Editoriale. Io Chiara e lo Scuro. Un omaggio

Carissime lettrici e carissimi lettori,
ditemi, per favore, che vuol dire essere uccise perché un uomo possa sentirsi libero. Ditemi, per favore, come può un giudice pensare, anche solo per breve tempo, che quell’uomo, come troppi altri, abbia agito d’impulso, mosso da un raptus, da un amore, per quanto distorto. Come se fosse una giustificazione, una spiegazione da umano. Come tanto giornalismo che si trova a cercare il buono (e speriamo non il bello) nel gesto omicida maschile. Allora è la volta della scesa in campo dell’orribile: l’orso buono, il raptus arrivato dalla rabbia del tradimento e, di nuovo, persino dalla paura di essere stati lasciati e la debolezza (!) di non riuscire a superare il dolore, il vuoto (o lo smacco?!).

«Ma che madre sei?» avrebbe detto Alessandro Impagliatiello a Giulia Tramontano, morta ammazzata per mano del padre del bambino che lei portava dentro da sette mesi, quasi nel tempo di farlo nascere. Giulia Tramontano non è stata l’unica donna incinta vittima di femminicidio: «Secondo la Who (Organizzazione mondiale della sanità) nel mondo almeno una donna su quattro è stata vittima di una forma di violenza in gravidanza: si calcola che ogni ora, una donna in gravidanza venga abusata» e alcune fonti contano a oltre 14 il numero di future madri trucidate insieme al loro bambino/a. E poi qualcuno mi spieghi e ci spieghi perché una cellula appena formata debba avere, per una certa ideologia antiabortista, valore giuridico, mentre un bambino al settimo mese di gestazione (tanti e tante bambine, seppure con un parto prematuro, nascono e hanno altissime probabilità di sopravvivenza) è stato considerato e nominato come feto.
Ditemi, per favore, perché succede che un altro uomo, un altro padre, ottantenne, decida freddamente di uccidere la figlia cinquantenne investendola di proposito con la propria macchina e scelga, impassibile, di vederla morire.

Il femminicidio sarà entrato ormai nel vocabolario perché, come ho scritto più volte, non mi appare al computer segnato in rosso, come un errore, come qualcosa di passeggero. Ma è nostro dovere ricordare che non è più un’emergenza e assolutamente non è più da considerarsi tale. «Gli omicidi di donne erano stati 119 nel 2021. Negli ultimi quattro anni, a fronte di un numero stabile di omicidi, 319, c’è stato un aumento dei casi in cui la vittima è donna: da 112 del 2019 a 125 del 2022, con un aumento del 12%. Negli omicidi in ambito familiare o affettivo è preminente l’uso di armi improprie o armi bianche, usate in 49 casi; in 23 omicidi sono state utilizzate armi da fuoco. Sedici donne sono morte per asfissia, soffocamento o strangolamento, 14 per le percosse, in un caso è stato usato un veleno. Al crimine più cruento e irreversibile si accompagnano altri gravi crimini che producono sulle vittime seri effetti fisici e psicologici. Per quanto riguarda i cosiddetti reati spia, possibili indicatori di una violenza di genere, dopo un trend in progressivo e costante incremento nel quadriennio, il 2022 mostra invece un significativo decremento sull’anno precedente per gli atti persecutori (17.259 di cui il 74% contro donne, 18.724 nel 2021) e maltrattamenti contro familiari e conviventi (23.196 casi, l’81% con vittime donne, 23.728 nel 2021). Diversamente nel caso delle violenze sessuali c’è un incremento: 5.991 di cui 91% contro donne, mentre erano state 5.274 nel 2021. Potrebbe trattarsi anche, viene spiegato, di una maggiore propensione alla denuncia da parte delle vittime e dei testimoni» (fonte Ansa).

