La guerra continua. Il primo numero di Limes 2023. Parte seconda

Mentre è da poco stato pubblicato il secondo numero di Limes 2023 sulla Polonia ci soffermiamo ancora sul primo, denso di spunti e riflessioni che meritano di essere condivise perché forniscono strumenti per leggere la complessa realtà della Guerra Grande. In questo non aiutano i  nostri media che, con rare eccezioni, puntualmente definite putiniane, raccontano il conflitto russo-ucraino come una serie di episodi di cronaca nera, non informano l’opinione pubblica sulle cause lontane di questa guerra né sugli interessi in gioco, spingendo l’opinione pubblica meno incline ad approfondimenti e meno informata a schierarsi come per una partita di calcio. Soffermiamoci su uno dei passaggi più significativi dell’editoriale di Lucio Caracciolo, che ribadisce, se ce ne fosse bisogno, come conoscere la storia sia un prerequisito indispensabile per capire quanto succede nella fase che stiamo vivendo, caratterizzata dalla fine della occidentalizzazione del globo. La Nuova Russia – sostiene il direttore di Limes – è la posta per cui Putin sta rischiando il suo residuo d’impero nello scontro con l’«Occidente collettivo» Mito geopolitico, indefinito nello spazio e nel tempo perché strumentale all’espansione della patria. Metafora territoriale e spirituale. Evocativa delle regioni affacciate sul Mar Nero strappate da Caterina II agli ottomani tra 1768 e 1774. Imperniate su Odessa e di lì estese fino alle coste del Mar d’Azov, abitate da popolazioni di vario ceppo. Ancora nel censimento del 1926 i russi erano netta minoranza (17%), con prevalenza di ucraini e minoranze tatare, romene, ebraiche. Per la russificazione della Nuova Russia toccherà attendere l’industrializzazione staliniana degli anni Trenta […] La Nuova Russia è avanguardia del vagheggiato Mondo Russo (Russkij Mir), da scavare nello spazio già sovietico per aggruppare sotto Mosca un impero che ridia fierezza al popolo russo. 

Ma senza cogliere il valore identitario del molto operativo mito neorusso poco si capisce della guerra in Ucraina. La riconquista della Nuova Russia eleverebbe Putin a erede della grande Caterina. Con parole sue: «In tempi zaristi ciò che si chiamava Nuova Russia – Kharkov, Lugansk, Doneck, Kherson, Nikolaev e Odessa – non era parte dell’Ucraina. Quei territori vennero dati all’Ucraina negli anni Venti del Novecento dal governo sovietico. Perché? Chissà. (…) Il centro di quella terra era Novorossijsk, sicché la regione è chiamata Novorossija» […] L’idea era e rimane prendere tre piccioni con una fava: chiudere all’Ucraina lo sbocco al mare, per costringerla a rigravitare attorno alla Russia; rovesciare il declino avviato con il suicidio sovietico ravvivando lo spirito grande-russo; per poi trattare con la Turchia, guardiana degli Stretti, un condominio eusino tale da garantire a Mosca l’accesso libero al Medioceano. L’annessione delle quattro oblast’ ucraine che saldano alla patria la Crimea – per Putin l’equivalente russo-ortodosso di Gerusalemme – è il primo passo, da consolidare, della marcia su Odessa». Ci sono tre correnti neorussiste, identificabili come rossa, bianca e bruna. La corrente rossa è neosovietica, e per la Grande Russia si ispira al socialismo. La corrente bianca ha nostalgia della Russia imperiale, come si evince dalla bandiera della Nuova Russia adottata il 13 agosto 2014: tricolore bianco-giallo-nero, vessillo dei Romanov fra 1858 e 1883. I neorussi bruni sono neofascisti o neonazisti. Amano definirsi «Primavera russa» e intendono per Nuova Russia il rinnovamento spirituale della patria in senso anti-occidentale, anticapitalistico e antiliberale. Considerano Putin «un molle pragmatico che vuole tenere insieme l’intenibile» e avrebbero voluto che nel 2014, in seguito al colpo di mano in Crimea e alla rivolta filorussa (meglio: anti-ucraina) nel Donbas, con l’esercito ucraino allo sbando, Putin realizzasse questo sogno, ma al Cremlino prevalse la prudenza.

