Aveva una lunga carriera alle spalle e ricoperto incarichi di rilievo nel sistema delle Nazioni Unite, quando nel 1982, all’età di ottant’anni, Alva Myrdal riceve quel premio prestigioso, il Nobel per la Pace. Il Comitato norvegese aveva deciso di assegnarlo proprio a lei, insieme al messicano Alfonso García Robles, «per aver contribuito ad aprire gli occhi del mondo sulla minaccia nucleare e per il contributo speciale alla pace e alla fratellanza dell’umanità».

Dietro quel riconoscimento c’era il lavoro paziente e meticoloso che Myrdal aveva intrapreso nei vari negoziati internazionali sul disarmo, c’era l’impegno che l’attivista ancora giovane aveva profuso in tantissime manifestazioni per i diritti delle donne e, soprattutto, c’era il coraggio con cui Alva Myrdal si era posta controcorrente per generare il cambiamento.
Nel discorso di premiazione, Egil Aarvik, presidente del comitato Nobel, disse di lei: «Il suo nome è diventato un punto di incontro per uomini e donne che credono che la pace riguardi l’umanità e che solo con il dialogo si possa distruggere l’indifferenza». Concludeva il suo intervento ripetendo ciò che Myrdal aveva detto l’anno prima nell’accettare il Premio Einstein per la pace: «Non ho mai permesso a me stessa di rinunciare, nonostante tutta la disillusione, o di volermi arrendere. Questo è il mio messaggio oggi; rinunciare non è degno di un essere umano».
Alva Reimer nacque a Uppsala, in Svezia, il 31 gennaio 1902 in una famiglia della media borghesia. Nel 1924, anno della laurea in Lingue e letterature scandinave e in Storia della religione, sposò l’economista svedese Karl Gunnar Myrdal (1898-1987) con cui ebbe tre figli, Jan, Sissela e Kaj. Quello stesso anno cominciò a insegnare presso le Università di Ginevra e Stoccolma. Insieme al marito, fu coautrice del saggio La crisi nella questione demografica, che, nel 1935, avrebbe spinto il governo svedese a emanare una legge molto discutibile sull’eugenetica, che per fortuna veniva abolita nel 1975.

Nel 1931 frequentò un master in Psicologia sociale all’Università di Uppsala e divenne assistente psicologa nella prigione centrale della città. Tre anni dopo fondò l’Istituto Pedagogico Sociale, che diresse fino al 1948, arricchendosi di un’esperienza importante per diffondere le teorie sulla responsabilità dello Stato nella crescita culturale della gioventù svedese e sulla necessaria formazione dei/lle docenti nella Psicologia dello sviluppo comportamentale.

Componente importante del Partito Socialdemocratico dei lavoratori di Svezia, negli anni Quaranta fu la prima donna a occuparsi di questioni internazionali nell’ambito dell’Onu, ricevendo nel 1943 l’incarico di tracciare un programma di sviluppo sociale per il dopoguerra. Nel pieno del conflitto, quando il nazismo aveva già fatto la sua comparsa in Europa, la futura Nobel denunciò subito i pericoli che da quel regime sarebbero derivati, invocando la cooperazione europea per frenare la follia hitleriana. Nel 1949 fu messa alla guida delle politiche del welfare, mentre dal 1950 al 1955 fu presidente della sezione scientifica dell’Unesco.
Dal carattere forte e combattivo, Alva Myrdal era sempre a caccia di nuove battaglie da superare, facendosi apprezzare anche quando affrontò il discusso tema delle madri che lavorano. Nel libro Women’s Two Roles (I due ruoli della donna), scritto nel 1956 con la psicologa inglese Viola Klein, Myrdal ritenne cruciale il ruolo di donna-madre rispetto a quello di donna-lavoratrice, scatenando l’opposizione da parte delle femministe americane più intransigenti. Nel 1962 fu eletta al Parlamento svedese e nello stesso anno fu inviata come delegata alla conferenza di Ginevra per il disarmo. Quattro anni dopo veniva nominata ministra consultiva per il disarmo, fino al 1973. Raccolse le esperienze di quegli anni nel libro The game of disarmament: how the United States and Russia run the arms race (Il gioco del disarmo, 1976), comunicando un messaggio chiaro e univoco: «La guerra è morte. E i preparativi militari che oggi vengono adottati per un grande scontro hanno come obiettivo un eccidio». Non ci sono invenzioni o scoperte dannose per l’umanità, diceva Alva Myrdal, è l’essere umano che ha il dovere, nei confronti di sé stesso e dei suoi simili, di agire in modo etico.

