Editoriale. “Cambia todo cambia”. La speranza della Resurrezione laica

Carissime lettrici e carissimi lettori,

quando era in voga nei bar il frappalà di ciliegie per chi amava il dolce e voleva bersi in pace, in terra nostrana, quello che era per tutti/e uno Sherry Brandy. Quando Courmayeur si chiamava Curmaiore o quando Morgex era Valdigna d’Aosta. Quando il signore o la signora Vodopivec si sono ritrovati il cognome (!) tradotto letteralmente dallo slavo e da allora iniziarono a chiamarsi Bevilacqua, quando Mescita era lo stesso luogo pubblico conosciuto con il nome di bar, dove si doveva ordinare l’acquavite facendo attenzione a non chiamarla con il nome corrispondente del brandy e del Whisky. Oppure quando si preferiva usare per gli stessi alcolici il patrio termine arzente di dannunziana memoria. Per mangiare si sceglieva il Tramezzino e mai lo si doveva nominare come Sandwich e si sorseggiava la Bevanda Arlecchina forse non sapendo che si stava degustando un semplice Cocktail.

Anche lo sport aveva cambiato i nomi. Rimaneva solo la parola, anche se gli veniva preferito l’aggettivo, sportivo. Tra le discipline, molte erano legate a termini inglesi. Nel 1930 il Rugby si trasforma in Palla ovale. L’hockey si adeguava cambiando almeno il modo di scrittura che muta in Ochei quando non addirittura in palla-rotelle, se la squadra giocava con i pattini.

Il Football è ormai immancabilmente tradotto in Calcio, per tutti e tutte. Anche il basket di allora subisce l’italianizzazione, diventando palla al cesto o anche pallacanestro, rimasta anche oggi nell’uso. 

Era il fascismo, l’epoca in cui regnava l’autarchia, tutto creato rigorosamente in casa. L’impegno ad evitare tutto ciò che venisse da fuori, dal sapone al modo di mangiare o divertirsi: «L’italianizzazione – informa Wikipedia – è stato un disegno politico del regime fascista con l’intento di diffondere la lingua italiana, ma anche di intervenire sull’uso del dialetto di gruppi linguistici con diversa madrelingua. Il progetto di un’autarchia linguistica… con l’intento di rafforzare una connotazione centralista e il consenso popolare controllando maggiormente anche aree di colonizzazione recente».

Filippo Tommaso Marinetti dalle pagine de L’Impero nel 1923 esigeva: «Italianizzazione obbligatoriamente immediata degli alberghi. Tutte le diciture, insegne e liste delle vivande, conti ecc. in lingua italiana. Italianizzazione della nuova architettura contro l’uso sistematico di plagiare le architetture straniere… Italianizzazione obbligatoria delle edizioni e dei caratteri tipografici».
Parlando di editoria, un giornale di Firenze, La scena illustrata, nel 1931 aveva inaugurato una rubrica esplicitamente intitolata Difendiamo la lingua italiana. A Roma, l’anno dopo, La Tribuna bandì addirittura un concorso tra i lettori per trovare le sostituzioni per cinquanta parole straniere. La Gazzetta del Popolo di Torino invece inaugurò la rubrica Una parola al giorno per «ripulire la nostra lingua dalla gramigna delle parole straniere che hanno invaso e guastato ogni campo». Il giornalista Paolo Monelli, nel 1933, riunì 500 parole esotiche in un libro intitolato Barbaro dominio.

