Editoriale. Che anno sarà? Facciamoci salvare dalla Bellezza

Carissime lettrici e carissimi lettori, 
iniziamolo con arte. Nell’arte che ancora una volta ci parla al femminile. Noi, donne, rappresentate e curate (finalmente noi) nelle notizie sull’arte. Un segno per sentirci più forti nel nuovo anno che sta per nascere. Noi abbiamo e dobbiamo avere fretta. Ce lo meritiamo. Checché se ne dica e se ne voglia dire. 
Stavolta la notizia di cronaca ci porta lontano nel tempo e vicino nel territorio. L’epoca e gli anni si stabiliscono tra il 530-520 prima dell’era moderna, oltre 2.500 anni fa. La terra è quella etrusca, precisamente l’Etruria al nord della capitale, nel territorio tra Roma e Viterbo.  
La notizia è apparsa sui quotidiani della Vigilia di Natale. L’opera simbolo dell’amore eterno, il Sarcofago degli Sposi, oggi conservato al Museo etrusco di Valle Giulia a Roma, è stato messo, finalmente, in sicurezza su una pedana antisismica contro le vibrazioni del traffico, del tram in superficie e del treno della linea Roma-Viterbo che corre sotterranea.  
Il sarcofago, con il suo straordinario coperchio, era stato ritrovato a Cerveteri nel 1881, nella necropoli cosiddetta della Banditaccia, frantumato in quattrocento pezzi. Ora, come si è detto, è esposto nel museo etrusco di Valle Giulia, a Roma e, è utile e simpatico saperlo, conta la presenza di un’altra opera simile che si può vedere esposta al museo del Louvre a Parigi.  
Sicuramente nel Sarcofago di Cerveteri (alla Banditaccia se ne sta facendo una copia da esporre sul posto) la figura femminile salta all’occhio proprio per la sua posizione. La coppia è semi sdraiata, con la schiena eretta, partecipante ad un banchetto. Una rappresentazione importante che riguarda la posizione delle donne nella società civile e nella sua rappresentazione nell’arte, una posizione vietata in Grecia e Roma. È la testimonianza della donna che partecipa alla vita di coppia, è affiancata e paritaria con lo sposo, ed è affermazione sociale perché rappresentata su un Klinio, su cui gli sposi appaiono, a chi li guarda, abbracciati, e sul volto di entrambi si vede l’enigmatico sorriso etrusco. Altrove le donne non potevano essere presenti in banchetti oltre che in altri importanti atti sociali. Bisogna dire che, pur non potendo essere considerata una società matriarcale, sicuramente tra la popolazione etrusca, soprattutto quella del territorio a nord di Roma, la donna godeva di una notevole libertà personale e di posizione paritaria. Era libera di curarsi molto, si adornava di bei vestiti e gioielli e spesso era presente in pubblico. Qui, sulla rivista, ne abbiamo parlato qualche tempo fa con un articolo dedicato che ci ha richiamato alla mente tanti esempi provenienti proprio dalle testimonianze dell’arte figurativa, esempi che confermano questa tesi di presenza realmente affermativa della donna etrusca. 

Sappiamo certamente poco delle donne appartenenti alle classi meno agiate, ma dalle immagini dell’arte sappiamo delle donne della nobiltà o in posizioni socialmente elevate. Le immagini di spose ce le mostrano solitamente sdraiate sul letto conviviale con acconciature ricche e raffinate, spesso di grande effetto e finezza. E poi una certezza rispetto alle donne romane. Queste ultime prendevano il nome dalla gens, dunque dal ramo maschile, mentre la donna etrusca viene chiamata con il suo nome.  
Dunque, oltre alla visione del bellissimo coperchio del Sarcofago di Valle Giulia, altre e numerosissime sono le rappresentazioni della donna etrusca, sicuramente di alto rango, ma reale, che ci proviene dall’arte, tra pitture e terra cotte. Un grande e primo esempio è la Mater Matuta (esposta a Firenze), la rappresentazione scultorea della donna-madre etrusca che dimostra allo spettatore/spettatrice di allattare il figlio direttamente, esponendosi con il seno nudo offerto al bambino, mentre in Grecia la madre non poteva mai apparire mentre allattava e si rappresentava al suo posto una delegata, una balia. Poi, oltre ancora al Sarcofago di Cerveteri, la danzatrice della Tomba delle Leonessa di Monterozzi, il Sarcofago di Chiusi, la stupenda statua di terracotta dipinta e conservata a Karlsruhe, la Velia Spurinna magistralmente rappresentata nella cosiddetta Tomba dell’Orco e ancora la pittura della Tomba delle Bighe (al Museum of Fine Arts di Boston).  

