La Polonia imperiale. Il numero 2/2023 di Limes

Il numero 2 di Limes, curato da Fabrizio Maronta, ha un titolo spiazzante, Polonia imperiale, che rivela la percezione sfocata, non attuale, che fino a oggi molti di noi avevano di uno Stato dell’Unione Europea centro-orientale (adesso si chiama così). Fino a prima della guerra l’idea che avevamo della Polonia era legata all’ex Patto di Varsavia o all’afflusso di emigrati/e polacchi/e in Italia ai tempi di Paolo Giovanni Paolo II. Con la Guerra russo-americana tutto è cambiato: la Polonia è diventata il punto di riferimento della Nato, il corridoio dal quale passano le armi destinate all’Ucraina. Gli Stati Uniti hanno scelto la Polonia come “campione d’Europa”, sia per la sua affidabilità, sia per il suo odio atavico verso la Russia, sia perché è quella che spende di più in armi (più del 3% del Prodotto interno lordo), nonostante il suo esercito sia in via di «riallestimento». L’articolo più interessante del volume di marzo, che potrebbe costituire un prezioso approfondimento per le lezioni di relazioni internazionali e geopolitica, è a nome John Florio, uno pseudonimo dietro il quale probabilmente si cela il direttore di Limes, un’occasione per riprendere con le classi lo studio della vita e delle opere di questo grande umanista inglese di origine italiana e per ripercorrere con sguardo depurato dalla propaganda statunitense ed europea le vicende che hanno portato alla guerra in Ucraina, lo sguardo dello storico che non teme di ricordare tutta una serie di avvenimenti e dichiarazioni che dovrebbero essere tenute presenti da chi ci governa, in Italia e nella cosiddetta Unione Europea.

John Florio

Quell’insieme di cancellerie e governi che «soffiano sul fuoco del conflitto fornendo armi e addestrando 30 mila militari ucraini in nome del principio di autodeterminazione nazionale, mentre fino a ieri invocavano la cessione di sovranità, radice di ogni guerra, cantando in coro le virtù sovranazionali di «Leuropa», nata per superare tutti i nazionalismi. Per nulla preoccupati che tanta disinvoltura nel rinnegare il proprio credo possa suscitare qualche dubbio sulla sua reale consistenza. Al contrario, ansiosi di giustificare la guerra in nome dell’Europa e dei suoi valori, derubricando la contesa in termini di scontro tra autocrazie e democrazie. Come se l’Ucraina fosse una novella Atene, anziché una cleptocrazia anarchica dove, semmai, la guerra ha accelerato il processo di concentrazione del potere oligarchico (per estromissione di quello non allineato), in perfetta analogia con quanto accaduto in Russia dopo l’ascesa di Putin. Si compie così il trapasso dall’europeismo irenistico al fondamentalismo da crociata in nome dei valori assoluti (i nostri, ovviamente). E quando si tratta di valori supremi, Weber insegna, «nessun prezzo è troppo alto»: né il disordine mondiale né tantomeno il sacrificio – eroico quanto inutile – degli ucraini, immolati sull’altare della «guerra giusta» insieme alla pace e ai «condizionatori». La «brutale e ingiustificata invasione russa», secondo la formula ufficiale, diventa così la hegeliana notte in cui tutte le vacche sono nere: l’alibi per connotare la guerra di fosche tinte metafisiche, ovvero come scontro tra civiltà e barbarie anziché come banale conflitto di interessi.». Un articolo prezioso, Pensieri mossi dall’ambizione. L’Occidente e la guerra in Ucraina, ricco di riferimenti alla nostra storia, che tutti e tutte dovrebbero leggere Utile anche come approfondimento di storia contemporanea.

