La quarta giornata del progetto Senso di marcia è intitolata “Stereotipi e pregiudizi” ed è dedicata all’analisi dei danni causati dalle nostre idee preconcette. A condurre sono Danila Baldo e Donatella Caione, mentre ad intervenire sono state Graziella Priulla, Laura Saccani, Paola Malacarne, Elvira Adamo, Valeria Zagolin e Graziella Catozza.
Introduce Danila Baldo, docente di filosofia e scienze umane e attualmente vicepresidente di Toponomastica femminile, con il suo intervento Il gap toponomastico: le intitolazioni sono fondamentali per tenere viva la memoria di persone ed eventi straordinari, modelli di riferimento fondamentali per le/i giovani di oggi, ma esiste un enorme divario tra intitolazioni a personaggi maschili rispetto a personaggi femminili nello spazio urbano, ossia la presenza di circa 9 donne su 100 uomini menzionati sulle targhe di vie e piazze cittadine; e in questa piccola percentuale di intitolazioni femminili, la maggioranza è costituita da figure religiose, martiri, benefattrici… che non offrono alle giovani donne riferimenti validi in tanti altri ambiti quali la letteratura, la musica, le arti, la scienza, la politica. Lo stesso divario è presente in ogni parte della nostra società, come nei libri di testo scolastici e nelle figure di potere – anche se abbiamo una Presidente del consiglio, la maggioranza del suo gabinetto è composta da uomini, e anche se ora abbiamo una leader a capo del principale partito di opposizione, in generale nei consigli regionali o in parlamento, per esempio, la percentuale femminile si attesta intorno al 30% quando va bene, ben lontano da un indice di parità! Non è solo ricerca di parità o dimostrare che le donne sono più di angeli del focolare: è importante ricordare scienziate, politiche, sindacaliste, letterate per coltivare l’autostima delle ragazze e promuovere il rispetto reciproco presso i ragazzi. Per questo le azioni dell’associazione sono sì chiedere nuove intitolazioni femminili, ma soprattutto andare nelle scuole, dall’infanzia alle università, e promuovere la ricerca di figure femminili che vanno tolte dall’ombra e ricordate e nominate. A questo è indirizzato il concorso nazionale, arrivato alla X edizione quest’anno, Sulle vie della parità, conclusosi l’8 marzo e che vedrà la premiazione a Roma il 27 aprile. Il rispetto del linguaggio di genere è una linea-guida fondamentale: il genere grammaticale maschile usato in modo universale ancora oggi ribadisce l’uomo come modello dell’esperienza umana, e nasconde la presenza delle donne in molti luoghi della società, soprattutto in quelli di potere e influenza. A questo si aggancia Donatella Caione, direttrice della casa editrice Matilda, che ha più volte collaborato con Toponomastica femminile come nel caso del progetto Calendaria, arrivato alla terza annualità. Caione si dice convinta che gli stereotipi non siano insiti in noi, ma inculcati nell’infanzia quando si delinea una diversa educazione tra bambine e bambini; per questo ha dedicato la sua attività alla lotta agli stereotipi e all’esaltazione della libera scelta fin dalla più tenera età, come, per esempio, smettere di impedire a un bambino di studiare danza o a una bambina di giocare a calcio. I libri scolastici sono tra i più colpevoli nel riproporre, tramite immagini ed esercizi, narrazioni stereotipate e nel non ricordare storie di donne importanti, lasciando quindi un vuoto nei modelli per le giovani. Quando tali discussioni sono proposte nelle scuole, i danni di questa pressione sociale emergono molto facilmente e a volte con drammaticità, come nel caso della differenza di trattamento tra un ragazzo con molte fidanzate e una ragazza con molti fidanzati.