Inevitabilmente anche il cinema del ventennio ha partecipato alla bonifica linguistica anche se le sviste non mancarono. Una chicca: in un lungometraggio di propaganda del 1936, Milizia territoriale, nei titoli si legge ancora copyright e motion pictures.
Nel 1940 il fascismo, per legge, considerò anti-italiano l’uso corrente di quasi tutte le parole straniere fino ad allora impiegate anche quando erano facilmente sostituibili con termini nostrani.
A fornire l’elenco dei forestierismi banditi era la Regia Accademia Italiana che suggerì termini italiani da utilizzare al posto di quelli stranieri. L’elenco sarà pubblicato sul Corriere della Sera del 21 giugno del 1941 come Bollettino di informazioni della Reale Accademia d’Italia
Il 16 aprile del 1941 sempre il Corriere della Sera informa che «presto sarebbe entrata in vigore una legge che avrebbe vietato l’uso di parole straniere nelle insegne dei negozi, nelle targhe poste all’esterno degli edifici, sugli involucri e recipienti in qualsiasi modo esibiti al pubblico, tanto nelle vetrine quanto all’interno delle botteghe. Nel settore dell’arredamento e dell’abbigliamento si era già provveduto, tramite l’Ente della Moda, alla compilazione di un dizionario delle parole destinate a sostituire le denominazioni straniere più diffuse non solo tra i commercianti, ma anche tra i consumatori, molte delle quali così radicate da essere ormai ritenute di uso comune».
Nella realtà dai quotidiani di quegli anni apprendiamo che: «Nonostante l’attiva propaganda svolta e le vive raccomandazioni rivolte agli interessati, non tutta la vieta terminologia estera è scomparsa dalle vetrine dei negozi e dai cartelloni indicativi dei prezzi. Viene fatto ancora di leggere, passando per le strade, attraverso i cristalli delle vetrine, cartellini con scritto crêpe invece di crespo, satin invece di raso… La legge diventerà esecutiva dal prossimo mese di luglio – scrive il quotidiano – e allora a carico dei trasgressori saranno prese gravi sanzioni, che possono arrivare al ritiro della licenza d’esercizio e alla condanna a sei mesi di reclusione e all’ammenda fino a 5.000 lire. Altrettanto non si può dire per altri settori merceologici, tra cui quello dei liquori e dei dolciumi».
Torniamo ai giorni nostri. La proposta di legge presentata qualche mese fa da Fabio Rampelli, membro della Camera dei deputati, e sostenuta dalla (o dal) presidente del Consiglio, parla di punire (!) l’uso dell’inglese e di altre parole straniere nelle comunicazioni ufficiali, con multe tra i 5.000 e i 100.000 euro. Riguardo al passato assonanze ci sono e, mi permetterei di aggiungere, pericolose premesse!
L’obiettivo della proposta dell’on. Rampelli, che ha ricevuto ampie critiche anche da parte dei più rinomati studiosi di linguistica e filologia italiana nonché della prestigiosa Accademia della Crusca, è «difendere e promuovere la lingua italiana e proteggere l’identità nazionale», secondo quanto dichiarato dal partito di governo (di oggi, ma palesi rimandi al passato ci sono!). Con un tweet pubblicato sul suo profilo, il deputato ha fatto un esempio della cosiddetta anglomania, che porterà politici e burocrati italiani a essere multati se la legge verrà approvata: «Nella Camera dei deputati si parla italiano – scrive Rampelli – continuiamo la nostra battaglia per l’uso della nostra lingua al posto dell’inglese: non riusciamo a capire perché si debba chiamare dispenser l’erogatore di igienizzante». Secondo la proposta di legge, l’uso di parole inglesi «avvilisce e mortifica la lingua italiana ed è ancora peggio ora che il Regno Unito non fa più parte dell’Unione europea». Di nuovo vengono palesi i collegamenti?!
Guardiamo qualche dato. La Treccani, l’autorevole enciclopedia in lingua italiana, contiene attualmente 9.000 parole inglesi e 800.000 parole italiane. Dal 2000, il numero di parole inglesi che si sono inserite nella lingua italiana è cresciuto del 773%. «L’adozione di parole inglesi nella lingua italiana è oggetto di un dibattito infinito in Italia, dove le opinioni sono divise tra la tutela dell’integrità della lingua nazionale e l’accettazione del fatto che le lingue vive sono fluide e in continua evoluzione… La nuova proposta di legge prende una posizione forte in questo dibattito, spingendo per un approccio conservatore che intende praticamente bandire le parole inglesi dalla pubblica amministrazione, dalle scuole e dalle università”. Secondo la nuova legge, «qualsiasi corso universitario che non sia specificamente finalizzato all’insegnamento di una lingua straniera deve essere tenuto in italiano». E «I corsi in lingua straniera saranno giustificati solo se rivolti a studenti stranieri». Il fatto è che in tutto questo bailamme per l’uso di termini inglesi (ma spesso anche francesi) non si tiene conto di un fattore importante e non di poco conto: vale a dire che ogni lingua risente del ceppo di appartenenza (per noi l’indo-europeo con base il sanscrito e il latino, oltre che il greco antico), ma sono tante anche le influenze linguistiche arrivate con le conquiste, con le migrazioni. Forse è qui il punto dolente? Invece queste infiltrazioni si potrebbero (e si devono) considerare interventi culturali. In Italia, terra sviluppata sul mare e in lunghezza, gli apporti linguistici esterni sono innumerevoli, primo fra tutti l’arabo o il turco con influssi, soprattutto provenienti dalle lingue/dialetti non solo del sud (millenari). Fondaco (arabo Fonduq), magazzino (arabo mahzen), arsenale e darsena (arabo dar al-Sina), marzapane (il nome di una città), zafferano e persino assassino. Per non parlare dei salamelecchi da fare davanti a una persona o del termine divano che viene dal turco! Poi albicocca, arancia, alcova, algebra (ma dirle tutte sarebbe infinito). Inoltre, citiamo la famosa frase: «Ho messo il caffè nella caraffa. Nella dispensa c’è una cassata con i canditi, nella casseruola un po’ di carciofi». Dove tutte le parole con la “C” derivano dall’arabo! Altro che «sentirsi fichi» secondo quanto dice l’on. Rapelli degli impiegati della pubblica amministrazione che usano le parole in inglese! «l’uso di parole inglesi avvilisce e mortifica la lingua italiana ed è ancora peggio ora che il Regno Unito non fa più parte dell’Unione europea». Sa dell’assurdo e, permettetemi, di anacronistico!
