Carissime lettrici e carissimi lettori,
allora era ben altra cosa! Rimandava ad un altro significato e a una precisa localizzazione. “Non passi lo straniero”, inteso come il nemico sul campo di battaglia, quello del Piave, della canzone dedicata alla battaglia del 24 maggio 1918. Come voleva intendere il verso della canzone composta nel 1918 da Ermete Giovanni Gaeta e adottata come inno nazionale dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, per rafforzare democraticamente il patriottismo, non come lo intendeva il passato regime. Significava che doveva passare per la guerra, come invasore reale e oppressore, che in quel caso era il nemico e riguardava il soldato dell’esercito austro-ungarico.
Oggi no, è diverso. Lo straniero è l’immigrato o l’immigrata che decide, se addirittura non è costretto/a, di lasciare la propria terra, la propria gente, famiglia compresa, e qualche volta anche i propri valori, perché, e mi sembra logico, non è detto che siamo solo noi, cosiddetti occidentali, a possedere quelli giusti. Un uomo o una donna che “sognano” per sé e semmai per le figlie e figli, un passaggio a una vita migliore. Con molta probabilità, senza facili buonismi nelle intenzioni, non si intende come atto intenzionale principale di chi arriva, andare, arrivare in terra d’altri e altre, con il fine della “sostituzione etnica” del popolo ospitante, come ha decretato un nostro ministro.
È normale che un “corpo estraneo”, inteso pure con un pizzico di darwinismo, metta paura, si debba metabolizzare e accettare. Bisogna cercare soluzioni. Ma prima che si inneschi solo il germe dell’odio che fa presto, troppo in fretta, a fiorire. L’immigrato/a che approda in terre dove non è nato/a non è lo Straniero descritto da Albert Camus, nell’opera omonima, estraneo anche a se stesso: «Meursault — il protagonista del romanzo suggerito da tanti critici tra i cento più belli del ventesimo secolo — è un modesto impiegato di Algeri, che vive in uno stato di indifferenza, di estraneità a se stesso e al mondo». É, in buona parte, proprio come succedeva a noi, nella nostra e-migrazione, nel desiderio del fare.
Lo Straniero è, di fondo, chi viene per migliorare la sua vita, quella dei suoi familiari e, anche, a beneficio del Paese da cui è partito/a, nel quale è nato/a, in cui, al più presto manda le “rimesse”, spesso superiori ai guadagni, quelli non facili, faticati e non sempre corrispondenti, nella loro interezza, ai racconti fatti in patria per esplicitare il proprio successo andato a cercare altrove. È il caso eclatante delle filippine, soprattutto donne e praticamente prime immigrate da noi; c’è stato bisogno, urgente, di coinvolgerle in un corso di economia (che ha interessato le signore di questa nazionalità da nord a sud d’Italia) per mettere riparo all’indebitamento a cui si erano sottomesse proprio per dare l’idea in Patria di vivere agiatamente.
Un episodio di cronaca scoperto quasi per caso dalla polizia postale indica il pericolo insito in alcune scelte della politica che possono diventare molto pericolose. Il protagonista è un minorenne, un ragazzetto di 17 anni, che abita nel comasco, italiano, di origini turche. Il ragazzo “mette su” una pagina social di chiaro accento fascista e tanta simpatia per il nazismo. Al termine dell’indagine, condotta dalla Sezione antiterrorismo destra delle Digos di Milano e Como lo scopo era uno, chiaro: «organizzare e mettere in atto spedizioni punitive in nome del fascismo e del nazismo». Obiettivi di quelle stesse spedizioni: gli stranieri. I primi nemici erano loro e lui è ora indagato con le accuse di propaganda e istigazione a delinquere per finalità di odio razziale, anche mediante l’apologia della Shoah. «Il giovanissimo, incensurato, è finito nei radar degli investigatori della Digos di Milano, che durante il classico monitoraggio del web si sono imbattuti in un gruppo creato sui social, e amministrato dal minorenne, in cui erano presi di mira cittadini stranieri. Per un diciassettenne di Como è scattato il divieto di utilizzo di telefoni e pc, altri due ragazzini sono stati perquisiti. Nelle chat, legami con maggiorenni già indagati per reati d’odio».
Noi, un popolo di migranti, anche dei giorni nostri, con troppi e troppe giovani che scelgono la “fuga” all’estero per trovare lavori più adeguati e retribuiti, abbiamo decretato con il referendum di domenica e lunedì scorso, che ci sarà un problema difficilissimo ora da risolvere, quale che sia il partito o la coalizione che lo prenderà in carica.
Perché il referendum che non ha raggiunto il quorum (ben venti punti sotto) ha soprattutto detto con forza un “no” al quinto quesito abrogativo che riguardava i tempi di presentazione della domanda di cittadinanza per gli e le straniere regolari sul territorio, fermi restando i tempi di controllo e di verifica dei requisiti che indicano la risposta a circa tre anni. Un categorico “no” ad “accorciare” le distanze indicate, per gli e le immigrate che ne fanno domanda, sulla strada per la completa integrazione, l’ottenimento della cittadinanza.