Conrad

L’editoriale del direttore, Varsavia non è sulla Luna, è come sempre ricco di spunti e riflessioni, a partire dal riferimento iniziale a Joseph Conrad. «Tutto sta nell’essere pronti»: il motto che nel 1944 ispira gli insorti di Varsavia contro il tedesco, in vana attesa del soccorso sovietico, appartiene a Joseph Conrad, al secolo Józef Teodor Konrad Nałęcz Korzeniowski (1857-1924), fra i massimi autori d’ogni tempo in lingua inglese. I ragazzi del 1920, avanguardia di quel moto senza speranza, si battezzano «figli di Conrad». Uno di quei giovani martiri, Jurek Ostaszewski, teneva nello zaino il primo volume di Lord Jim, capolavoro di Conrad tradotto in polacco» Su Conrad consiglio Joseph Conrad, scrittore del limes polacco, di Richard Ambrosini, un tributo a questo immenso narratore cui sono particolarmente affezionata. In questo colto saggio compare anche un certo  Józef Hieronim Retinger, avvocato, grande manipolatore, «servo sotto copertura di più padroni su entrambe le sponde dell’Atlantico, che si ricavò un ruolo in tante vicende europee (tra cui la fondazione del Consiglio d’Europa) ma viene ricordato oggi soprattutto come ideatore nel 1954 del Gruppo Bilderberg».
«La Polonia è un’idea che appare, scompare, riappare come effetto di marea»: la guerra in Ucraina ha esaltato per l’America il ruolo della Polonia, che incarna il senso stesso della Nato, secondo quanto affermato dal suo primo Segretario, il britannico Hastings Ismay: «America dentro, Russia fuori, Germania sotto», come ci ricorda anche l’autore dell’articolo Russi fuori, ucraini dentro, francesi sotto e tedeschi affianco. Leuropa (scritta proprio così) secondo Varsavia.

«Per tenere i russi a distanza e i tedeschi a bada la Polonia deve ospitare gli americani e abitare da coprotagonista la casa europea dell’America che è l’Alleanza Atlantica in espansione». Il Baltico diventa Lago Atlantico e lega insieme la Scandinavia alla Polonia, con le appendici lituana, lettone ed estone. A medio termine Varsavia vuole diventare la massima potenza militare d’Europa. Già nel 1918 Woodrow Wilson pensava a uno «Stato polacco indipendente (…) al quale assicurare un libero e sicuro accesso al mare». Proprio in quell’anno un eroe polacco si definiva capo supremo della Polonia risorta: il futuro maresciallo Józef Piłsudski (1867-1935), idolo di Conrad, che lo riteneva superiore a Napoleone e aveva un suo ritratto sulla parete dello studio.

 Il sogno di una Polonia imperiale oggi anima anche il capo del Partito Diritto e giustizia, Jarosław Kacziński, il cui sogno, ora come allora è Intermarium americanizzato in Three Seas Initiative, intesa fra dodici Stati dell’Europa centrorientale, tutti accomunati dalla paura dei russi. L’idea di fondo è quella della Polonia come grande potenza marittima. «Se poi i mari sono due, meglio tre o quattro, assurge a potenza regionale». L’editoriale prosegue raccontando come la storia della Polonia jagellonica del Quattro-Cinquecento, estesa dal Mar Baltico al Mar Nero, con un territorio di circa un milione di chilometri quadrati (jagellonica da Ladislao II Jagellone, granduca di Lituania incoronato re di Polonia nel 1386, eversore dei cavalieri teutonici) abbia ispirato Józef Piłsudski e continui a ispirare oggi l’idea dell’Impero intramarino: Międzymorze, latinizzato (ai maccheroni) Intermarium. Una interessante digressione sulle tre variazioni sul tema dell’Intermarium è particolarmente utile per capire la geopolitica polacca. A essa si rinvia per orientarci soprattutto sul cosiddetto Trimarium americano.


In questo numero monografico sulla Polonia è da segnalare il contributo di Agnese Rossi, Perché la Polonia chiede riparazioni di guerra alla Germania, traduzione di alcuni estratti dal documento con cui Varsavia ha formalmente chiesto a Berlino 1.300 miliardi di euro come risarcimento per le perdite subite a causa dell’occupazione nazista. La logica di questa rivendicazione non è soltanto economica: Jarosław Kaczyński l’ha definita «il primo passo verso una «vera riconciliazione polacco-tedesca» fondata sulla «verità storica». Il Rapporto consta di tre volumi per un totale di mille pagine.
La Prima parte del volume, Varsavia-Berlino-Mosca-Washington: Sguardi incrociati contiene come sempre contributi provenienti da punti di vista diversi, indispensabili per comprendere la complessità del nuovo disordine mondiale.Emerge una certa diffidenza polacca nei confronti dei tedeschi per decenni di politica filorussa tedesca e l’alterazione dei rapporti economici bilaterali tra Polonia e Germania. L’atteggiamento ostile del popolo polacco verso la Russia è interpretato da chi non vive in Polonia come frutto dei pregiudizi storici, delle emozioni e di un’innata avversione alla Russia, derivanti dalla propaganda russa. Le cose non starebbero così, invece.