Dopo l’introduzione delle due conduttrici, il primo intervento La forza inerte che blocca il cambiamento vede come relatrice Graziella Priulla, docente di Sociologia dei processi culturali all’Università di Catania, formatrice sui temi legati all’educazione di genere e autrice di pubblicazioni sugli stereotipi e sul linguaggio. Un aneddoto raccontato dalla relatrice dimostra come gli stereotipi siano la principale fonte di pregiudizi e discriminazioni: durante una discussione sul femminicidio una professoressa ripropose lo stereotipo dell’uomo-cacciatore che seduce la donna-preda, spiegando la propria ingenuità con il classico: «Si è sempre detto e/o fatto così». È questo un esempio di forza inerte, l’oppressione che passa per parole e comportamenti non necessariamente violenti, invisibile perché è accettata dal senso comune, un dispositivo concettuale che ci porta ad avere determinate credenze sul mondo e a credere che eventi e comportamenti frutto della cultura siano naturali e quindi immutabili e chi li attua è scevro di colpe. Questo è alla base del concetto di “normalità”, definito “come ciò che è normato”, “ciò che risulta essere naturale alla maggioranza delle persone,” o “che appare tale ai nostri occhi”: da questa definizione già si evidenzia la parzialità di un concetto che è invece spesso trattato come universale. Lo stereotipo è alla base del pregiudizio e da qui causa di una molteplicità di discriminazioni e violenza, come i tragici eventi del Novecento hanno dimostrato, giustificati proprio parlando di “senso comune”, da loro acriticamente seguito. Spesso l’essere umano non si ribella alle generalizzazioni perché ciò richiede uno sforzo che pochi sono disposti a fare: è più facile accettare uno stereotipo che investire tempo ed emozioni nel suo scardinamento, senza correre il rischio di essere esclusi dal gruppo per essere andati controcorrente. È quindi facile per la politica sfruttare questi sentimenti per mantenere il consenso, a scapito del benessere e della sicurezza delle vittime di pregiudizio. Gli stereotipi sono l’immagine di un mondo immutabile a cui ci siamo adattati, ed è nostro compito dimostrare che non è naturale ciò che sta accadendo, che le etichette che adottiamo ci ingabbiano e condizionano, un bagaglio che tramandiamo a figli e figlie proseguendo la scia di dolore e odio. La scuola deve essere in prima linea nella lotta a questo fenomeno, perché è qui che si progetta la società del domani. A partire dalla quotidianità si deve invogliare non solo ragazzi e ragazze, ma anche i genitori e gli/le insegnanti a fare domande e a farsi domande, a non dare più nulla per scontato.
L’intervento Buone pratiche a scuola. La donazione di alberi, un lodevole esempio di iniziativa dal basso, è di Laura Saccani, laureata in Lettere e autrice di una guida per insegnanti pubblicata da Laterza. In occasione della Festa degli alberi del 21 novembre portò in classe una piccola pianta per poter parlare della deforestazione e del clima, ispirando i/le studenti a muoversi per poter piantare degli alberi: venne fatta una raccolta di fondi e grazie al progetto Treedom venne “adottato” un albero in Kenya, paese d’origine di uno degli alunni e di Wangari Maathai, premio Nobel per la pace. La pianta scelta è il nim, un antiparassitario naturale.
L’intervento di Paola Malacarne, psicologa, docente, formatrice, presidente della commissione Pari Opportunità del Comune di San Casciano Val di Pesa, membro del direttivo di Tf con delega alla rappresentanza istituzionale e alla progettazione, riguarda l’analisi del significato latente del film Il ragazzo dai capelli verdi. Il protagonista, Piero, è un bambino che, dopo un’infanzia felice, viene allontanato dai genitori e sradicato da tutto ciò che conosce; viene accolto da lontani parenti, fra cui un nonno che gli racconta la verità sui suoi genitori, che sono andati in guerra a salvare bambini come lui e lì hanno trovato la morte. Piero rifiuta di definirsi orfano perché questo lo renderebbe un diverso, lo separerebbe dal resto della scuola e peggiorerebbe la sua solitudine, il vero motore alla base di tutte le nostre spinte a conformarci con il gruppo. Il mattino dopo aver ammesso davanti ai suoi compagni e compagne il suo nuovo status di orfano e dopo una toccante conversazione con il nonno, che lo rassicura riguardo la sua diversità, Piero si sveglia con i capelli verdi. Inizialmente entusiasta, orgoglioso di mostrare la propria unicità grazia alla nuova chioma, viene investito dall’ansia all’idea di tornare a scuola e rischiare di essere deriso. Una profezia che si autoavvera: appena gli adulti iniziano a discriminare Piero a causa dei suoi capelli, i bambini e le bambine li imitano e trattano il loro compagno come un malato. Una metafora efficace, che mostra come l’odio non sia un atteggiamento innato, ma insegnato da adulti che, consapevoli o no, perpetuano il pregiudizio.