In appendice all’editoriale di questo numero troviamo un approfondimento di Agnese Rossi, Spezzatini di Russia in salsa ucraina, polacca e americana, che merita di essere segnalato, non solo perché tra i pochissimi articoli di geopolitica scritti da una donna. «Come nel caso del Terzo Reich tedesco, la Federazione Russa, in quanto minaccia esistenziale per l’umanità e l’ordine internazionale, dovrebbe subire drastici cambiamenti. È ingenuo pensare che la Russia, dopo essere stata definitivamente sconfitta, rimarrà all’interno della stessa cornice costituzionale e territoriale. La comunità internazionale non può assumere una posizione comoda e defilata in attesa degli sviluppi, ma deve intraprendere una (…) rifederalizzazione dello Stato russo, tenendo conto della storia del suo imperialismo e nel rispetto dei diritti e dei desideri delle nazioni che lo compongono» Così si è aperto, con le parole di Anna Fotyga, eurodeputata e già Ministra degli Esteri polacca, il Forum delle libere nazioni della post-Russia, gruppo che raccoglie le istanze indipendentiste di minoranze etniche e realtà regionali russe (e dei loro simpatizzanti euroatlantici – americani, polacchi e baltici), il 31 gennaio scorso al Parlamento Europeo, ormai al suo quinto incontro, sponsorizzato dalla componente polacca del Partito dei conservatori e riformisti europei. Il progetto presentato da Forum si chiama «decolonizzazione e ricostruzione» della Federazione Russa.

La mappa elaborata dal Forum delle libere nazioni della post-Russia è un aggiornamento di quella pubblicata sul numero 9 del 2022 di Limes ma è aperta a ulteriori varianti. Non basta. «Su una parete dell’ufficio del capo dell’intelligence militare ucraina Kyrylo Budanov campeggia la carta a colori 6 bis., che prevede un cambiamento dei confini federali. Statunitensi, polacchi, ucraini e separatisti etnici immaginano ipotesi di disgregazione diverse, a testimoniare che non c’è stata alcuna fine della storia, ma piuttosto, finalmente, il ritorno della geografia, disciplina fondamentale che con ottica miope e per ragioni di bilancio è stata da tempo ridotta ai minimi termini in quelli che un tempo erano chiamati programmi ministeriali. Ai nostri lettori ricercare a quali Governi si deve questa scelta scellerata e a quali il mancato ripristino nel curricolo scolastico di questa materia.  Statunitensi, polacchi, ucraini e separatisti etnici immaginano e diffondono cartografie di disgregazione diverse, «funzionali alle rispettive proiezioni geopolitiche».