Per festeggiare al femminile questo anno che sta per iniziare ritorniamo a parlare della notizia di cronaca odierna a cui va il merito di averci fatto andare a questa stupenda opera di due millenni e mezzo addietro e ad altre ancora che hanno celebrato tanto tempo fa, la valorizzazione del femminile esaltato non solo nell’arte, ma da essa testimoniato.  
Oggi a salvare gli eterni Sposi, tra i più importanti della Storia dell’arte, è un progetto nominato Monalisa. Lasciatemi dire che davvero, seppure causalmente, non poteva esserci riscontro migliore e un rimando, sempre accidentale, ma molto indovinato, al capolavoro quattrocentesco di Leonardo da Vinci e al femminile nell’arte. Il progetto Monalisa (Monitoraggio attivo e isolamento degli oggetti d’arte dalle vibrazioni e dai terremoti) è nato da una collaborazione di due università, La Sapienza prima di tutto, e Roma Tre, con la collaborazione dell’Enea, dell’azienda Somma, del servizio Conservazione del Museo che ospita il sarcofago. Ora il Klinio con i due sposi è al sicuro dalle vibrazioni su una piattaforma.  

Appartiene alla cronaca recentissima un’altra immagine di donna, modernissima secondo il nostro giudizio (credo condiviso). Appare, secondo i canoni odierni, sulla copertina di un settimanale e replicato, come la “riproducibilità tecnica” sulla falsariga di benjaminiana memoria. 
Elena Cecchettin eletta Persona dell’anno 2023 ,come la celebra il settimanale l’Espresso, ha ricevuto, insieme al meritato encomio, un’immensa, anche se aspettata, serie di improperi degni di un’attenta analisi (in senso anche psichiatrico, secondo la mia idea). La redazione ha spiegato la motivazione dietro la scelta di Elena come “figura caratterizzante del 2023” in un editoriale sul proprio sito. Il vicedirettore, Enrico Bellavia, ha dichiarato che le parole di Elena sulla cultura dello stupro e il patriarcato, espresse di fronte a centodieci vittime di femminicidio, rappresentano «una lucida diagnosi della società attuale». Secondo il settimanale queste parole mettono in primo piano il problema di considerare le donne assassinate, stuprate o molestate come vittime casuali invece che riconoscere la radice comune di questi crimini. L’editoriale prosegue spiegando che, nel momento in cui Elena ha attribuito al proprio dolore una responsabilità collettiva, è diventata immediatamente divisiva nel contesto della rappresentanza pubblica. La redazione argomenta che ciò non è dovuto solo al mancato rispetto di cliché, ma anche alla volontà di ripristinare una regola di prevaricazione come legge ordinaria. La decisione di porre l’immagine di Elena Cecchettin in copertina e riconoscere la forza delle sue parole ha diviso nettamente l’opinione pubblica e qualcuno ha persino forzato la mano definendola “nuova influencer”! 
Elena, invece, come scrive un’altra rivista al femminile «ha saputo cambiare la narrazione e l’ha fatto prendendo il suo dolore e rendendolo di tutti, partendo dalla memoria di Giulia per spingere verso un cambiamento concreto. Qualcosa è cambiato e ora quella fiamma (“Per Giulia bruciate tutto, deve essere l’ultima”) va tenuta accesa puntando a un progresso concreto. Le diecimila persone ai funerali di Giulia Cecchettin, le cinquecentomila al corteo del 25 novembre a Roma — come ha ricordato Bellavia — raccontano però che c’è un Paese reale che dalle caverne è fuori già da un pezzo e non ha voglia di aspettare che chi ha delega per decidere smetta clava e pelliccia». 