Ma è invece proprio un termine inglese a evidenziare l’intitolazione di quello che dovrebbe essere il settimo Liceo della Scuola superiore nostrana. Si dovrebbe chiamare Liceo Made in Italy che alle materie usuali, dall’Italiano alla Matematica accosta il Diritto e l’Economia aziendale. Un mix (si potrà dire?) tra i temi di base dei corsi tradizionali e l’apertura a aree di studio ora trascurate o del tutto assenti nell’istruzione secondaria. «Stiamo pensando a un liceo del Made in Italy – ha spiegato proprio Giorgia Meloni a margine della sua lunga visita al Vinitaly di Verona – per valorizzare percorsi che spieghino il legame che esiste tra nostra cultura, i territori e la nostra identità».
La notizia sembra essere molto concreta e veritiera. Dal 23 gennaio scorso è pronto in Senato, incardinato alla commissione Cultura e Istruzione, un disegno di legge a firma della senatrice Carmela Bucalo, di Fratelli d’Italia, che promuove la nascita di questo settimo liceo italiano. «Il provvedimento era pronto dal luglio 2022 – è stato detto –. La scorsa legislatura, ci aveva lavorato per sei mesi insieme a Paola Frassinetti, oggi sottosegretaria all’Istruzione, ma la fine del Governo Draghi ne ha rimandato la presentazione».
Il futuro liceo della scuola italiana prevede un’immediata immersione, a 14 anni, classe prima, nelle dinamiche del commercio internazionale e nella difesa, strenua, dei prodotti nazionali. In particolare, nell’enogastronomia, nella moda, nell’arte. Si studieranno, come in ogni liceo che si rispetti, Letteratura italiana e Storia (poca Geografia, niente Latino!). Da subito sarà nel programma lo studio del Diritto dell’Economia politica e, chiaramente, non poteva mancare quello dell’Informatica.
«A partire dal terzo anno tre discipline porteranno lo studente dentro il poderoso conflitto mondiale commerciale e gli accorgimenti necessari per difendere le nostre fette di mercato. Una delle materie di studio: Economia e Gestione delle imprese del Made in Italy (i rapporti tra l’azienda e il suo business di riferimento, le coperture finanziarie, il marketing, così, all’inglese). Quindi: Modelli di business nella Moda, nell’Arte e nell’Alimentare. Infine: Made in Italy e Mercati internazionali. Sempre dal terzo anno entrerà nel programma anche lo studio della Filosofia».
Diventeranno più colti/e i nostri ragazzi e le nostre ragazze? Saranno più adatti/e a affrontare il mondo del lavoro, entrare nella produzione? Sarà davvero questo ciclo di studi a portare avanti il Made in Italy, il creato in Italia? Contro chi?  Per dire al mondo che il parmigiano è di Parma e che la pizza è nata a Napoli? Forse sarà nel menù delle intenzioni ministeriali immediate e future: «Vogliamo portare la novità nelle classi del Paese prima che finisca questa legislatura – ha confermato la senatrice Bucalo, già dirigente amministrativa della scuola – Dovremo, quindi, passare a riformare gli istituti agrari, sia quelli tecnici che quelli professionali, renderli funzionali, restituire agli istituti i laboratori di cui hanno bisogno». E parlando di fondi che dovrebbero arrivare dal ministero la senatrice annuncia: «il liceo Made in Italy per ora è a costo zero!».
In effetti non è la prima volta che un governo è salito in cattedra (c’è da dirlo) e vuole mettere mano alla scuola non stanziando maggiori finanziamenti per aule più sicure o meno affollate, ma con il fine di rendere la scuola più “utile”, pregnante alla vita moderna e, si dice, più abile all’entrata dei ragazzi e ragazze nel mondo del lavoro. Ci pensarono già Letizia Moratti e Mariastella Gelmini per le quali, durante il loro ministero, le e gli studenti devono sapere di Diritto, di Economia aziendale e di Informatica e, quelle volte lì, tanto… Inglese, persino alla materna! Niente latino, lingua morta e sepolta. Figuriamoci il greco antico! Forse il Liceo Classico sarà un ricordo del passato di vecchi e vecchie nostalgiche. La matematica, quella degli assiomi, sarà troppo “poetica”. L’inutilità, come abbiamo detto altrove, sarà messa al bando. Giudicata fuori… produzione. C’è da dirlo. Dai 14 anni si deve imparare il futuro: la velocità di futuristica memoria!
Nel tempo sacralizzato della Pasqua si può cercare il pensiero, contemporaneamente disposto in senso sia laico che religioso, per trovare la Resurrezione. Del Cristo morto e ritornato in vita per il bene e la salvezza dell’umanità per chi crede nel valore della religione. Ma ugualmente c’è una simile ricerca della giustizia, della pace della libertà in chi parte da un pensiero del tutto laico come lo troviamo nella rinnovata e laica figura dell’ateo ne Il Sosia di Dostoevskij, autore non autarchico ma classico. Per questo decisamente universale, al di là di ogni guerra reale e disputa nuova.
Allora la voce, il canto di una donna, nata “alla fine del mondo”, come indicò papa Francesco la sua terra, ci dona speranza di questa Resurrezione laico/religiosa. Di questa idea, che ascolterete e sentirete nel testo e nella voce dell’argentina Mercedes Sosa, di far nascere una nuova umanità, con valori universali, forgiati sullo spirito di riflessione di questa festa. Auguri così, veramente, a tutte e a tutti!