Esistono premesse razionali di natura geopolitica, economica, sociale e storica, come afferma Ernest Wyciszkiewicz, – Direttore del Centro Mieroszewski per il dialogo. Come i polacchi leggono la Russia. Soffermiamoci su quelli storici: «le spartizioni della Polonia alla fine del XVIII secolo, avvenute con la partecipazione determinante della Russia; le insurrezioni nazionali del XIX secolo, conclusesi con la disfatta e con numerose persecuzioni nei confronti dei polacchi; la guerra polacco-bolscevica del 1919-20; il protocollo segreto allegato al patto Hitler-Stalin che ha sancito l’ennesima spartizione della Polonia; la partecipazione dell’Urss all’aggressione della Polonia da parte della Germania nazista nel settembre del 1939; la strage di Katyn’ (l’eccidio per ordine di Stalin di oltre 20 mila prigionieri di guerra polacchi); le deportazioni di centinaia di migliaia di polacchi in Siberia; l’imposizione del governo comunista dopo il 1945 e la sottomissione al Cremlino fino al 1989. Negli ultimi tre secoli la Polonia è stata libera dalla presenza di truppe russe per appena cinquant’anni, compresi i trenta dalla fine della guerra fredda», conclude Wyciszkiewicz. Il punto di vista dei russi è bene illustrato in La Polonia americana è il cuneo tra noi russi e l’Europa. Chiudono questa prima parte del volume Federico Petroni, con Quanto conta la Polonia in America e Reuben Johnson, Usa-Polonia due cuori e una caserma. L’articolo di Petroni ci ricorda gli 8,2milioni di polacchi emigrati in America, il loro impegno al servizio di Washington, sia militare che di lavoro e i molti motivi, legati alla storia, che hanno i polacchi per non fidarsi completamente nemmeno dell’amico americano. Ancora non hanno digerito la conferenza di Yalta, che ha sacrificato la Polonia. Un approfondimento tutto da leggere o da ascoltare in una puntata di Mappa Mundi.

 In molti dei saggi di questa parte ricorrono la figura e il pensiero di Zbigniew Brzezinski cui si deve all’inizio degli anni Novanta una tesi che allora suonava sbalorditiva, secondo cui i quattro i paesi fulcro della sicurezza europea sarebbero Francia, Germania, Polonia e Ucraina. Sbalorditiva o profetica?
La seconda parte si intitola La Polonia e la guerra in Ucraina e dai molti articoli che vi sono contenuti emerge una visione della guerra, quella dei polacchi, completamente diversa da quella veicolata dai nostri media. Quanto al concetto di solidarietà non si può negare che «La solidarietà dimostrata dai polacchi agli ucraini va in controtendenza con quanto avvenuto in precedenza. Nel 2015 la Polonia ha voltato le spalle all’ondata di rifugiati provenienti dall’Africa e dall’Asia, non aiutando altri paesi europei (tra cui l’Italia) che ospitavano persone in difficoltà. Di recente ha eretto un nuovo muro in Europa al confine con la Bielorussia per impedire l’ingresso alle persone in fuga dal Medio Oriente (Siria, Iraq, Iran) e dell’Afghanistan. Nella società polacca è all’opera una distinzione tra rifugiati «nostri» e «non nostri» che probabilmente viene da lontano».