Mentre poco più di un mese fa, l’11 maggio scorso, alcuni europarlamentari  italiani (Lega e Fratelli d’Italia) si sono astenuti dal voto per la ratifica da parte dell’Ue della cosiddetta Convenzione di Istanbul (e due donne hanno votato contro), la stessa Turchia è stato il primo Paese a distaccarsi dalla Convenzione, fuoriuscita voluta dal governo (quello di allora rimasto con la stessa direzione dopo la riconferma nelle recenti elezioni) con la motivazione che fosse «contro la famiglia tradizionale» e come «normalizzante per l’omosessualità». Mentre si passa sopra alla violenza contro le donne che intanto continuano a morire per mano di compagni, ex partner, figli, padri, fratelli.
Ditemi anche, per favore, perché tanti ragazzi e ragazze, qui in Italia, non possono essere riconosciuti da entrambi i genitori se appartengono a una famiglia monosessuale, ma succede anche per tante famiglie etero. Perché non li possono amare «secondo la legge»? Vale a dire: poter andare entrambi/e a prenderli/e a scuola, assisterli/e, malauguratamente, in ospedale, portarli/e dal pediatra? Vuol dire che due genitori non possano aver riconosciuto l’amore per il proprio figlio o figlia?
E poi ditemi, per favore, che vuol dire che un ragazzo o una ragazza debbano essere contenti e contente di essere pagate meno di tre euro all’ora e in nome di un servizio “civile” dello Stato? Non è lo Stato che li e le deve garantire e difendere? E secondo quale giustizia? Senza assecondare le loro abilità, le qualifiche conquistate, spesso anche attraverso lo studio, e il grado di abilitazione professionale. Lo Stato attraverso i suoi e sue rappresentanti ha indirizzato le e i giovani, anche laureati (o soprattutto!), ancora in cerca di lavoro, a guardare il mondo dell’agricoltura. Questo non è un atteggiamento corretto e una spiegazione da dare ai e alle giovani cittadine/i che non possono subire arbitrariamente declassificazioni da uno Stato che esiste per la difesa dei loro diritti. Ci chiediamo, inoltre, perché non venga fatta ancora chiarezza e finalmente ci si occupi di costruire leggi che riguardino il salario minimo, attivo in tantissimi paesi dell’Europa e del mondo. Si segnerebbe positivamente il futuro delle nostre e dei nostri ragazzi, un futuro che ora è davvero incerto.
Ditemi perché lo stesso Stato, per bocca della sua rappresentante politica, della Presidente del Consiglio, pronunci in Sicilia, terra martoriata dalla mafia e dai suoi metodi criminali, il termine più obbrobrioso: pizzo! Pronunci questo orribile termine nel suo significato, altrimenti vergognoso, come estorsione (vocabolo criminale e contro la legge) da parte di quello Stato che è e deve essere, invece, l’espressione più alta della legalità. Altrimenti non si ragiona che su fandonie!  Secondo il vocabolario il termine pizzo è spiegato così: «voce siciliana, probabilmente forma accorciata di capizzu, capezzale, passato a indicare il posto dove si colloca il letto, dove ci si corica, inteso come luogo dove si trova tranquillità e sicurezza. Tangente estorta dalle organizzazioni mafiose e camorristiche». La Presidente del consiglio di tutti e tutte le italiane questo termine lo ha pronunciato durante un comizio a Catania. Ha parlato di un pizzo di Stato (le tasse!) chiesto, appunto, dal Fisco in nome dello Stato, anche ai commercianti e ai piccoli imprenditori qui protagonisti del discorso. Una frase cresciuta in modo abnorme (e direi alquanto volgare) che rimanda a un’altra, detta anche questa dall’allora Presidente del consiglio, il quale invitava cittadini e cittadine a non pagare le tasse perché, diceva, «il fisco mette le mani in tasca agli italiani». Il termine incriminato e criminoso ora è stato pronunciato in un comizio di preparazione alle elezioni comunali, a Catania, la città dove è nato Libero Grassi, un imprenditore che è morto ammazzato, a Palermo, perché si era ribellato e aveva negato proprio di pagare il pizzo, quello vero, estorto dalla mafia a tanti commercianti e imprenditori di una Sicilia martoriata e offesa, con tanta brava gente, anche lì numerosissima, per quanto ragionevolmente impaurita. Libero Grassi era nato proprio a Catania, nel 1924 e venne assassinato a Palermo, il 29 agosto del 1991, 32 anni fa. «Era un imprenditore, a capo dell’azienda tessile Sigma, fu punito da Cosa nostra, per il suo coraggio, con quattro colpi di pistola e pagò con la vita la sua ribellione al pizzo: solo pochi mesi prima dell’omicidio, a gennaio del 1991, non aveva esitato a scrivere una lettera aperta, pubblicata dal Giornale di Sicilia, al suo ignoto estorsore per chiedergli di «risparmiare telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia». Un seme lanciato nel tempo — da un uomo che libero non lo era soltanto di nome — che da allora ha senz’altro dato dei frutti. E quali frutti: i ragazzi e le ragazze di Addiopizzo di Palermo si sono ispirati a lui, con la collaborazione di sua moglie, una grande donna, Pina Maisano, per la realizzazione dei negozi e dei viaggi Pizzofree quelli in cui il consumatore è sicuro che nemmeno un centesimo di quello che paga sarà dato alla mafia. Lo Stato non può insultare, deridere cittadini e cittadine già offesi/e e violati/e. C’è di mezzo la sofferenza! Ed è in conto il rispetto verso lo Stato.

