quest’anno è l’ottantesimo!) e la Costituzione (siamo a settantacinque anni), al lemma «donna» si associano connotazioni limitate, offensive e negative. Ancora non siamo «persona», o «umanità».
Consoliamoci con una poesia di Alda Merini e sorridiamo:

Sorridi donna
sorridi sempre alla vita
anche se lei non ti sorride.
Sorridi agli amori finiti
sorridi ai tuoi dolori
sorridi comunque.
Il tuo sorriso sarà
luce per il tuo cammino
faro per naviganti sperduti.
Il tuo sorriso sarà
un bacio di mamma,
un battito d’ali,
un raggio di sole per tutti.

***

Articolo di Fosca Pizzaroni

PIZZARONI 200X200

Archivista in pensione, ha insegnato storia delle istituzioni contemporanee nelle Scuole di Archivistica Diplomatica e Paleografia e svolto docenze per l’Università la Sapienza di Roma, di Padova, Mediterranea di Reggio Calabria e per l’Imes Sicilia. Ha collaborato con la Protezione Civile all’analisi storica delle calamità naturali avvenute dall’Unità d’Italia in poi, attraverso saggi e mostre.

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