Trenta giorni e 100 lire: storie siciliane dimenticate

Soffiano venti di guerra nelle pagine dell’ultimo libro di Ester Rizzo Trenta giorni e 100 lire pubblicato recentemente da Navarra Editore. È il suo secondo romanzo e, come già avvenuto per Le Ricamatrici, vicende femminili realmente accadute ma dimenticate vengono trasformate in Storia. All’aria densa di violenza che giunge dal fronte della Prima guerra mondiale l’autrice contrappone le urla dolenti e furenti di numerose donne siciliane che, in quel triennio terribile, scesero in piazza per la pace, manifestarono il loro ripudio del conflitto e sbandierarono fiere la loro opposizione alla retorica e alle logiche della politica interventista.
Ester Rizzo ha condotto le sue ricerche tra le vecchie carte conservate nell’Archivio di Stato di Agrigento individuando, sotto una spessa coltre di oblio, una bella storia di ribellione al potere. Ci sono voluti cento anni per ridare voce e forza a quel dissenso e anche per scoprirne il messaggio potentemente attuale. Già dopo poche pagine del libro, infatti, vengono alla mente ricordi molto più recenti: quello del dolore e delle lacrime delle donne ucraine di fronte ai bombardamenti, alle vittime e all’orrore, ma anche quello delle donne di San Pietroburgo, di Mosca e di altre città russe trascinate a forza dagli agenti di polizia durante le manifestazioni contro l’invasione dell’Ucraina. A poche ore dall’avvio dell’“Operazione speciale” di Putin le donne russe, consapevoli dei rischi ma decise a ogni costo a sfidare le autorità, hanno dato al mondo una lezione significativa. Donne giovani accanto ad anziane, fragili ma straordinariamente potenti: come non ricordare Yelena Osipova, l’esile signora di 77 anni sopravvissuta all’assedio di Leningrado, mentre viene fermata da nerboruti poliziotti con manganelli e caschi in testa nel mese di febbraio dello scorso anno?
Le protagoniste del racconto di Ester Rizzo hanno gli stessi occhi, la stessa voce, la stessa determinazione, lo stesso coraggio delle donne russe. Si chiamano Felicia, Pina, Lillina, Calogera, Domenica, Ignazia, Angelina, donna Concetta e sono vissute più di cento anni fa a Palma di Montechiaro, a Ravanusa, a Campobello di Licata, a Licata, tutti centri dell’agrigentino. In realtà negli anni del primo conflitto mondiale l’intera isola fu palcoscenico di manifestazioni e proteste, furono molti i centri abitati in cui le donne si riunirono, seppero organizzarsi e scendere per strada gridando la loro contrarietà alla guerra. Il loro dissenso era pericoloso perché inculcava il dubbio, si contrapponeva alla propaganda interventista e militare. Fu un messaggio temibile negli anni del conflitto e rimase tale anche dopo, quando si “costruì” la Storia da tramandare alle generazioni successive. Meglio tacitarlo e nasconderlo. Scrive Ester Rizzo: «Meglio imbrigliare la memoria legarla con dei lacci in un fascicolo e collocarla su uno scaffale. Ma il loro messaggio di pace non poteva restare ignorato, doveva essere restituito alla nostra contemporaneità. Il loro coraggio, il ripudio della guerra, il loro dolore lontano dai campi di battaglia non doveva restare sconosciuto».
La prima azione di protesta raccontata nelle pagine di Trenta giorni e 100 lire è quella culminata con la manifestazione del 25 marzo 1916 a Palma di Montechiaro. Nei giorni precedenti quella data alcune donne si incontrarono e parlarono, condividendo tra loro volontà e paure, preoccupazioni e determinazione. Pronte a tutto e tutte vestite di nero, quel 25 marzo cominciarono a sfilare nelle strade del paese inveendo contro la guerra. «Quel grido sferzava l’aria, era refolo di vento che si insinuava ovunque. Era al contempo imprecazione e preghiera, supplica e bestemmia che doveva raggiungere santi e diavoli con la stessa intensità». Dodici donne furono fermate e trattenute in carcere fino al 3 aprile, giorno del processo, condannate a settanta lire di multa e al pagamento delle spese processuali. Furono aiutate dalle altre compagne che pagarono le sanzioni confermando in quel gesto l’adesione alla lotta e la loro spontanea sorellanza.
Un anno più tardi diverso lo scenario identica la protesta. Nei paesi di Ravanusa e Campobello di Licata si organizzarono altre donne, sfiancate dalla miseria e dal dolore. Ne furono arrestate venti a Ravanusa, imputate di istigazione a delinquere e condannate a trentadue giorni di carcere. Si fermarono le altre siciliane pacifiste? No di certo. Pochi giorni dopo quella sentenza, a Campobello di Licata si svolse un’altra manifestazione ancora più partecipata. Divenute più scaltre, le donne scese in piazza non si fecero arrestare e solo una si sacrificò in nome di tutte. Il suo nome era Maria Ponticello. Ritenuta colpevole di istigazione a delinquere e sobillazione antimilitarista fu condannata alla pena di un mese d’arresto, a cinquanta lire di ammenda e a cento lire di multa.
