Le musiciste migranti in lotta per i diritti sociali

Nel 1882 Emil Naumann scrive nel manuale The History of Music: «Si sa che tutto il lavoro creativo è prerogativa degli uomini».
Riflettendo, infatti, sul ruolo e sul posizionamento sociale di musiciste, compositrici e interpreti, si constata che spesso sono donne costrette a migrare per potersi affermare. La ricostruzione della memoria di tali figure appare difficile, soprattutto se si pensa che nella maggior parte dei casi sono assenti nelle enciclopedie musicali e nei manuali di storia della musica. Attraverso studi più recenti condotti dalla Fondazione “Donne e Musica”, è possibile contare circa 27.000 presenze tra compositrici, interpreti, pedagoghe e musicologhe attive in 108 paesi e 84 associazioni. Sono dati trascurati in ambito formale e istituzionale, difficilmente reperibili persino sul web. L’oscuramento delle donne della musica non fa altro che rispecchiare quello delle donne tutte; non fa altro che obbedire alla legge sociale che ha silenziato e silenzia il femminile e la sua espressione.
Anche per quanto riguarda lo studio delle compositrici nei conservatori, bisogna affidarsi all’iniziativa personale di singole docenti piuttosto che a un’istituzionalizzazione organica di questo sapere. Pertanto, nell’impegno divulgativo e didattico ci si trova di fronte a un pubblico di studenti che non ha gli strumenti intellettuali utili per superare alcuni pregiudizi riguardanti il valore delle opere musicali, e con difficoltà si riesce a vincere lo scetticismo che impedisce di interrompere una tradizione che ha escluso le musiciste dalla categoria della genialità. Le musiciste sono sempre state additate come ribelli ai costumi, come migranti, e quindi devianti, o quanto meno stravaganti e bizzarre; nella realtà dei fatti molte di loro sono nate in famiglie con una forte componente artistica e in buone condizioni sociali. Se si pensa all’Ottocento, ad esempio, è sapere comune che molte donne appartenenti all’élite fossero portate allo studio del pianoforte, dote spesso spendibile unicamente nella funzione di ornamento e accompagnamento di momenti di socialità altrui. Solo dal 1870 le donne vengono ammesse nelle classi di prove orchestrali e composizione dei conservatori europei, ma sempre con orari e programmi differenti rispetto a quelli dedicati agli uomini. Dallo studio delle testimonianze emerge la lotta delle musiciste per l’ottenimento della libertà di studiare, di lavorare ed essere visibili; una lotta avvenuta attraverso vie formali e informali, nelle corti, nei salotti, nei club o attraverso movimenti di rivoluzione popolare.

Percorrendo una linea diacronica, si possono citare, tanto per iniziare, le trobairitz, che viaggiavano da una corte all’altra nel Medioevo: Beatriz Contessa de Dia, ad esempio, è stata una delle voci femminili della scuola trobadorica provenzale. Nel Settecento, poi, troviamo diverse compositrici e direttrici d’orchestra, ma solo nel XIX secolo queste avranno diritto di parola pubblica e possibilità di battersi per i diritti politici e civili. Tra coloro che spiccano in quest’epoca, ricordiamo Elfrida Andrée, Agathe Ursula Backer Grondahl, Louisa Adolpha Le Beau, Ethel Mary Smyth, Philippine Schick, Emilia Gubitosi, Maria Cusenza, Giulia Recli: donne che hanno combattuto per il diritto all’accesso ai ruoli istituzionali. Sempre nell’Ottocento vengono create orchestre tutte al femminile, come la “Vienna Ladies Orchestra”, la “Fadette Women’s Orchestra” o la “Philadelphia Symphony Orchestra”. Si arriva infine nel Novecento alle grandi jazziste e cantanti blues, o alle rivoluzionarie sudamericane come Violeta Parra e Mercedes Sosa, portatrici di messaggi politici e femministi. Impossibile non citare anche la nostra Rosa Balistreri, che col suo stile folk-popolare ha cantato la Sicilia e non solo.

