Quella di Isabella Goldschmidt Errera è una delle tante storie nella Storia delle quali si conosce molto poco e che faticano a trovare voce nei libri e nei racconti tramandati. Il presente articolo è tratto dalla ricerca di Pierre Lannoy (Libera Università di Bruxelles), pubblicata sul numero 9 di Muséon, revue du Musée Juif de Belgique.
Isabella Goldschmidt Errera, fondatrice dell’Opera di assistenza ai detenuti italiani deportati in Belgio durante la Prima guerra mondiale, è una donna fiorentina nata in una famiglia importante e colta nel 1869, vissuta in Belgio e lì morta nel 1929, conosciuta nell’ambiente dei salotti dell’epoca per le sue pubblicazioni erudite e le attività di beneficenza a favore delle famiglie ebree più povere. Grazie agli archivi della collezione Errera conservata presso il Museo Ebraico del Belgio, è oggi possibile ricostruire questa vicenda di solidarietà e straordinaria normalità. L’azione di Isabella si inserisce in un contesto poco indagato; infatti le circostanze esatte della presenza di prigionieri italiani in Belgio nel 1918 sono rimaste sconosciute fino alla pubblicazione di tre recenti studi, uno dei quali condotto dalla Libera Università di Bruxelles. È emerso che trecentomila soldati italiani furono catturati durante l’offensiva di Caporetto e in seguito deportati e distribuiti in tutti i territori occupati, tra cui il Belgio, che possedeva circa trenta campi di prigionia. Nell’archivio troviamo diversi scatti che ritraggono i soldati contrassegnati da un numero identificativo, immortalati in gruppo all’interno dei luoghi di detenzione o di lavoro.

Un’altra serie di foto rivela la composizione e l’azione del comitato locale composto da civili di Andenne, che hanno fornito assistenza ai detenuti italiani. Molte persone infatti si impegnavano ad aiutarli, secondo le proprie possibilità e cercando di donare loro ciò che potevano. Nella maggior parte dei casi si trattava delle cosiddette madrine di guerra, donne che raccoglievano soldi, cibo e vestiario per i prigionieri. Ognuna “adottava” un figlioccio e si occupava di prestargli assistenza. La presidente del comitato era Gabrielle Moncheur de Rieudotte, alla quale è dedicata una via del comune di Andenne, proprio dove si trovava la fabbrica che ospitò i reduci italiani.

L’ultima raccolta di fotografie contiene un ritratto di Isabella Errera: lo scatto occupa un’intera pagina, proprio a rimarcare l’importanza del suo ruolo nell’assistenza ai soldati. Veniamo ora alle lettere conservate, divise in due gruppi: quelle appartenenti al periodo che va da maggio 1918 a marzo 1919, e quelle appartenenti al periodo immediatamente successivo. Dai testi della corrispondenza rintracciamo alcuni dettagli del funzionamento di quella che fu ufficialmente chiamata Opera di assistenza ai prigionieri italiani deportati in Belgio. Si trattava di una vera e propria rete che coinvolgeva la popolazione civile belga, staffette locali, informatrici e altre figure accomunate da un forte senso di solidarietà. Le lettere più significative sono forse quelle scritte dai soldati stessi, che ringraziano la benefattrice ed esprimono riconoscenza nei suoi confronti dopo il rimpatrio in Italia avvenuto in seguito all’armistizio. Infine si è conservata un’ultima scatola, la numero 28, contenente una relazione sui lavori dell’Opera redatta al momento del suo scioglimento nel marzo 1919. Oltre a una sorta di inventario degli oggetti distribuiti ai detenuti, troviamo parole di riconoscenza nei confronti di coloro che hanno contribuito all’assistenza. All’interno della relazione si legge: «Non sapremmo come pagare il nostro tributo di profonda gratitudine a tutti coloro che, in nobile spirito di patriottismo e fratellanza, hanno soccorso i nostri valorosi uomini. Tutti i nostri rispetti vanno, in tale occasione, al Signore e alla Signora Paul Errera di Bruxelles, alla signora Van Delft di Muysen, alla signora Simon di Landen, alla signora Vanderperre di Rebecq, alla signorina Lenoir di Huy, al Sig. Monrique di Andenne, al Sig. Lièvin di Quenast, al Sig. Parent di Libramont, al Sig. Huberti di Champlon, e al Sig. Disteque di Neuville-sous-Huy, al Sig. Dupuis di Acoz che si sono tutti preoccupati di organizzare nella loro regione i Comitati di soccorso e sostegno per i nostri detenuti».
Oltre alle iniziative pubbliche dell’Opera, Isabella Errera ha svolto anche attività clandestine a supporto dei soldati esiliati in Belgio, ospitando i fuggitivi nel suo albergo. L’impegno le è costato tre mesi di incarcerazione da parte delle autorità tedesche nel 1917, ma anche una decorazione da parte del governo belga. Dall’11 novembre 1918 i prigionieri italiani vengono ufficialmente dichiarati liberi: uno di loro, Mario Bosisio, racconta dell’“entusiasmo frenetico” dei festeggiamenti nelle strade di Bruxelles presenziati da re Alberto. Gli ultimi ex prigionieri lasciano la capitale belga nel febbraio 1919, così l’Opera viene soppressa, ma la storia di Isabella inizia a circolare grazie ad alcune riviste dell’epoca. Nel novembre 1919 le viene consegnata la medaglia d’argento della Croce Rossa Italiana, e allo stesso modo alcune sue collaboratrici ricevono altri riconoscimenti. Nonostante l’archivio non permetta una ricostruzione sufficientemente dettagliata della storia di Errera e dell’Opera in generale, ci dona un esempio unico, il racconto di un insieme di gesti apparentemente “banali”, ma in realtà rivoluzionari. Non è chiaro quanti soldati siano stati aiutati, ma il numero appare oggi irrilevante, dal momento che l’iniziativa di Isabella Errera rimane un caso unico nel suo genere, di cui non si conoscono equivalenti riguardanti lo stesso periodo storico e il medesimo luogo. È con le parole di un tenente dell’esercito italiano che condensiamo la gratitudine che ha investito la benefattrice, in modo da tenere sempre a mente l’importanza dei piccoli grandi gesti di solidarietà in grado di fare la differenza: «Il Vostro nome è caro e amato da tutti gli Italiani per ciò che avete fatto ai nostri sventurati soldati prigionieri e portati da voi dai carnefici tedeschi. La nostra gratitudine per te, pia benefattrice, è infinita e non trova parole. Spero vi basti che a nome dei miei commilitoni d’Italia che hanno combattuto per la grandezza dell’amata Patria e per la vittoria della giustizia, rendo sincero omaggio alla distinzione del vostro cuore nobile e della vostra anima generosa, posso baciarvi rispettosamente la mano e dirvi: grazie mille, signora, vi amo con tutto il cuore perché l’avete ben meritato dalla Patria — Viva il Belgio!!».

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Articolo di Emilia Guarneri

Dopo il Liceo classico, si laurea in Lettere presso l’Università degli Studi di Torino. In seguito si trasferisce a Roma per seguire il corso magistrale in Gestione e valorizzazione del territorio presso La Sapienza. Collabora con alcune associazioni tra le quali Libera e Treno della Memoria, appassionandosi ai temi della cittadinanza attiva, del femminismo e dell’educazione alla parità nelle scuole.