La seconda parte del volume La guerra continua si intitola Europei perdenti, turco vincente e esamina la posizione di alcuni Stati di fronte alla Guerra Grande. Da segnalare per la profondità dell’analisi l’articolo sulle sanzioni alla Russia di Fabrizio Maronta, già richiamato nella prima parte dedicata al volume La guerra continua, che richiederebbe un approfondimento a sé, per quanto è illuminante e documentato. Del repentino cambiamento della Germania dopo la guerra in Ucraina tratta La Germania riscopre la guerra giusta di Heribert Dieter. Più che tutore la Gran Bretagna si è invece dimostrata studente dell’impero americano, come sostiene Elettra Ardissino, giovane firma femminile, Alumna della scuola 2022 di Limes ne La paralisi strategica del Regno Unito. «Per molti la guerra d’Ucraina è scoppiata il 24 febbraio 2022. Tuttavia, l’osservatore attento sa che è iniziata nel 2014, con il ratto della Crimea da parte dei russi, seguito dalla ribellione del Donbas e dagli scontri del 2015 che hanno disegnato una durevole linea del fronte. Per otto anni, il conflitto è stato apparentemente congelato. Ma ciò non significa che non ci fosse, soltanto che i combattimenti si svolgevano al di sotto della soglia d’attenzione degli stranieri». Se non si capisce questo, scrive Olivier Kempf in La guerra può declassare la Francia, non si può cogliere la posizione di Macron, che appoggia l’Ucraina ma parla con Putin. In Italiani, allineati e coperti Germano Dottori ricorda a chi ha la memoria corta l’iniziale atteggiamento di dialogo dell’Italia con Putin per impedire lo scoppio del conflitto, il viaggio di Di Maio in Russia del 17 febbraio 2022, in preparazione della visita, poi mai attuata, di Draghi (che il 22 dicembre 2022 sosteneva:« «Dobbiamo mantenere il presidente Putin in stato di ingaggio», ovvero ancorato a un tavolo negoziale) e la repentina inversione a U che ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, dimostra quello che Caracciolo va dicendo da sempre: «Siamo un Paese a sovranità limitata».

Riporterò qui alcune considerazioni di Dottori sulla giravolta italiana, che naturalmente i media mainstream si guardano bene dal riferirci: «L’Italia continuerà quindi ad applicare le sanzioni imposte contro Mosca e a sostenere Kiev nei modi e nelle forme che saranno decisi dall’Alleanza Atlantica e dall’Unione Europea, malgrado questa linea crei malumori in qualche settore del sistema politico che pure la sostiene e non sia gradita da buona parte della nostra opinione pubblica, più sensibile di altre ai richiami del pacifismo o al pregiudizio ideologico anti-americano […] Soltanto in questo 2023 l’Italia dovrà infatti rinnovare titoli del suo debito pubblico in scadenza per oltre 410 miliardi di euro e a questa cifra si aggiungeranno altri 105 miliardi ulteriori di nuovo indebitamento . Visto che ci troviamo in un’area monetaria governata da una Banca centrale indipendente cui è vietato di coprire i deficit degli Stati con l’emissione di carta moneta, questi soldi dovranno essere interamente reperiti sul mercato, rivolgendoci ai risparmiatori piccoli e grandi di tutto il mondo che acquistano i nostri titoli, direttamente o per il tramite di investitori più grandi, a un tasso d’interesse che dipende dal merito di credito della Repubblica. Per convincerli a comprare senza corrispondere una remunerazione esorbitante, è essenziale proteggere la reputazione del paese e la politica estera è uno dei criteri che concorrono a determinarla.

Basta poco per perdere la fiducia delle Borse: è sufficiente un attacco coordinato condotto da poche ma influenti testate aventi risonanza globale – come New York Times, Washington Post, Financial Times ed Economist (si ricorderà certamente l’«unfit», «inadatto», riservato a Berlusconi da una sua celebre copertina) – a far scappare i potenziali compratori, spingendo lo spread alle stelle e avvicinando il Tesoro italiano allo spettro del default che porterebbe al collasso del paese, comportando il blocco di ogni servizio pubblico, dagli ospedali alle scuole, dai tribunali ai presidi di polizia. È per questa stringente ragione, e non per servilismo, che specialmente in tempo di crisi l’interesse nazionale italiano non può essere definito in modo divergente rispetto a quelli delle più forti potenze finanziarie e mediatiche del pianeta di cui siamo alleati senza che sia pagato un prezzo insostenibile. Tale circostanza spiega perché, mentre infuria una guerra che coinvolge la Russia nella posizione di Stato aggressore, i margini d’azione e iniziativa dell’Italia siano scomparsi. Noi non siamo l’Ungheria, che ha un debito sovrano al 75% del pil e vanta la possibilità di praticare una politica monetaria indipendente, e se del caso disinvolta, di cui è manifestazione un’inflazione che tende ormai al 20% annuo. Con un debito ormai al 150% del suo pil servito interamente dal risparmio privato mondiale, l’Italia non può permettersi giri di valzer à la Orbán. Il precedente del 2011 è stato metabolizzato da tutti coloro che furono protagonisti di quella stagione e si trovano oggi di nuovo nella stanza dei bottoni.» Il secolo della Turchia? di Daniele Santoro è un’accurata analisi delle ambizioni geopolitiche imperiali di Erdogan e della sua Patria blu.