Fretta invece è doveroso averne. Fa male quando il neopresidente della Consulta, proprio durante il discorso di insediamento, raccomanda alle donne di non essere impazienti e di essere invece appagate delle conquiste ottenute. Sono seguite quarantotto ore di risposte amare che hanno riempito i social, tanto che Barbera il giorno dopo, lui uomo progressista, è dovuto tornare sui suoi passi secondo ormai un vecchio adagio in voga in politica: «Non mi sognerei mai di pensare che l’impazienza di reclamare un diritto possa in qualche modo avere un’accezione negativa. Al contrario, le donne hanno tutto il diritto di essere impazienti… Anche grazie alla Corte, si è profuso il massimo impegno per raggiungere un giorno l’obiettivo, purtroppo ancora lontano, della piena parità dei generi…un percorso intrapreso molti anni fa (da cui) trarre alimento per le lotte che riguardano tutti noi». Vogliamo crederci: sarà stato un fraintendimento… 

Forse non è stato tanto un fraintendimento il comportamento reiterato della sindaca di Monfalcone, in provincia di Gorizia. Anna Maria Cisint, della Lega, è assurta alla triste cronaca della battaglia contro l’immigrazione, qui presente da molti anni, in buona parte bengalese e di fede musulmana. Il clima nella cittadina friulana si era già riscaldato durante l’estate con la proibizione alle donne di fare il bagno in mare con il burkini o, comunque, coperte. Poi sono seguiti problemi con le scuole dove si è tentato un raggruppamento o isolamento, se non addirittura una non accettazione dei ragazzini e ragazzine straniere (molte e molti nati/e a Monfalcone). Infine, la chiusura di due centri di preghiera a metà novembre e la proibizione di qualsiasi raduno di carattere religioso in piazza.  
Così il 23 dicembre, praticamente alla Vigilia di Natale, si è organizzata nella località, a poca distanza da Gorizia, una manifestazione risultata affollatissima (circa 8.000 partecipanti) e pacifica. Tra i tanti e le tante a intervenire sul palco, allestito nell’area dell’Agenzia delle entrate, anche Sani Bhuiyan, consigliere comunale: «Manifestiamo contro l’atteggiamento discriminatorio della sindaca verso la nostra comunità – ha detto –. In sette anni, ci ha fatto tutti i dispetti possibili, tra divieti e complicazioni, anche per giocare a cricket, frequentare la scuola e beneficiare delle agevolazioni sull’affitto. Poi, l’estate scorsa, ci fu la guerra al burkini in spiaggia e, ora, la chiusura di due centri culturali. La sindaca forse non sa che i tantissimi bambini bengalesi che oggi hanno sfilato insieme a noi si sentono più monfalconesi che stranieri e che questo vale anche per i musulmani arrivati dalla penisola balcanica. Mentre Monfalcone affronta quotidianamente sfide reali, che vanno dalla povertà, all’evasione fiscale e al caporalato – ha incalzato –, la sindaca sembra vedere soltanto la lotta agli stranieri e concentrarsi su allarmismi infondati. Non siamo ospiti, ma cittadini che rispettano la legge italiana e la Costituzione e chiediamo – la sua conclusione – un cambiamento radicale e rispetto reciproco». A riprova in piazza c’erano solo due bandiere: quella italiana e quella europea.  

Invece da Novellara ci arriva ancora una brutta notizia. Il paese in terra reggio-emiliana che abbiamo conosciuto per l’orribile vicenda della giovane Saman Abbas uccisa dai genitori e dallo zio (i genitori condannati all’ergastolo) per non avere accettato il rito del matrimonio combinato, ha quasi duplicato il suo orrore. Un’altra ragazza, poco più grande di Saman, e sempre di origine pakistana, è stata minacciata dal padre di «farle fare la sua fine» (di Saman, appunto) se non accettava di partire per la terra dei genitori e sposare fisicamente (a distanza lo aveva già fatto nel 2021!) un cugino. Questa volta la Legge è arrivata in tempo e il padre con la matrigna sono stati condannati, costretti a indossare il braccialetto elettronico e obbligati a distanza con la figlia. 

