Editoriale. L’Orsa e la razza italica

Carissime lettrici e carissimi lettori,

un bambino, dal nome che richiama il mito e la creazione di una città dal destino imperiale, viene affidato dalla mamma a quella che un tempo si chiamava ruota degli esposti e che ora è detta, e resa più umana, come culla per la vita. La madre viene fatta segno di giudizi severi, accusata di abbandono, mentre il desiderio è d’amore: separarlo da sé per dargli la strada verso una vita migliore. 

Due donne, una madre e sua figlia, moglie del suo assassino, muoiono per mano di un progetto maschile. Undici ragazzi (nove maschi e due femmine), tutti all’università e con promessa ai genitori di essere arrivati al giorno della laurea, si suicidano mentre le famiglie sapranno solo dopo delle loro assurde, inspiegabili bugie. 

Un’altra ragazza figlia di migranti, reputata promessa di volley in Italia, precipita dal sesto piano di un albergo di Istanbul dove la squadra in cui giocava era andata per una gara. Nulla risulta chiaro. La madre, corsa in Turchia da Milano, non crede alla tesi del suicidio. Non ci crede e chiede spiegazioni, neppure l’amica più fidata con la quale fin da giovanissima aveva sfidato la forza dei pesi e diviso l’amore per il palleggio. 

Un’altra ragazza, guardando al bello e al bene, sempre appartenente allo sport, ci offre un segno di speranza e di generosità e civiltà. Davvero è commovente quello che è successo nella finale dei campionati italiani Under 23 di Scherma! Viene da dire: da non crederci. Invece è tutto vero. Gaia Traditi era in vantaggio di 12 stoccate a 9, ma si infortuna in modo serio alla caviglia destra, fa fatica anche solo a rimanere in piedi. L’avversaria è Emilia Rossatti e avrebbe l’occasione, a 17 secondi dalla fine, di sfruttare l’infortunio dell’avversaria (e grande amica) e rimontarla. Invece fa qualcosa «destinato a diventare uno dei momenti più belli e indimenticabili degli ultimi anni»: arretra sulla pedana, rinuncia all’assalto, lascia scorrere i secondi che mancano, e consegna, di fatto, l’oro a Traditi. Il tempo di rincuorarci sul destino dell’umanità. 

Con un salto all’indietro, verso il passato, che però si fa ancora dolorosamente presente, un’altra ragazzina, non meno generosa, ma forse capitata in una situazione scura, quindicenne, cittadina vaticana, ritorna con la sua storia a occupare le cronache dell’oggi. Manuela Orlandi in un tardo, e forse caldissimo, pomeriggio di fine giugno di quaranta anni fa esatti sparisce nel nulla, mentre sta tornando a casa dopo una lezione di musica presa a Palazzo Sant’Apollinare, di proprietà vaticana intorno alle bellezze di piazza Navona e del Palazzo del Senato. Manuela svanisce da quel giorno, senza lasciare traccia e, ad oggi, nessuno decide di dire alla famiglia la verità. 

Sempre dal passato ma con uno sguardo al presente prossimo, la festa, imminente ,della Liberazione dal fascismo (che non è la stessa cosa che nomina la Premier come Festa della Libertà!), un amico, compagno di liceo, ricorda una cosa che si era come volatilizzata e che invece è, soprattutto oggi, gravissima, soprattutto per essere passata quasi inosservata. Parliamo del rastrellamento del Quadraro, un quartiere popolare lungo la via Tuscolana che porta la città verso i Castelli, patrimonio della frescura per i romani. Tutto cominciò all’alba del 17 aprile del 1944. I nazisti accerchiano il Quadraro: «si te volevi nasconne a Roma c’erano solo du posti: er Vaticano e er Quadraro»! Per questo si decise e iniziò la retata (c’erano anche ebrei e ebree scampati/e al rastrellamento del Ghetto) di tutti gli uomini dai 15 ai 60 anni «deportati per il reclutamento della forza lavoro tedesca. Oltre 700 uomini vengono diretti verso la Germania per essere poi venduti come schiavi a fabbriche di prodotti chimici, industrie minerali, alimentari o edili. Tutti sono colpiti, senza distinzione di orientamento politico o di classe sociale. Il Quadraro diventa un quartiere di soli anziani, donne e bambini».