Elvira Adamo, counselor professionista, coordinatrice del Progetto Lambda, un servizio di supporto e accoglienza per persone LGBTQIA+, presenta un intervento che si intitola Discriminazioni e diritti: orientamento sessuale e identità di genere. L’Italia è ancora fortemente influenzata dal cattolicesimo e quando si parla di sessualità molti e molte tendono a storcere il naso anche quando si hanno idee progressiste; tuttavia, la sessualità è parte integrante di ognuna/o di noi e questo atteggiamento pudico causa solo ulteriori pregiudizi ed equivoci. Il sesso biologico si distingue dall’identità sessuale e dall’identità di genere: si nasce maschi o femmine, e una piccola percentuale nasce intersessuale e viene sottoposta nell’infanzia a interventi correttivi senza curarsi delle conseguenze che avrà sull’infante una volta cresciuto. L’identità di genere è un fatto psicologico, ed è più chiaro nelle persone che non si identificano col sesso biologico e il genere assegnato alla nascita. L’identità sessuale è composta dal ruolo di genere e dalla sua espressione: tutte le aspettative culturali poste su una persona a seconda del sesso con cui nasce, come indossare del rosa se si nasce femmina o azzurro se si nasce maschi; chi non si identifica nel sesso biologico di nascita non ha espressione di genere allineata a esso. L’orientamento sessuale, infine, indica di chi ci innamoriamo, verso chi possiamo provare forti emozioni: l’eterosessualità è considerata la normalità, nonostante gli studi indichino una realtà ben più variegata. L’orientamento sessuale è di tutti e tutte, anche di chi non si identifica col proprio sesso biologico o chi è asessuale. Nonostante gli enormi passi avanti fatti, la discriminazione di genere e verso gli orientamenti sessuali non etero è un fenomeno drammatico e fonte di discriminazione e violenza, che porta molte persone a nascondere la loro vera identità o il loro amore. Si veda la legge sulle coppie civili italiana, dove l’obbligo di fedeltà coniugale non è previsto per le coppie omosessuali in quanto chi ha un orientamento non etero è visto come intrinsecamente promiscuo, o la recente ondata legislativa anti-trans. La presenza di queste discriminazioni e il mancato riconoscimento del diverso sono inaccettabili nel 2023. Negare i diritti non farà scomparire le persone Lgbtq+: creerà solo ostilità e una società meno sicura per loro.
L’ultimo intervento in diretta streaming è di Valeria Zagolin, presidente della Commissione pari opportunità del Comune di Treviso, Lotta agli stereotipi di genere. Ragazzi e ragazze sono vittime degli stereotipi, anche se questo fatto viene spesso negato o sminuito. Le intelligenze artificiali dietro gli algoritmi dei social o dei nuovi strumenti come Chat Gpt stanno riproponendo molti stereotipi dopo anni di lunghe lotte dedite al loro annientamento – si vedano i software di riconoscimento facciale che vedevano negli uomini afroamericani un potenziale criminale e invitavano la polizia a intervenire prima che compissero il presunto crimine; o quelli di smistamento usati dalle aziende che tendono a favorire i curriculum di uomini; o i correttori ortografici che negano l’esistenza del femminile nei nomi dei mestieri considerati tipicamente maschili, o i traduttori che traducono solo al maschile. Iniziative che promuovano storie di donne e linguaggio inclusivo coinvolgendo la cittadinanza sono oggi più importanti che mai.
Segue l’intervento in video di Graziella Catozza – docente all’Istituto di Studi Europei presso Université catholique de Louvain, progettista e appassionata di buone prassi – dal titolo Identità e stereotipi nel dialogo tra i banchi di scuola. Catozza nota come il mondo della scuola e dell’istruzione stia diventando sempre più femminile, fornendo un’ottica di genere ad alunne e alunni nonostante ruoli stereotipati sessisti vengano ribaditi nella scuola pubblica dai libri e dai programmi scolastici, causando episodi di bullismo e disagio. È stato ribadito più volte in questo incontro la gravità del vuoto causato dall’assenza di modelli femminili che non siano relativi a figure religiose. Iniziative come la settimana dell’Unar e i progetti che ha ispirato dimostrano che nonostante un clima generale di ostilità al cambiamento e una narrazione dominante che perpetua pregiudizi, la popolazione reale vuole promuovere e difendere le diversità e la democrazia, beni comuni e indivisibili, l’unica vera arma efficace contro la paura e contro qualunque stigmatizzazione. Solo così si potranno crescere veri e vere cittadine. L’educazione ai sentimenti e sul genere tramite laboratori nelle scuole permette di combattere il bullismo, e creare adulti e adulte più equilibrate che non avranno timore a condividere i propri disagi e ad andare contro a qualunque retorica che voglia sfruttare la paura del diverso.
Si chiude così la quarta giornata di Senso di marcia, all’insegna della speranza in un mondo scevro di pregiudizi e finalmente indirizzato a una reale parità, nel riconoscimento di tutte le diversità.
***
Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.