Haydée Mercedes Sosa (1935-2009) era una cantante argentina che è stata la voce della rivoluzione in opposizione il governo, simbolo della sua terra e della lotta per la pace e i diritti civili contro la dittatura. Si definiva semplicemente cantora popular. La sua musica di denuncia fu subito odiata dai militari, che prima censurarono la cantante e poi la costrinsero, dopo un periodo di detenzione (fu arrestata durante un concerto a La Plata) all’esilio, nel 1979, prima a Parigi e poi a Madrid. Durante l’esilio Mercedes Sosa dedicò molti brani alla sua patria e alla speranza di cambiamento, di pace e democrazia per gli argentini, come il brano Toto cambia, scritto da Julio Numhauser e che qui presentiamo nella sua versione originale e in quella in italiano eseguita, altrettanto magistralmente, da Teresa De Sio. La Cantadora tornerà in patria il 18 febbraio 1982, alla vigilia della caduta del regime e si esibirà tredici volte al Teatro dell’Opera della capitale. Tutti i suoi concerti, da allora, iniziarono con il brano Todavía cantamos, un inno alla resistenza e alla speranza. Il ritorno alla democrazia coincide con il successo discografico del live Mercedes Sosa en Argentina dallo Stadio Ferro Carril Oeste. Lo spettacolo diventerà poi parte del documentario a lei dedicato, Como un pájaro libr. Alla sua morte, il 4 ottobre 2009, Mercedes Sosa sarà pianta in tutto il Sudamerica e per lei, oltre che in Argentina, sarà proclamato ovunque il lutto nazionale. Ecco il bellissimo testo e il video della canzone. Da ascoltare come una laica preghiera di Resurrezione!