Poi le cronache ci riportano all’oggi. Cronache dettagliate e ossessive, di un ricovero medico, quasi spiato. Invece l’ospedalizzazione, la cura medica del corpo deve essere sempre un momento intimo, umano personale e familiare per chi si sta sottoponendo a esso. Al di là degli sguardi della politica. Invece di nuovo la malattia di un capo nominale di un partito si è trasformata ancora una volta nel mito del corpo che diventa, dunque, anche e di nuovo (come lo fu l’attentato fatto dal lancio della statuetta del Duomo di Milano) un corpo politico. Cronache di questi giorni. 

Di tutto ciò che abbiamo mostrato sopra, quello che colpisce di più è la scelta suicida di tanti, troppi giovani in età di studio. «Il suicidio — hanno scritto — è stato, è la seconda causa di decesso tra i ragazzi e le ragazze fra i 15 e i 24 anni (la prima sono gli incidenti stradali): è un dato consolidato, ma è cresciuto dopo la pandemia di Covid-19». Diana Biondi, diciannove anni, è la decima studente d’università che, negli ultimi due anni e mezzo, si è tolta la vita: «Schiacciata dal meccanismo, diventato fuori controllo e quindi asfissiante, degli esami da superare in tempo, i voti da mantenere intorno al 30 per prestigio e comparazione, stritolata da una prassi d’ateneo riconosciuta da sempre — appello, esame orale, valutazione —  e adesso non più sopportabile», si è commentato. Dopo di lei si è ucciso Antonio Corrado, 29 anni, iscritto a Medicina all’Università di Chieti-Pescara. Nelle ultime tre stagioni undici ragazzi italiani, secondo la ricostruzione di un quotidiano a tiratura nazionale, «hanno scelto di farla finita dopo aver garantito alla famiglia risultati che non arrivavano, promesso feste di laurea senza che ci fosse la laurea da festeggiare». Nove studenti e due studentesse, tutti tra i 19 anni e i 30 anni. Frequentavano a Catania e Palermo, Napoli (due, qui), Chieti, Pisa e Bologna (due, anche qui), poi Pavia, Milano e Padova. Quattro di loro si sono uccisi nei primi quattro mesi del 2023, l’ultimo, Antonio, due settimane fa. Pasquale Colloca, professore associato del Dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università di Bologna, dice al quotidiano: «Il suicidio può essere interpretato come un fenomeno che scaturisce dalla tensione sociale, in determinati periodi storici più forte. Quella che si crea tra una meta che viene culturalmente definita come tale, la laurea ad esempio, e le effettive possibilità di raggiungerla. Dietro c’è un’interpretazione utilitaristica dello studio, come strumento per acquisire nozioni e voti, che genera ansia. Sarebbe limitante incolpare l’università, ma certamente la pressione sociale che gli studenti vivono tutti i giorni potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso. Viviamo una società che ci vuole sempre bravi e performanti e questo non è facile da reggere».

Sempre durante gli anni della formazione, dell’educazione al rispetto e all’inclusione sociale succede qualcosa di raccapricciante: «Ammazzati, tanto non se ne accorge nessuno». Oppure: «Lei come l’Ebola, lei che è da evitare come una malattia, deve togliersi di mezzo. Si dovrebbe suicidare». Sono una delle tante frasi rivolte, giornalmente, come una delle più tragiche e assurde docce cinesi, a una ragazzina di appena 14 anni da un gruppetto di compagni (!) di scuola. All’inizio non ci ha dato tanto peso, semmai arrivando tardi a scuola e non dando eccessiva confidenza a chi pensava appartenente a questo assurdo gruppo segreto che metteva l’obbligo ai suoi tristi adepti di scrivere una frase al giorno per colpirla. Poi si è spaventata e ne ha parlato con la madre che si è attivata per denunciare la cosa. Intanto ho appena saputo di una giovanissima attrice pakistana data per morta suicida su un social, così per gioco. Come se la vita e la morte si potesse giocare come a dadi!