Ditemi poi, per favore, perché un cittadino o una cittadina deve temere lo Stato se, per qualsiasi ragione, gli/le capita di essere in questura. I fatti e le violenze inaudite che si sono verificate a Verona di recente sono, e sicuramente devono rimanere, un’eccezione. Altrimenti sarà anche lo Stato a perdere credibilità. Questi episodi, purtroppo non unici, intimidiscono e fanno calare inevitabilmente la fiducia nelle Forze dell’Ordine, che invece hanno il compito di assicurare la tranquillità e la normalità della vita e ci devono garantire la protezione della Giustizia e non la messa in atto di un giustizialismo fai da te quando noi cittadine e cittadini non rispettiamo la legge.

Ho amato tanto il film Io Chiara e lo Scuro (1983). Ho stimato l’opera di Francesco Nuti, regista, attore, sceneggiatore e anche cantante e mi sento legata a lui anche per personalissime coincidenze biografiche. Oggi (il 12 giugno) Francesco Nuti se ne è andato in silenzio, quasi a mimare per assonanza il suo cognome. Era nato a Prato nel maggio del 1955. Qualcuno, commentando la sua storia, ha ricordato gli ultimi dolorosissimi anni iniziati con un brutto periodo lavorativo e proseguiti nella vita privata di questo uomo che appariva nella sua tenerezza e malinconia. E ha osservato la “sfortuna” anche nella scelta del giorno della sua dipartita silenziosa da questa terra, coincidente con un’altra di un personaggio pubblico che ha occupato totalmente i racconti dei media.

Ho imparato dalle persone sagge, quelle che ho incontrato realmente e quelle venute a me da altri tempi, il valore dei libri, il rispetto che gli si deve, il rigore del pensiero libero che comunicano le parole in essi contenute. Ma davvero non riesco a capire questa ennesima trovata del ministro Gennaro Sangiuliano sull’idea, alquanto bizzarra, di donare un libro ai nuovi nati, un libro già dalla culla, forse con un bonus alle famiglie o attraverso una ricerca mediante lo Spid (!). In effetti suona come uno slogan, tipo: più bimbi/e più libri. Una facile battuta/slogan di un governo populista per incrementare le nascite?!Un’altra campagna sull’onda di quella già attuata e quanto mai imbarazzante, Open to meraviglia, fatta per il ministero del Turismo.

Invece voglio imparare con voi una lezione di cultura vera per i libri da una poeta e maestra eccezionale, Alda Merini, che così ha scritto per i giovani e le giovani.

A tutti i giovani raccomando:
aprite i libri con religione,
non guardateli superficialmente,
perché in essi è racchiuso
il coraggio dei nostri padri.
E richiudeteli con dignità
quando dovete occuparvi di altre cose.
Ma soprattutto amate i poeti.
Essi hanno vangato per voi la terra
per tanti anni, non per costruivi tombe,
o simulacri, ma altari.
Pensate che potete camminare su di noi
come su dei grandi tappeti
e volare oltre questa triste realtà quotidiana.

(Alda Merini in La vita Facile, 2001)

Grazie Alda e a noi tutte e tutti buona lettura.