Todo cambia nella versione originale cantata da Mercedes Sosa e nella versione italiana di Teresa De Sio.

Cambia lo superficial
Cambia también lo profundo
Cambia el modo de pensar
Cambia todo en este mundo

Cambia el clima con los años
Cambia el pastor su rebaño
Y así como todo cambia
Que yo cambie no es extraño

Cambia el más fino brillante
De mano en mano su brillo
Cambia el nido el pajarillo
Cambia el sentir un amante

Cambia el rumbo el caminante
Aunque esto le cause daño
Y así como todo cambia
Que yo cambie no extraño

Cambia, todo cambia
Cambia, todo cambia
Cambia, todo cambia
Cambia, todo cambia

Cambia el sol en su carrera
Cuando la noche subsiste
Cambia la planta y se viste
De verde en la primavera

Cambia el pelaje la fiera
Cambia el cabello el anciano
Y así como todo cambia
Que yo cambie no es extraño

Pero no cambia mi amor
Por más lejos que me encuentre
Ni el recuerdo ni el dolor
De mi pueblo y de mi gente

Lo que cambió ayer
Tendrá que cambiar mañana
Así como cambio yo
En esta tierra lejana

Cambia, todo cambia
Cambia, todo cambia
Cambia, todo cambia
Cambia, todo cambia

Pero no cambia mi amor
Por más lejos que me encuentre
Ni el recuerdo ni el dolor
De mi pueblo y de mi gente

Y lo que cambió ayer
Tendrá que cambiar mañana
Así como cambio yo
En esta tierra lejana

Cambia, todo cambia
Cambia, todo cambia
Cambia, todo cambia
Cambia, todo cambia

Cambia, todo cambia
Cambia, todo cambia
Cambia, todo cambia
Cambia, todo cambia

————–

Cambia ciò che è superficiale
e anche ciò che è profondo
cambia il modo di pensare
cambia tutto in questo mondo.

Cambia il clima con gli anni
cambia il pastore il suo gregge
e così come tutto cambia
che io cambi non è strano.

Cambia il più prezioso brillante
di mano in mano il suo splendore,
cambia nido l’uccellino
cambia il sentimento degli amanti.

cambia direzione il viandante
sebbene questo lo danneggi
e così come tutto cambia
che io cambi non è strano.

Cambia, tutto cambia
Cambia, tutto cambia
Cambia, tutto cambia
Cambia, tutto cambia.

Cambia il sole nella sua corsa
quando la notte persiste,
cambia la pianta e si veste
di verde in primavera.

Cambia il manto della fiera
cambiano i capelli dell’anziano
e così come tutto cambia
che io cambi non è strano.

Ma non cambia il mio amore
per quanto lontano mi trovi,
né il ricordo né il dolore
della mia terra e della mia gente.

E ciò che è cambiato ieri 
di nuovo cambierà domani
così come cambio io
in questa terra lontana.

Cambia, tutto cambia…

Buon ascolto, buona lettura e buona Resurrezione religiosa e laica per a tutti e tutte noi! Auguri!

Diamo un’occhiata agli articoli di questo numero. Presentano, accanto a temi di stringente attualità, diverse figure femminili, alcune note, altre poco conosciute, nel segno della mission della nostra rivista: restituire visibilità alle donne e insieme «far esplodere le riflessioni nelle menti di chi inciampa nei nostri articoli. Riflessioni che vogliono fornire a chi legge nuove energie intellettuali (vita-mine appunto), nuovi punti di vista, nuove prospettive». Partiamo da un approfondimento sull’importanza della funzione del giornalismo nell’era dei social, Media e diversità. Per una narrazione rappresentativa. L’autore ci ricorda che «il giornalismo è un impegno civico, sociale e morale oltre che professionale» e che «compito dei giornalisti e delle giornaliste è quello di far emergere dal sommerso della realtà tutto ciò che è invisibile, dimenticato, denigrato, o ancora volontariamente distorto e manipolato». Un tema divisivo e narrato malissimo dai nostri media è quello della cosiddetta Gpa. Ce ne parla in modo molto equilibrato un’altra potente vitamina vagante Maternità surrogata tra sfruttamento e autodeterminazione, in cui l’autrice ci ricorda che nove coppie su dieci che ricorrono a questa modalità sono eterosessuali e ribadisce che i diritti da difendere sono quelli dei minori, in tutta questa vicenda sacrificati da un ordinamento giuridico che in tutti gli altri campi del diritto non fa che proclamare la priorità dell’interesse del minore. Anche a proposito della guerra in Ucraina prevale nei media una comunicazione «impressionistica» che la riduce a una sequenza di orrori, pura cronaca nerissima, priva di prospettiva storica e senza sguardo al futuro. Se ne parla in La guerra continua. Il primo numero di Limes 2023 Parte seconda.