Vorrei concludere ritornando all’inizio di questo scritto. Al piccolo Enea che non è stato abbandonato dalla mamma e porta il suo carico di dolore presentandosi piccolo al mondo per fondare la città della sua vita. Mi è piaciuta molto la lettera che domenica gli ha dedicato Luciana Littizzetto, splendida e commovente. Voglio riproporvela intera. 

«Caro Enea, bel cicciottino di 2 kg e mezzo, cucciolo di specie umana, super-millennial, classe 2023. Piccolo avannotto che dai le tue prime bracciate nel mare tempestoso della vita. Perché la tua mamma dopo averti tenuto nella sua pancia per nove mesi ha pensato che saresti stato meglio lontano da lei. Credo che questa decisione le sia costata molto cara, sai Enea. Così ti ha lasciato in una culla per la vita a Milano. Le culle per la vita non ci sono solo a Milano, sai. Ci sono in tante città d’Italia. Ci sono a Napoli, Varese, Parma, Padova, Firenze e Roma. Più di una in ogni regione. E funzionano così: appena la mamma appoggia il bambino in quella piccola cuccia calda scatta un sensore collegato con l’ospedale più vicino che allerta i medici che intervengono subito. Per questo non credere mai a quelli che dicono che la tua mamma ti ha abbandonato. Non ti ha abbandonato, ti ha affidato. Son due verbi molto diversi sai… quando crescerai lo capirai. Abbandonare significa mettere in pericolo, fregarsene di cosa succederà dopo, vuol dire che non te ne importa niente. Affidare, invece, è diverso. È avere così tanta fiducia nell’altro da chiedergli di custodire la cosa che più ti sta a cuore. Semplicemente le mani di mamma hanno incontrato altre mani. È stata una catena d’amore, Enea caro. Non succede solo a te, sai. Pensa che in Italia capita a 400 bambini all’anno. E la maggior parte trova una nuova famiglia già dall’ospedale. Sai, per noi adulti la vita è un casino e a volte siamo costretti a fare cose che non vorremmo. Sembra strano dirlo a te che di settimane su questa terra ne hai così poche ma ti assicuro che più invecchi più le cose si complicano. Non so come mai la tua mamma l’abbia fatto e se vogliamo davvero rispettarla non dobbiamo neanche chiedercelo. Al contrario, dobbiamo custodire il suo segreto con rispetto, silenzio e soprattutto compassione. Sappi comunque che mamma, con il suo gesto pieno di amore e di dolore, ha messo in moto una catena di protezione che nei decenni in Italia abbiamo reso sempre più forte. E che parte dagli ospedali, fino ad arrivare ai tribunali dei minori, agli assistenti sociali, ai genitori affidatari, a quelli adottivi. E questa catena sta dentro una cosa che si chiama Stato e serve apposta per tutelare i diritti di tutti, neonati, bambini, mamme e papà perduti e fragili. Famiglie tradizionali e famiglie non tradizionali. Perché non è vero che la società non esiste. Esiste eccome. E dobbiamo fidarci di lei. Porti un nome importante, Enea, il nome di un signore fuggito da una città in fiamme per cercare una nuova vita e una nuova casa. La stessa cosa è capitata a te. Quell’altro Enea ce l’ha fatta, sono sicura che ce la farai anche tu. Ti auguro di diventare tutto ciò che si sogna da bambini: astronauta, calciatore, Harry Potter, pilota di Ferrari, dentista di Leoni in Africa, rockstar come i Maneskin…sosia di Chiattillo o mimo ai semafori. Sono certa che avrai al tuo fianco una mamma e un papà al 100% che ti ameranno moltissimo. Ti ameranno un botto. Non dubitarne mai neanche un secondo. Purtroppo, la vita a volte somiglia alla scuola guida: le partenze in salita sono difficili, certo, ma se impari a farle, poi non ti spaventa più nulla. Benvenuto pulcino di Pasqua. Ti riempiamo di baci. Luciana». Evviva!