Certo in Italia non tira aria fresca e progressista. In un’intervista televisiva dove si parlava di facilitare alle donne una vita da vivere paritaria la senatrice Mennuni (FdI) dice con veemenza: «Per le ragazze la prima aspirazione deve essere quella di essere mamma, è questo che dobbiamo ricordare alle nostre figlie, come mia madre, pur incoraggiandomi ad agire, ha detto a me. La maternità deve essere ancora cool — incalza, alla faccia delle ragazze e dei ragazzi (perché poi nomina anche loro) che hanno il sogno di studiare e di entrare attivamente nel mondo del lavoro — a diciotto e a diciannove anni di pensare a mettere al mondo una famiglia». Insomma, le ragazze si fermino al massimo al liceo e pensino a dare figli alla Patria. Questo l’avevamo già sentito!  
Intanto la Treccani ci fa un regalo ed elegge triste, ma vero, “femminicidio parola dell’anno. Dunque finalmente si nomina e forse dopo tante morti violente, davanti o insieme a figlie e figli, si comincerà seriamente a trovare soluzioni, politiche e sociali. 

A poche ore dall’inizio del nuovo anno vorrei dare consolazione con una poesia delicata e piena di coraggio come sapeva fare la grande Alda Merini. L’avevo già messa qui e per un’altra occasione di inizio anno, quello personale mio. Mi sembra augurale e mi piace rileggerla insieme a voi. Ne aggiungo un’altra di Erri De Luca. Si intitola Tavole che sono le protagoniste di queste festività, ma anche segni di distinzione sociale.  
Sia per tutte augurio di un anno dove il femminile cambi il mondo. Auguri intensi ai compagni di strada. 
P.S. I Romani aggiungevano il giorno in più dopo il 24 febbraio, che essi chiamavano ante diem sextum Kalendas Martias (sesto giorno prima delle Calende di marzo); il bisestile aggiuntivo si chiamava bis sextus dies (sesto giorno ripetuto) da cui l’aggettivo “bisestile”. 
Il 2024 sarà un anno bisestile. Lo dicono funesto (per i latini febbraio era il mese dedicato ai morti). Non temete, si può sempre optare per la “versione” inglese. Per i conterranei di Shakespeare è segno di fortuna e abbondanza! 

Quelle come me 

Quelle come me regalano sogni, anche a costo di rimanerne prive. 
Quelle come me donano l’anima, 
perché un’anima da sola è come una goccia nel deserto. 
Quelle come me tendono la mano ed aiutano a rialzarsi, 
pur correndo il rischio di cadere a loro volta, 
Quelle come me guardano avanti, 
anche se il cuore rimane sempre qualche passo indietro. 
Quelle come me cercano un senso all’esistere e, quando lo trovano, 
tentano di insegnarlo a chi sta solo sopravvivendo. 
Quelle come me quando amano, amano per sempre, 
e quando smettono d’amare è solo perché 
piccoli frammenti di essere giacciono inermi nelle mani della vita. 
Quelle come me inseguono un sogno 
quello di essere amate per ciò che sono 
e non per ciò si vorrebbe fossero. 
Quelle come me girano il mondo alla ricerca di quei valori che, ormai, 
son caduti nel dimenticatoio dell’anima. 
Quelle come me vorrebbero cambiare, 
ma il farlo comporterebbe il nascere di nuovo. 
Quelle come me urlano in silenzio, 
perché la loro voce non si confonda con le lacrime. 
Quelle come me sono quelle cui tu riesci sempre a spezzare il cuore, 
perché sai che ti lasceranno andare, senza chiederti nulla. 
Quelle come me amano troppo, pur sapendo che, in cambio 
non riceveranno altro che briciole. 
Quelle come me si cibano di quel poco e su di esso, 
purtroppo, fondano la loro esistenza. 
Quelle come me passano inosservate. 
ma sono le uniche che ti ameranno davvero. 
Quelle come me sono le uniche che, nell’autunno della tua vita 
Rimpiangerai 
per tutto ciò che avrebbero potuto darti e che… 
Tu non hai mai voluto. 
 