Ma veniamo alle nostre serie, partendo per il nostro viaggio da Roma: per La targa che non c’è, Via XX Settembre n° 66: il rifugio romano di Paolina Bonaparte ci accompagna alla scoperta di un luogo particolare, «dove era possibile trovare felicemente riuniti i caratteri della proprietà inglese, dell’eleganza francese e del buon gusto italiano».

Ci spostiamo in Irlanda del Nord per incontrare la donna di Calendaria 2023, Máiréad Corrigan, premio Nobel per la pace nel 1976, instancabile seminatrice di semi di nonviolenza, la più giovane a ricevere questo importante riconoscimento prima di Malala Yousafzai.

Dal Convegno nazionale di novembre 2022, a Padova, di Toponomastica femminile, un contributo interessante e insolito vi incuriosirà: Cibo, agricoltura e ideologia. I passeri di Mao. Altrettanto insolito il tema di cui tratta Bibliografia vagante. Potere, patrimonio, monacazione nei regni iberici, il primo articolo di un percorso all’interno degli indici online di riviste scientifiche di ambito umanistico non legate specificamente ai temi di genere, che ha lo scopo di offrire a chi legge la nostra rivista, uno scorcio di quanto è stato pubblicato di recente sul mondo femminile.

Per celebrare l’anniversario della nascita di una grande soprano nata d’aprile ci spostiamo a Barcellona con il ricordo di Montserrat Caballé da regina del belcanto a icona pop, ambasciatrice Unesco e benefattrice, artista di grande umanità e umiltà. Un altro importante anniversario è stato il 5 aprile, data in cui ben cinquantotto anni fa presero servizio le prime donne ammesse nella nostra Magistratura: ne parliamo nell’articolo Un anniversario storico.

Voliamo nelle Madonìe con una delle iniziative più originali della nostra associazione: intitolare una camera in albergo o agriturismo a una letterata o poeta. Camera d’autrice a Maria Messina è l’articolo che dà voce e visibilità a una scrittrice apprezzata da Verga e che Sciascia definì «la Mansfield siciliana». Licata le ha dedicato una stanza della struttura ricettiva “Dimora San Girolamo”, per rimediare all’oblio in cui era stata confinata.

Come sa chi ci legge abitualmente, Senso di marcia è il nome che abbiamo dato alla maratona online organizzata per la settimana contro il razzismo e per cui abbiamo vinto il Bando Unar 2023 della Presidenza del Consiglio dei ministri. Ce ne parla Senso di marcia. 22 marzo 2023. Viaggiatrici o migranti?, che ci ricorda come «le donne, ad oggi, rappresentano in Italia più del 50 % della migrazione e sono, per molti settori lavorativi, una vera e propria spina dorsale»; sul tema del viaggio e delle migrazioni femminili potrete leggere anche la recensione del bellissimo film Le Nuotatrici, due giovani siriane dalla fuga alle Olimpiadi che racconta una storia vera.
Senso di marcia. 25 marzo 2023. Narrazioni è stato il tema della penultima giornata della nostra maratona. Tra le tante storie raccontate, tutte interessanti, quella che più ci ha colpito riguarda Nives Meroi, un’alpinista con l’apostrofo, che ha dovuto affrontare tanti pregiudizi, tutti superati con forza e determinazione.

Ci lasciamo con La cucina vegana. Torta tatin alle cipolline, variante salata della più conosciuta ricetta francese con le mele, augurando a tutte e tutti una Pasqua di rinascita e pace.
SM

***

Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

Un commento

  1. Cara Direttora, grazie. Sei grande nel raccontare contenuti, grande nella forma: è un privilegio leggerti. Tra l’altro in questo tuo scritto ci parli di Mercedes Sosa, che amo. Nel 2009 io ero a Rosario proprio negli ultimi suoi giorni di ospedale, e per tutta la città, in centro e in periferia si parlava di lei. Dal giorno della sua morte in poi per le strade non si udiva altro che le sue canzoni. Tutto cambia, ma non cambierà la gioia e la gratitudine con cui ricordiamo la Cantora.

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