L’intelligenza di Gianni Rodari ci fa pensare allegramente e con lui concludiamo questo nostro incontro amareggiato dalle notizie di una cronaca che risuona di parole oscene (fuori scena, tema teatrale) che credevamo passate (appartenenti ad un’altra scena). Dopo la difesa della Lingua ora quella della razza. Chi vuol intender intenda…

Pelle

Pelle bianca come la cera.
Pelle Nera come la sera.
Pelle Arancione come il Sole.
Pelle Gialla come il limone 
tanti colori come i fiori.
Di nessuno puoi farne a meno
per disegnare l’arcobaleno.
Chi un sol colore amerà
un cuore grigio sempre avrà.
Nononono , così non va .
Manca violetto, mi manca il rosso,
mancano tutti, così non posso
mancano indaco, azzurro, verde,
l’arco va giù, tutto si perde.
Facciamo un arco solo col bianco,
dentro i colori ci sono tutti,
c’è pure il cuore candido e puro 
che batte forte, saldo e sicuro”.

(Gianni Rodari)

È vero Gianni, così non va», ha scritto un mio amico caro giornalista.

Buona lettura a tutte e a tutti

È venuto il momento di sfogliare gli articoli di questo numero di vitaminevaganti, cominciando a parlare di pace, parola strana e connotata da significati molto differenti in questi tempi cupi. L’autrice di Francesco, il primo papa. Luci e ombre ci accompagna nell’analisi di un pontificato per certi aspetti innovativo e atipico, alla scoperta di una persona che ha il coraggio di pronunciarsi apertamente contro ogni guerra e a tutela delle persone migranti, che oggi sono definite un’emergenza. Sempre di pace ma per parlare di una Premio Nobel che lo ha ottenuto nel 1979, per la serie Calendaria 2023, Madre Teresa di Calcutta è la figura, anch’essa caratterizzata da luci e ombre, di cui sarà interessante ripercorrere l’esistenza. Ancora di pace parliamo in Cambiamo discorso. Donne e pace, l’intervista all’artista multidisciplinare e maker culturale Roberta Biagiarelli, cui si deve il bellissimo monologo, Figlie dell’epoca, donne di pace in tempo di guerra, sul Congresso internazionale delle donne tenutosi a l’Aja il 28 aprile 1915, “per una pace possibile”. Stupri e violenze impunite sono la regola in guerra e hanno come bersaglio le donne. Le mutilate morali di Caporetto e della Grande Guerra, raccontano una storia terribile e poco conosciuta. Ma la violenza può essere più subdola, meno visibile di quella fisica e consistere nella discriminazione di genere nelle retribuzioni. Ce la descrive l’autrice dell’articolo Il divario salariale di genere nello sport. Che cos’è e perché esiste, con una serie di riflessioni necessarie, che dovrebbero essere tenute presenti e condivise soprattutto da chi ci governa.