Alda Merini 

Tavole 

Mi sono seduto anche a tavole sontuose 
dove i bicchieri vanno secondo i vini 
e uomini di molto più eleganti 
s’aggirano a servire le pietanze. 
Ma so meglio la tavola dove si strofina il fondo della scodella 
con i pane e le dita arrugginite 
mensa di panche basse a mezzogiorno 
di fiati vergognosi di appetito. 
Non bisbiglio di commensali a commentare il pasto 
ma di gole indurite che inghiottiscono 
per rimettere forza di lavoro 
e non portano eretti alla bocca la posata 
ma si calano sopra, addentano a mezz’aria 
per nascondere il magro del boccone 
il quasi niente avanzo della sera. 
E di cibo non parlano per il timore di nominarlo invano. 

Erri De Luca 

Buon anno a tutte e a tutti. Che viva la speranza. 

Anno che va, anno che viene. Un anno terribile, il 2023, per le donne: i femminicidi sono stati l’unico reato in aumento nel nostro Paese. È doveroso allora aprire la rassegna degli articoli dell’ultimo numero dell’anno con il contributo prezioso della nostra collaboratrice Graziella Priulla, Il linguaggio ci avvelena solo se glielo consentiamo, una lettura indispensabile per tutte e tutti, da proporre anche alle donne e agli uomini di domani. 

Abbiamo smesso da poco di sfogliare l’edizione di Calendaria sulle Nobel e già è pronta la nuova edizione, questa volta dedicata alle musiciste, illustrata nell’articolo Da Calendaria 2023 a Calendaria 2024. 
Uno dei temi più scottanti con cui continueremo a fare i conti anche nel 2024 è il riscaldamento globale, conseguenza di uno sviluppo del nostro sistema economico fondato sulla distruzione delle risorse del Pianeta. Come imparare a riflettere sulla sostenibilità ambientale prova a mostrare i tanti progetti che, destinati soprattutto alle scuole, cercano di aumentare la consapevolezza su questo problema. Non basta, però, la consapevolezza. Un esempio di attivismo per la protezione e la conservazione (“Conservation is the key”) delle nostre Alpi è raccontato in Un premio alla “speranza attiva” di Annamaria Gremmo, l’intervista di questa settimana. Si può essere attiviste per il cambiamento anche nell’arte. Per “Le Grandi assenti” incontriamo VALIE EXPORT (il nome si scrive proprio così, tutto in maiuscolo), artista femminista che con le sue performance provocatorie ha voluto fermamente denunciare le radici dell’oppressione delle donne. Un’altra figura femminile da ricordare per il suo grande attivismo è ben descritta nell’articolo dell’unica firma maschile di questo numero: L’impegno politico e sociale di Maria Lombardi. Dalla produzione diaristica delle donne, una ricchezza in molta parte ancora inesplorata, scopriamo con la scrittrice Ester Rizzo Irma Cozzi Braida. La profuga di Caporetto

Le nostre serie continuano: per “Italiano Lingua altra “, Verso le festività di fine anno ci racconta le lezioni del primo trimestre della “classe arcobaleno” di cui faremo conoscenza. Nella Sezione “Juvenilia” Sfogliando Calendaria 2023, tante idee e progetti nelle classi condividiamo i lavori premiati dalle classi dell’IIS Matteo Raeli di Noto al Concorso di Toponomastica femminile “Sulle vie della parità”. Per le iniziative della nostra associazione presentiamo la relazione dell’incontro Parole che fanno la differenza, non solo una questione di vocali, che si è svolto a Lodi lo scorso ottobre, mentre Sara Balzerano riassume il dicembre di Toponomastica femminile nel suo consueto report mensile.
Per “Lonely Planet” andremo in Albania con l’autrice di Visitando Tirana e le sue meraviglie. Il tema del viaggio, a noi caro, è ripreso anche da Fotografe viaggiatrici. Le pioniere, una carrellata delle prime donne che intuirono le potenzialità di quest’arte. 

Chiudiamo, come sempre, con una nota di dolcezza, per la nostra rubrica “La cucina vegana”, con il Budino al latte di mandorla, dessert di facile preparazione, profumato dalle spezie. Qualcuna/o in questi tempi cupi di guerre condivide “i non auguri”. Noi preferiamo fare auguri non generici, ma mirati. Auguriamo a tutte e tutti auguri di pace
SM 

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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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