La Polonia si sta riarmando perché teme che la Russia voglia ricostruire il sistema di sicurezza di Yalta. Tutto da leggere, anche per la chiarezza espositiva, il pezzo di Mirko Campochiari di Parabellum, La Polonia in armi.  Vi si apprende che la Polonia sta rapidamente diventando il paese più armato d’Europa, da quando ha deciso di aumentare le unità del proprio Esercito dalle attuali 110 a circa 250 mila e quelle dei delle Forze di difesa territoriale, simili alla Guardia nazionale degli Stati Uniti, da 30 a 53 mila. Inoltre, il governo polacco sta ammodernando il proprio arsenale con il sostegno straniero avendo come scopo ultimo la produzione di armi in totale autonomia. Pertanto, la Polonia riceverà una parte dei sistemi d’arma direttamente da produttori come Stati Uniti, Corea del Sud e Germania. L’altra parte sarà fabbricata sul posto, così da ammodernarla autonomamente in futuro. L’articolo prosegue con una dovizia e precisione di informazioni come quelle a cui Campochiari ci ha abituate/i dall’inizio della guerra.

Anche la nostra percezione del ruolo e della funzione di Solidarnosc deve fare i conti con alcuni articoli scritti da polacchi, tra cui La politica polacca non è quel che sembra.
La Terza parte del volume, Radici polacche, è quella che più si presta a essere utilizzata a scuola, soprattutto in questo momento. Tra tutti gli articoli di questa sezione spicca quello a quattro mani, di Giuseppe De Ruvo e Giulia Gigante, Atlante storico-geopolitico della grande martire d’Europa. Se non è possibile ricostruire la geostoria polacca senza tematizzare i rapporti con il mondo russo e con quello germanico (nella sua declinazione teutonica, prussiana e austriaca, oltre che nazista), come ricordano gli autori, è bene tenere presente che «quando la Polonia è stata cancellata per la prima volta dalla carta geografica (1795), il senso di appartenenza alla nazione non è crollato con essa. Anzi: le prospettive geopolitiche che oggi fanno da sfondo all’attivismo polacco – il nazionalismo etnico e la prospettiva imperiale – si sono sviluppate proprio in quella fase storica». «La nazione non è solo un’unione politico-geografica. La sua unità e la sua forza vengono create nel corso dei secoli dagli istinti sociali comuni, dai legami religiosi, morali, giuridici, dai costumi e dallo spirito» La memoria, addensatasi nell’animo di quelle «misere terre», da secoli «macchiate di sangue» sopravvive anche alla cancellazione geografica della nazione. Nelle parole di Churchill: «L’anima della Polonia è indistruttibile e si rialzerà come una roccia. Per un attimo può essere sommersa da un maremoto, ma sempre roccia rimane». Prendendo spunto dalle parole di Papa Wojtyla è proprio dalla «dimensione jagellonica dello spirito polacco» che dobbiamo iniziare per comprendere la profondità della storia della vera Polonia. «La prawdziwa Polska (la vera Polonia) nacque nel 1569 dall’Unione di Lublino, per volontà del Regno di Polonia e del Granducato di Lituania, dando vita alla Rzeczpospolita Obojga Narodów. In realtà, l’unione era già stata sancita nel 1385 a Krzewo, con le nozze tra Edvige di Polonia e il granduca di Lituania Jagellone. Tuttavia, la formalizzazione che avvenne a Lublino nel 1569 è fondamentale da un punto di vista geostrategico, data la natura esplicitamente antirussa e antiteutonica dell’Unione. Battezzata «la Serenissima» dalla nobiltà (szlachta) sarmatica, la Polonia «jagellonica» ebbe un’esistenza pienamente geopolitica. Essa si estendeva per un milione di chilometri quadrati: da Danzica a Smolensk, dal ducato della Curlandia fino all’Ucraina meridionale». L’articolo procede a elencare le cause del declino della vera Polonia. Ai nostri lettori e alle nostre lettrici il piacere di conoscere questa storia e soprattutto le cause della reviviscenza del progetto jagellonico antirusso dopo la guerra in Ucraina, i rapporti dei polacchi con l’Ue, ultimamente ancora cambiati dopo le proteste degli agricoltori polacchi a causa del grano ucraino e le relazioni con la Nato. Sulle tendenze xenofobe, razziste, illiberali e autoritarie in Polonia, Ungheria e negli altri Paesi dell’ex Patto di Varsavia si sofferma l’approfondimento di Tomasz Kamusella, L’Europa centrale vuole lo Stato etnico, ricordando che al momento del loro ingresso nell’Ue questa si definiva e ancora si definisce multietnica, inclusiva, liberale e fondata sulla cittadinanza. Chi fosse studioso di slavistica troverà pane per i suoi denti nel saggio dell’Ordinario di Slavistica, lingua e letteratura polacca alla Sapienza di Roma, Luigi Marinelli, che conclude sostenendo che Putin sta esportando l’autoritarismo in Occidente e apre le sue riflessioni con questa frase di Niccolò Tommaseo: «Amate i Russi fratelli, /la protezione russa fuggite». L’ultima parte della rivista di geopolitica è dedicata al Trimarium, con un approfondimento che riguarda anche il nostro Paese, Se il Trimarium emargina l’Italia. L’iniziativa dei Tre Mari (Tsi, nell’acronimo inglese) è il progetto più ambizioso mai escogitato da un «vecchio e arretrato residuo dell’impero staliniano», come sostiene Giulia GiganteAl centro del Trimarium, collegati in una sorta di triangolo scaleno — continua Gigante —. troviamo il Mar Baltico, il Mar Adriatico e il Mar Nero.