Facciamo un salto nel mondo dell’arte per incontrare una pittrice segnata dal dolore di uno stupro ma animata da un grande talento e da una grande resilienza. Ce la racconta Corpo violato e sguardo invidiato. Artemisia Lomi, la pittora.
Ottime notizie per la nostra associazione, che è stata invitata a un Convegno il 5 e il 6 aprile scorsi a Ginevra dove è stata istituita la nuovissima Cattedra Unesco di Toponomastica inclusiva: Naming the World. Ancora una volta Toponomastica femminile ha fatto da «apripista e modello per la ricerca e per le strategie in materia, suscitando grande entusiasmo e ricevendo numerosi apprezzamenti da parte delle associazioni, delle istituzioni e degli accademici e accademiche presenti», come scrive l’autrice di Cattedra Unesco in toponomastica inclusiva e forum “Gender, Place-naming and public space”. Toponomastica femminile, scoperta per caso in rete da un sindaco, ha ispirato recentemente anche un paese della provincia di Varese che con una sola delibera ha deciso di intitolare dieci vie e a dieci donne, con una cerimonia partecipata e coinvolgente, di cui riferiamo in Le vie in rosa di Vedano Olona.

Durissima la vita delle donne, soprattutto quando nessun diritto era loro riconosciuto. Dobbiamo tutte tanto a Mary Wollstonecraft e la Rivendicazione dei diritti della donna. L’autrice dell’articolo ci rende partecipi delle parole incandescenti e rivoluzionarie di quella mente libera. Libera come quella di una scrittrice e poeta molto meno conosciuta, ma tutta da scoprire, di cui leggeremo in Originalità e autobiografismo nell’opera di Annie Vivanti. Per la serie Rileggere i classici in ottica di genere affronteremo altre figure femminili esaminando alcuni testi del Sei e Settecento nell’articolo Rileggere i classici. XVII e XVIII secolo.

Veniamo a trattare di temi urgenti che ci riguardano da vicino:
Il 15 ottobre 2022 la popolazione della terra ha raggiunto gli 8 miliardi di persone, come ci ha ricordato il 19 aprile scorso anche il Rapporto di Unfpa sullo stato della popolazione nel mondo 2023 mentre persistono i problemi della povertà, della fame, della distruzione delle risorse del Pianeta. Un punto di vista interessante su queste questioni è contenuto nell’articolo illuminante Demografia, consumo del suolo, agricoltura e cibo

Alleggeriamo, ma non più di tanto, il nostro percorso, chiedendoci quanto sono importanti il riposo e il sonno nelle nostre vite spesso scandite da ritmi non naturali. L’arte di dormire bene di Russell Foster è il libro che recensiamo questa settimana e che può offrire alcuni utili spunti soprattutto alle donne, che sono le più colpite dalle diverse forme di insonnia.
Chiudiamo, come facciamo spesso, con La cucina vegana. Finocchi in tegame con olive e capperi, un piatto leggero, saporitissimo, facile da preparare, augurando a tutte e tutti Buon appetito.

***

Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

Un commento

  1. Ancora un viaggio della brava collega Giusi nei vicoli della vita. Non le piazze, quelle di un grosso titolo in prima pagina. In quelle strette vie della cronaca che durano , come le farfalle, solo un giorno sotto gli occhi dei lettori. Ecco, come le farfalle. Perché ogni riflessione di Giusy ha la leggerezza di un volo di farfalla. Narra una storia, ci fa riflettere, non la punteggia di aggettivi per non appesantirla, e la propone. E improvvisamente ti ricordi che questa storia l’hai letta ma non ci avevi ragionato su. Ti penti. E adesso Giusy ti invita a ragionarci. Non condanna e nemmeno elogia. Lascia a chi legge , alla sensibilità di chi legge, il giudizio. Meno in due storie dove c’è la denuncia, anche pesante. Quella dei ragazzi che si tolgono la vita. Non lo scrive ma scopri che Giusi mette sul banco degli imputati la Società tutta, distratta ed egoista, senza lo sguardo al domani. E la Liberazione. Qui c’è il richiamo a tutti noi, anche quelli che non abitavano al Quadraro, di non cancellare il ricordo. Leggo le riflessioni di Giusi. Ieri, oggi e domani. E aspetto il prossimo sabato. Complimenti.

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