Chi viene da altre terre deve, dunque, aspettare dieci anni e poi altri ancora (circa tre) perché tutti i requisiti siano controllati e verificati. Attraverso la partecipazione popolare, con il quinto dei quesiti referendari, i tempi di presentazione della domanda si sarebbero dimezzati. Sarebbero rimasti fissi i tempi, i famosi tre anni, a disposizione delle autorità italiane per i controlli.
L’affluenza complessiva che si è fermata al 30,5% (in effetti leggermente più in basso, al 29,8% se si tiene conto anche del dato degli italiani all’estero). Ma mentre, come si vedrà nell’articolo dedicato qui ai referendum, quelli che riguardano la risposta ai quesiti sul lavoro hanno raccolto più o meno gli stessi numeri tra “Sì” e “No”, con una media che si è stabilizzata per una media di oltre 8 elettori su 10 che hanno risposto Sì all’abrogazione delle norme su licenziamenti illegittimi, contratti a termine e sicurezza negli appalti. Diversamente, il quesito cittadinanza ha incassato molti meno sì, poco più di sei elettori su dieci.
Un “malore” che è un fantasma fatto di odio che si aggira non solo per l’Europa, con i governi che prediligono costruire “muri” invece di creare reti, ma anche oltreoceano con le terribili prese di posizione e atti di potenza di Donald Trump, con deportazioni di massa tra gli stranieri e straniere a Los Angeles e in genere in California dove è stata inviata addirittura la Guardia nazionale. I numeri spaventano: 9.000 persone che con molta probabilità saranno tutte deportate nel carcere di Guantanamo. Si è parlato, a ragione, di una “società dell’angoscia” che si esibisce attraverso i muscoli…e le soluzioni appaiono sempre più lontane, un fatto confermato anche, come si è visto da noi, dal pensiero comune che non intende aprirsi al nuovo, pur mettendo le regole.
Odiamo la guerra, ma è davvero un plurale maiestatis, perché la guerra sembra ancora il crudele gioco degli uomini, sì soprattutto maschi, che non sanno, non hanno mai imparato a giocare alla pace fin da bambini, come dettava una poesia letta insieme con voi alla fine di uno degli ultimi editoriali. Ma sembra che la guerra non voglia morire.
Ho letto con grande interesse un articolo di Gustavo Zagrebelsky che ci parla di comprensione, inclusione, di diritto di essere lasciati in pace, usando non a caso le parole, di andare altrove. Mi è sembrato un tesoro da conservare che desidero condividere con voi. Scrive il giurista: «Il rispetto dei pensieri, delle credenze e dei modi di vivere è ciò che chiamiamo tolleranza, sostanza spirituale degli ordinamenti dove si ama la libertà. Comporta uguaglianza nella diversità e, dunque, libertà. Non è solo un atteggiamento psicologico individuale nei confronti dei “diversi da sé”. È anche il contenuto di un vero diritto che plasma di sé l’intera società: il diritto a essere lasciati in pace, il right to be let alone, antidoto alla massificazione. Oggi parliamo di diritto alla privacy. Fare parte per sé stesso può essere l’aspirazione del solitario, ma anche la condizione per agire liberamente nella vita sociale. Parlare di uguaglianza e tolleranza sembra a prima vista una contraddizione. Ma non è così: il corso della vita è una continua potenziale chiamata a scelte del più diverso genere e nei più diversi ambiti, politico, religioso, culturale, professionale, familiare, eccetera. La tolleranza di tutti nei confronti di tutti garantisce l’uguaglianza, l’uguaglianza nella diversità. È l’opposto dello “stato etico”, lo stato che abbraccia una propria dottrina del bene per imporla alle vite individuali. Anche questa è uguaglianza, ma uguaglianza nella costrizione. I regimi che si autoproclamano illiberali possono anch’essi parlare di uguaglianza, ma sono intolleranti verso “i diversi”. I diversi, in tali regimi, sono i fuori-norma, gli anormali: non meritano di esistere perché minano la compattezza e la solidità della comunità, intesa come un tutto. Se sei minoranza, stai in guardia: prima o poi «verranno da te» (Bertolt Brecht).
Due canzoni, da ascoltare e da leggere che parlano di libertà e la fantasia assoluta che sottende la libertà con la gioiosità che trasmettono Edoardo Bennato e Giorgio Gaber.
Voglio essere libero, libero come un uomo. Vorrei essere libero come un uomo
Come un uomo appena nato
Che ha di fronte solamente la natura. Che cammina dentro un bosco
Con la gioia di inseguire un’avventura
Sempre libero e vitale
Fa l’amore come fosse un animale. Incosciente come un uomo. Compiaciuto della propria libertà
La libertà non è star sopra un albero. Non è neanche il volo di un moscone La libertà non è uno spazio libero Libertà è partecipazione.