Pur agendo in uno scenario completamente diverso e connotato da condizioni storiche più flessibili, il suo slancio ideologico è figlio dell’aborto pilsudskiano conosciuto come Intermarium. Stessi fini (la costruzione di un protagonismo polacco nell’Europa orientale e lo svezzamento dalle risorse tedesche e russe), stessi nemici (con l’ingresso della Cina nella lista di proscrizione stilata dall’esecutivo di Kaczyński, in virtù della proprietà transitiva americana), stessi mezzi (il triangolo scaleno dei tre mari) e altri alleati (Stati Uniti in pole position)». L’editoriale di Caracciolo si chiude così: «Nessuno più dei polacchi è consapevole del costo umano e materiale che avrà questa guerra se continuerà a lungo. Anzitutto per loro, solidali vicini dell’Ucraina invasa. Eppure, non vogliono che finisca con lo sporco compromesso alla coreana di cui si discetta al Pentagono e in buona parte degli apparati americani, neoconservatori esclusi. L’obiettivo strategico della Polonia e dei confratelli intramarini resta quello del Blocco popolare antibolscevico: «Distruzione della Russia in generale, in quanto impero». Scopo legittimo. Però contrario agli interessi americani – e anche cinesi. Se diciassette milioni di chilometri quadrati sprofondassero nel caos, con la Russia ne uscirebbe distrutto il mondo. Forse quell’autocrazia nucleare si arrenderà senza aver sparato alcuna delle sue seimila atomiche, le prime sulla Polonia? Varsavia si assume il rischio di verificarlo? Noi veteroeuropei, come pure americani, britannici e altri affetti dalla sindrome di Bartleby, preferiremmo di no.I polacchi hanno un grande futuro davanti, sotto l’ala americana. Purché, smentendo Burke, si confermino nazione sulla Terra».
La Polonia imperiale è uno dei numeri più necessari della rivista Limes tra quelli letti in questi anni, perché ci avvicina a un mondo per molti aspetti sconosciuto, facendoci scoprire una storia che pochi/e di noi avevano compreso fino in fondo prima di leggere alcuni approfondimenti e di studiare le bellissime carte geopolitiche di Laura Canali.
Mentre questo articolo sta per essere consegnato alla redazione, in Italia si sta organizzando una staffetta contro la guerra, da Aosta alla Sicilia. Riusciranno i popoli dell’Unione Europea a convincere i potenti di ciò che le sue istituzioni non hanno voluto fare, cioè a cessare il fuoco?

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Articolo di Sara Marsico

Ama definirsi un’escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la c maiuscola. Docente per passione da poco in pensione, è stata presidente dell’Osservatorio contro le mafie nel sud Milano e referente di Toponomastica femminile nella sua scuola. Scrive di donne, Costituzione e cammini.

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