Tutto da leggere. In questa parte del volume ci sono articoli dedicati ai Balcani e alla Moldova, che saranno ripresi nel numero dedicato alla Polonia Imperiale. La terza parte del volume, intitolata Virate in corso nell’Indo-Pacifico analizza con alcuni articoli la Cina e le sue politiche, prima della presentazione del Piano per la pace e della visita di Xi Jinping a Mosca, evidenziando tutte le difficoltà incontrate dal Dragone nel cercare di ristabilire un nuovo ordine mondiale. Articoli interessanti sono anche quelli che esaminano la posizione di Corea del Sud e Giappone e le tensioni tra Cina e India. Un istruttivo approfondimento sull’uso dell’inglese come lingua franca europea in contrasto col principio del multilinguismo ribadito in moltissimi Atti dell’Unione Europea è vivamente consigliato nell’articolo di Elio Cirillo, Leuropa (volutamente scritto così) parla inglese per far finta di esistere.

Due parole su questo neologismo, tratto dal libro necessario di Lucio Caracciolo, La pace è finita: Leuropa”. Lemma che surroga, nell’espressiva vaghezza, l’impossibilità di assegnare la Sagrada Familia comunitaria a categoria omologata. Oggetto geopolitico non identificato (Ogni), buono per ogni uso accademico (impressionante il proliferare di cattedre di Studi Europei) o propagandistico. Sineddoche esemplare del principio di indeterminazione che presiede alla formazione e all’espansione dello spazio comunitario lungo la parabola che dai Trattati di Roma (1957) via Maastricht(1992) sfocia nel Brexit e nella crisi del Covid-19(2020) fino a confrontarsi con l’emergenza suprema dell’aggressione russa all’Ucraina(2022) insieme rivelatrici e acceleratrici dell’entropia continentale».

Chiudiamo con l’editoriale di Caracciolo, che dopo un’attenta disamina degli attori in campo in questa Guerra Grande e dei diversi interessi geopolitici che rappresentano, scrive: «Deprime ma non sorprende il modo in cui noi italiani affrontiamo l’emergenza. Nei media prevale una comunicazione impressionistica che riduce la guerra a sequenza di orrori. Cronaca nerissima, senza prospettiva storica né sguardo al futuro. Il deficit strutturale di statualità che comporta l’inibizione del pensare strategico; l’abitudine condivisa da tre generazioni a considerare la pace un diritto umano impermeabile alle tempeste in avvicinamento; il fondo ecumenico della nostra società, indisposta ad ammettere l’esistenza di nemici e sorpresa se altri ci considerano tali: tutto cospira all’inazione o alle manovre borboniche». Da tempo il direttore della scuola di Limes invoca per l’Italia l’arte della diplomazia, in cui eccellevamo, indicando nel quadrilatero con Francia Germania e Spagna un gruppo di Paesi che potrebbero costituire un Forum permanente per la pace. «Non sarebbe la soluzione. Ma segno dei tempi sì. Certi segni arrivano quando meno li aspetti. Come un ladro nella notte». Buona lettura “ricostituente” a tutte e tutti.

L’analisi della copertina di questo numero di Limes a cura di Laura Canali si trova qui.

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Articolo di Sara Marsico

Ama definirsi un’escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la c maiuscola. Docente per passione da poco in pensione, è stata presidente dell’Osservatorio contro le mafie nel sud Milano e referente di Toponomastica femminile nella sua scuola. Scrive di donne, Costituzione e cammini.

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