Vorrei essere libero come un uomo
Come un uomo che ha bisogno di spaziare con la propria fantasia E che trova questo spazio
Solamente nella sua democrazia
Che ha il diritto di votare
E che passa la sua vita a delegare E nel farsi comandare
Ha trovato la sua nuova libertà
La libertà non è star sopra un albero Non è neanche avere un’opinione La libertà non è uno spazio libero Libertà è partecipazione
Vorrei essere libero come un uomo
Come l’uomo più evoluto
Che si innalza con la propria intelligenza. E che sfida la natura
Con la forza incontrastata della scienza. Con addosso l’entusiasmo
Di spaziare senza limiti nel cosmo
E convinto che la forza del pensiero
Sia la sola libertà
La libertà non è star sopra un albero Non è neanche un gesto o un’invenzione La libertà non è uno spazio libero Libertà è partecipazione
La libertà non è star sopra un albero Non è neanche il volo di un moscone La libertà non è uno spazio libero Libertà è partecipazione
Giorgio Gaber
Nel covo dei pirati, c’è poco da scherzare Chi non si arruola finisce in fondo al mare Finanche i più convinti, finanche i più decisi A denti stretti si sono tutti arresi
Tu invece sei la sola che va così sicura
Sul trampolino di Capitan Uncino
Ma dimmi come fai a non aver paura
O sei incosciente oppure sai che è un sogno Che non dura
Come sei brava a raccontare
Ad inventarti quelle avventure. Sembrano vere, che fantasia che hai!
Continua il tuo racconto, mi sembra di vederti Al punto giusto lui arriverà a salvarti
Tutte le tue avventure son belle da sognare Però nei sogni non ti puoi rifugiare
Non vedi il tempo corre e non lo puoi fermare. Diventi grande e ti vogliono cambiare
E questo ti spaventa, i grandi sono strani Fanno paura più dei pescecani
Ma proprio adesso, ti vuoi fermare
Non ti interessa di far vedere
Se è proprio vero che non ti arrendi mai
Nel covo dei pirati c’è poco da scherzare. Chi non si arruola finisce in fondo al mare Ma tu con i pirati, sai già che cosa fare
È un tuo vantaggio e non ci rinunciare
Tu già lo sai cosa fare
È come nei sogni, è come nelle avventure
Ma il principe azzurro stavolta forse non viene E contro i pirati dovrai lottare davvero
Ma oramai già lo sai dai pirati cosa ti puoi aspettare
Ti potranno insultare, minacciare, in fondo è il loro mestiere
Ti faranno i versi, le boccacce, ti faranno le facce scure
È per questo che si allenano davanti allo specchio quasi tutte le sere
Ma lo fanno per cercare di vincere le loro stesse paure Oramai già lo sai dai pirati cosa ti puoi aspettare
Ma è proprio questo il tuo vantaggio e non ci rinunciare Oramai già lo sai dai pirati cosa ti puoi aspettare.
Edoardo Bennato
Il nuovo numero di Vitamine vaganti si apre con la protagonista di Calendaria della settimana: Anni Albers. Quando la tessitura diventò arte, storia di una tessitrice rivoluzionaria del suo campo.
Ci si sposta in Sicilia, al Teatro greco di Siracusa, dove nella nuova stagione teatrale sono messe in scena diverse opere che mettono al centro donne «guidate da passioni assolute»; se ne parla in Le protagoniste delle tragedie greche. Tra mito, passione e modernità. Si vola poi in Asia in Cambogia. Luogo di terra e acqua, un Paese che porta ancora i segni della sua storia recente. Dall’Asia si va infine in Messico alla scoperta di Malinche, la madre chicana, una figura femminile controversa e affascinante insieme.
Andare avanti guardando indietro è un doveroso approfondimento sull’istituto del referendum, alla luce degli ultimi risultati dell’8 e 9 giugno scorsi.
In “La uccide perché l’ha lasciato…” viene discussa la narrazione attuale attorno ai femminicidi veicolata da media che si ostinano a non voler usare le parole adeguate a descrivere questo fenomeno.
Si cambia argomento passando al mondo della scienza con Paleoclimatologia: leggere il passato per prevedere il futuro, alla scoperta della disciplina che studia il clima del passato.
La parte dedicata alla letteratura si apre con I libri che salvano, intervista a Mariastella Lippolis, attivista e scrittrice finalista del Premio Strega del 2008. La recensione della settimana è dedicata a Siamo fatte di carta, di Anna Maria Scocozza e Floria Porta, una lettura sperimentale dove le autrici danno vita alla carta, trasformandola in un corpo e in una voce, raccontandone lo spirito attraverso un’intensa narrazione femminile». Con Il taccuino di un’ultimista continua l’esplorazione del pensiero di Clara Sereni, questa volta incentrata sulla sua scrittura da giornalista.
Nella sezione Flash back, possiamo leggere il ricordo Dal primo giorno.
Donne dell’Islam è il tema di Bibliografia vagante di questo mese. Importanti ricorrenze celebra degnamente importanti anniversari troppo spesso ignorati.
Il numero si chiude con la gustosa ricetta della settimana: I semi di chia, alleati di benessere.
A tutte e a tutti auguriamo buon appetito!
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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.