Apriamo la rassegna degli articoli di questo numero con uno dei libri che sono stati recensiti, Donne tra protesta e attivismo, una carrellata di “Nuove Artemidi”, modelli di donne che ci piacciono moltissimo e che non hanno esitato a prendere posizione agendo per il cambiamento e ottenendo risultati notevoli in materia di ambiente, cittadinanza attiva, economia e giornalismo. Sembra ispirarsi a figure di donne Artemidi anche La natura corregge i propri errori di Vanessa West, il primo dei libri che recensiamo questa settimana e che «si apparenta alla grande tradizione statunitense delle utopie femminili e femministe, che disegnano un mondo senza uomini». Ne scrive la nostra esperta di fantascienza, nell’articolo Donne e macchine coevolvono come sorelle, che parla di un’intelligenza artificiale su cui recentemente si è espressa anche l’Unione Europea. A proposito di Ue, L’Ue per la parità di genere nel mondo conclude la serie sul Report on Gender Equality, che ci ha tenuto compagnia nei due ultimi mesi.
A proposito di modelli maschili patriarcali l’autrice di Virilità precaria riflette sulla loro crisi, con alcuni suggerimenti interessanti per cambiare direzione e per scoprire quanto possono essere affascinanti gli uomini che se ne discostano. Sempre a proposito di stereotipi di genere continuiamo a parlarne con il resoconto di Feminism 6, la fiera dell’editoria femminista che si è svolta a Roma, presso la Casa internazionale delle donne dal 3 al 6 marzo 2023, nell’articolo Pedagogia di genere e scuola primaria.
La donna di Calendaria 2023 di questa settimana è Christiane Nüsslein-Volhard. Nobel per la medicina, che coniuga la sua sensibilità di artista con il rigore della scienziata ritenendo che in un laboratorio «la combinazione di diversi metodi e sistemi fornisca una base unica per comprendere più a fondo lo sviluppo della vita di una qualsiasi creatura». Sempre al nostro ultimo impegno per la visibilità delle donne si ispira Calendaria per gli esami, una bellissima storia raccontata attraverso lo sguardo di una giovane universitaria sugli effetti prodigiosi del fare memoria delle donne.
Proseguiamo con le nostre serie: Takoua Ben Mohamed. Oltre le frontiere, per Musulmane memorabili, ci presenta una giovane disegnatrice poliedrica e transnazionale, le cui opere meritano di essere lette per lo sguardo sui diritti umani violati e contro gli stereotipi. Restiamo nel mondo musulmano con Lo sguardo dell’occidente sulle donne islamiche. Schiavitù e deportazione femminile, nella serie Bibliografie vaganti; mentre, per Grecità, Aspasia, la maestra, leggeremo della donna, insieme a Saffo, più famosa del mondo greco classico.
Un tema poco conosciuto è quello dell’editoria femminile pre-contemporanea. Ce ne parla, non senza qualche sorpresa, Donne e libro. Le tipografe, a margine di un incontro che si è tenuto presso l’Università di Firenze lo scorso mese di maggio. Da Banana Yoshimoto a Kore’eda Hirokazu. Famiglie non convenzionali nel Giappone di oggi è una ricchissima panoramica tra libri film e serie, prevalentemente ambientati in Giappone, per riflettere sulla famiglia, che molto raramente oggi si identifica con quella tradizionale fondata sui legami di sangue. Nella Sezione Juvenilia potremo avere una sintesi efficace dei lavori e della cerimonia di premiazione della VI edizione del concorso didattico “Sulle vie della parità nelle Marche – a.s. 2022/2023” promosso dall’Osservatorio di Genere, illustrati dall’autrice di Quando la parità scende in campo. Chiudiamo, come sempre, con la serie La cucina vegana, che questa volta ci presenta la Pasta alla checca (o alla crudaiola), una specialità molto nota a Roma e nel Lazio, saporita, e di facile esecuzione, augurando a tutte e tutti buon appetito e buona estate.
SM

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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

2 commenti

  1. “Articolo” che colpisce profondamente dando, senza sbavature pietistiche, l’esatta cognizione della crudeltà del femminicidio.
    Non credo di riuscire ad esprimere esattamente ciò che penso, ma sono convinta che migliaia di anni di storia, di civiltà, di studi e percorsi, talvolta dolorosi e tragici, finalizzati
    all’interiorizzazione di certi principi, migliaia di anni, ripeto, spariscano completamente e di colpo dalla mente di qualcuno.
    Secondo me, è lucida follia, crudeltà congenita. Non riesco a dare altra spiegazione.

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    1. Scusa il ritardo nella risposta. Grazie infinite per il commento. Dobbiamo.non più giudicare il femminicidio un’emergenza. Forse anche così supereremo questa brutta storia dovuta purtroppo all’emancipazione della donna

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