«Anche in questo caso, le autorità minimizzarono l’accaduto liquidandolo come il frutto dell’isteria femminile» scrive Ester Rizzo. Era la via più ovvia e più facile per normalizzare fatti straordinari, per cancellarne la potenza e il valore e, infatti, quelle vicende sono rimaste nascoste per più di cento anni. Tornano alla mente altri fatti recenti: non si sta facendo la stessa cosa con le donne russe che un anno fa hanno cominciato a protestare in nome della pace? Non si sta dimenticando la loro voce di dissenso? Sono scomparse dai racconti di guerra, dalle immagini televisive, di loro e del loro desiderio di pace non sappiamo quasi più niente.
Il racconto storico si fa romanzo nelle pagine di Trenta giorni e 100 lire. I luoghi e le date dei fatti corrispondono alla realtà, le vicende biografiche e i dialoghi delle protagoniste sono frutto della creatività dell’autrice. È una scrittura lineare e chiara quella di Ester Rizzo, piena di passione e orgoglio, di voglia di riscatto e senso di giustizia per quelle caparbie pacifiste siciliane alle quali è stato fatto un grave torto escludendole dalle pagine della Storia, danneggiandone la dignità e il valore. Il merito del romanzo è anche questo: aver scardinato alcuni immutabili stereotipi sulle donne, e in particolare sulle donne di Sicilia, trasformandole in figure solide di pensiero dissidente. Per loro non può valere il detto siciliano “Càlati junco ca passa la china”. Felicia, Pina, Lillina, Calogera, Domenica, Ignazia, Angelina, donna Concetta non si sono piegate, anzi hanno orgogliosamente innalzato i loro corpi trasformandoli in sostegni per la pace. Lo hanno fatto per loro stesse, per le tante famiglie colpite da lutti e dolori, per gli uomini che, distanti migliaia di chilometri, combattevano lungo confini sconosciuti e, una volta rientrati, mostravano il corpo e l’animo martoriati. La lontananza forzata di mariti, figli e padri durante il periodo bellico ha reso il ruolo femminile ancora più centrale nelle famiglie e nella società, anche in Sicilia. Le “disobbedienti” pacifiste di Trenta giorni e 100 lire dimostrano di essere capaci di creare rapporti orizzontali sempre più saldi, in grado di attraversare più gruppi familiari e solidificare legami di parentela, di amicizia, di vicinato o di gruppo. Il sentimento della solidarietà femminile diventa così un guscio protettivo contro le avversità.
Il ruolo giocato dalle donne nell’opposizione alle logiche belliche negli anni della Prima guerra mondiale è già stato affrontato da Ester Rizzo nel volume Donne disobbedienti, pubblicato nel 2019 da Navarra Editore. In tre paragrafi l’autrice si era soffermata sulle numerose manifestazioni che, a partire dal 1916, avevano agitato le piazze italiane. La carrellata di informazioni di allora si trasforma ora in un intreccio narrativo intimo e profondo, capace di superare la notizia storica. Sono i discorsi delle protagoniste a costruire la solida trama del libro e a testimoniare il patto emotivo, sociale e politico sorto tra loro. Da sempre le donne raccontano e si raccontano e in queste pagine le protagoniste, attraverso la parola, esplorano le paure, i dubbi, le certezze, i sogni in loro stesse cercandoli al tempo stesso nelle loro compagne. Nei dialoghi del romanzo i dolori, le fatiche ma anche le emozioni, i ricordi, i desideri, i progetti si intrecciano ai racconti di leggende, di fiabe, di superstizioni. Le donne, abituate a narrare nel chiuso delle proprie abitazioni, continuano a farlo durante la reclusione: la parola si fa grimaldello e apre metaforicamente le pareti del carcere, consente di ricordare luoghi e paesaggi familiari lontani, valica i confini della prigionia e anima il tempo fermo della detenzione. Il racconto orale è il simbolo della forza e della resistenza di queste straordinarie protagoniste dimenticate e la parola scritta, nella mani di Ester Rizzo, diventa l’arma «per combattere questo ingiusto oblio».

Ester Rizzo
Trenta giorni e 100 lire
Navarra Editore, Palermo, 2023
pp. 148

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Articolo di Barbara Belotti

Dopo aver insegnato per oltre trent’anni Storia dell’arte nella scuola superiore, si occupa ora di storia, cultura e didattica di genere e scrive sui temi della toponomastica femminile per diverse testate e pubblicazioni. Fa parte del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione Consultiva Toponomastica del Comune di Roma.

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