Alva Myrdal da giovane
Alva Reimer Myrdal morì nel 1986, quattro anni dopo aver ricevuto il Nobel per la Pace. Prima di quello, ne aveva ricevuti altri di premi importanti — nel 1970 il Premio per la pace della Germania occidentale, nel 1981 il Premio Einstein per la pace e nel 1983 il Jawaharlal Nehru Award for International Understanding per la cooperazione internazionale — ma il Nobel era il riconoscimento di anni di impegno e di assoluta dedizione alla lotta contro le armi nucleari, era il più caro al suo cuore, «il picco», come lei stessa l’aveva definito.
Quel 10 dicembre 1982, a Oslo, nel discorso, breve ma intenso, come tutti i suoi discorsi, Alva Myrdal ringraziò quanti avevano contribuito alla lotta per la pace ed evocò, con una forte carica emotiva e coinvolgente, la cooperazione come unico mezzo per mantenerla. A questa non bisognava mai rinunciare, disse, coniugando sempre pensiero e azione, anche a costo, appunto, di porsi controcorrente. Perciò, Alva Myrdal incitava costantemente i giovani e le giovani al cambiamento per la costruzione di un mondo migliore, a non limitarsi ad attirare l’attenzione sugli eventi allarmanti, ma a fare di tutto per cercare di cambiarli. Era ciò che aveva insegnato a suo figlio Jan, nelle cui opere denunciò le ingiustizie mondiali e i mali della borghesia svedese, e a sua figlia Sissela, che nella biografia dedicata alla madre scrisse come quella donna forte e combattiva avesse sempre lottato per ottenere nella sua vita quella libertà e quelle opportunità che sentiva di aver conquistato per milioni di altre donne.
Quanti passi in avanti da quel Nobel ha fatto la lotta per il disarmo! Alva Myrdal, che credeva nella cooperazione e nel dialogo e aveva riposto le sue speranze per il futuro nel Trattato di non proliferazione nucleare del 1968, purtroppo, non poté assaporare la gioia per la sottoscrizione, non senza difficoltà, del Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari del 1996 e del Tpnw (Trattato per la proibizione delle armi nucleari) entrato in vigore nel 2021, che hanno permesso di riprendere il cammino verso un completo disarmo nucleare; non ha potuto gioire degli esempi virtuosi dei cosiddetti fondi etici di investimento, che escludono dai propri portafogli tutte le società il cui fatturato derivi dalla produzione di armi convenzionali, come l’Etica Sgr, né ha mai saputo che esiste il rapporto Don’t bank on the bomb (Non investire nella bomba), che fornisce informazioni sulle istituzioni finanziarie che cercano di trarre profitto dalla produzione di armi nucleari.
Per fortuna, però, non ha nemmeno assistito al recente riaffacciarsi del fantasma del nucleare, del sostegno delle lobby delle armi che influenzano governi e parlamenti: avrebbe confermato la sua disillusione e continuato a non rinunciare, trasformando la follia dell’essere umano in stimolo per lottare contro i confini e le frontiere, per riguadagnare forza e vigore e alimentare la migliore speranza nel disarmo e nel trionfo della pace.
Qui le traduzioni in francese, inglese e spagnolo.
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Articolo di Giuseppina Incorvaia

Laureata in Storia e Filosofia a Palermo, ha insegnato Lingua, Letteratura italiana e Storia presso l’ITS “I. Giganti Curella”, dove è stata responsabile del Piano dell’offerta formativa, referente contro il bullismo, responsabile del RAV (Rapporto di autovalutazione) e del curricolo di Ed. civica. È docente di Storia al CUSCA (Centro Universitario Socio Culturale Adulti). È referente per Licata e segretaria di Tf.