Oggi in Medioriente alcune musiciste emergono ribellandosi alla dominazione religiosa e politica: ricordiamo, ad esempio, Negin Khpolwak, vent’anni, senza velo, in opposizione al potere talebano che le impediva di studiare musica, ripudiata dalla famiglia a causa della sua lotta. Ecco alcune sue significative parole: «Per la mia gente sono una vergogna. Perché vado a scuola. Perché faccio musica. […] Tanti vorrebbero rinchiuderci nelle case, impedirci di fare musica. Io invece voglio dimostrare ogni giorno che le donne afghane possono fare tutto. Se mi ammazzano non mi importa, io non mi fermo. Lo devo alle altre donne». Un’altra storia esemplare di denuncia è quella di Sonità, rapper afghana in lotta contro la Sharia, alla quale è stato anche dedicato un documentario diretto da Rokhsareh Ghaemmaghami.

Nel caso della storia delle musiciste e della loro visibilità, sicuramente l’uso di internet ha permesso una facile reperibilità e l’immediatezza della loro divulgazione, a patto però che si conoscano i loro nomi. Certamente le singole associazioni e iniziative dal basso stanno tentando di invertire le sorti di queste artiste, ma la reale presenza nei programmi concertistici delle maggiori istituzioni musicali è ancora esigua. Oggi, la lotta delle musiciste in ogni parte del mondo e delle loro studiose per il riconoscimento dei diritti sociali non è più quella di poter entrare nei percorsi di alta formazione o nei ruoli di docenza nei Conservatori, bensì quella di poter divulgare e rappresentare le centinaia di opere create fin dall’antichità, e di poter accedere a ruoli di direzione artistica nei teatri e nelle orchestre stabili. Il pericolo che si corre nel presente è che il retaggio culturale del silenzio storiografico sulla presenza delle donne come soggetti attivi nella storia si imponga nelle nuove generazioni e le travolga nuovamente. Complice di questo oscuramento è anche la scarsa considerazione della musica in generale che, spesso, è stata relegata ai margini perché considerata meno dignitosa rispetto alle altre arti. E, in un discorso generale, le donne sono sempre state viste come muse, come ispiratrici, mai come coloro che fanno, che creano, che hanno voce propria. È significativo il fatto che Santa Cecilia, patrona della musica, non fu mai musicista. Era una ragazza patrizia che volle consacrarsi alla verginità, al punto di fare convertire il suo sposo al Cristianesimo, ricevendo poi una condanna a morte. Dopo la canonizzazione viene raffigurata con uno strumento musicale tra le braccia, entrando così nell’immaginario comune.

Oltre al generico isolamento delle donne della musica, anche questo ambito è intriso di stereotipi: l’insegnamento, in quanto funzione di cura, è considerata prerogativa femminile. Eppure, su 19.000 figure appartenenti alla categoria composizione, musica e canto, solo il 18% sono donne. Un altro ruolo prettamente femminile è quello della cantante lirica, spesso tra l’altro non considerata vera e propria musicista. Mascha Blankenburg, direttrice d’orchestra, offre un punto di vista molto interessante, rilevando alcuni percorsi di donne della musica con caratteristiche analoghe: prima fra tutte, il peso psicologico e fisico sostenuto per lavorare in un ambiente esclusivamente maschile e discriminatorio; poi l’abbandono della carriera intorno ai cinquant’anni dovuto al pregiudizio secondo il quale una donna anziana è meno spettacolare, meno presentabile al pubblico. Questo stigma, che tutte le donne del mondo musicale si trovano ad affrontare ogni giorno, rende l’idea dell’enorme lavoro di formazione e divulgazione da attuare.
È necessario che nell’immaginario delle nuove generazioni la donna venga vista come soggetto attivo nella costruzione del mondo sociale, politico e artistico che abita. Perché, come si è visto attraverso i numerosi esempi che ribaltano l’affermazione di Emil Naumann, si sa che tutto il lavoro creativo è – anche – prerogativa delle donne.

In copertina: studenti afghane alla Carnegie Hall.

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Articolo di Milena Gammaitoni

-SSaQ4nA

Professoressa di Sociologia Generale presso l’Università di Roma Tre, l’Università Jagellonica di Cracovia e la Sorbonne Nouvelle di Parigi. Si occupa di questioni relative all’identità, storia e condizione sociale di artiste e artisti, metodologia della ricerca sociale di tipo complementare. Cura e pubblica saggi in libri collettanei, riviste scientifiche e culturali ed è autrice di tre volumi monografici

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