Sono passati molti anni da quando Dame Florence ha trasformato l’attività di cura al malato in una professione, modificando il precedente assetto che vedeva l’opera messa in pratica per la maggior parte da religiose. Molto tempo ancora passerà prima che si possa vedere aperta la strada degli ospedali e della libera professione anche alle “dottoresse”. Ormai sdoganata la professione dell’infermiera e dell’ostetrica, le signorine di buona famiglia si guadagnano da vivere onestamente con questa attività, dopo aver acquisito un’adeguata preparazione in materia grazie a scuole appositamente create e dopo aver superato il primo fondamentale ostacolo: l’accesso alle facoltà di Medicina. Ma la strada non è stata certo semplice, perché le donne furono comunque relegate ancora per decenni primariamente nei cosiddetti “Ospedali femminili” per quel che riguarda l’ambito britannico, e nei settori di pediatria e maternità nella sanità italiana.
Unica eccezione sono i periodi di guerra, quando lo stato di necessità obbliga ad arruolare, o assumere con contratti civili, anche le donne, in particolare chirurghe e igieniste. Come nella Grande Guerra e nel primo dopoguerra che vedono l’istituzione di una sanità pubblica dedicata da un lato a rimediare ai danni della guerra e, dall’altro, a creare una popolazione sana e forte per scopi propagandistici.
Da quel centinaio di donne laureate in medicina fino agli anni ‘20 si è passati ora ad avere in Italia il 40% di donne tra i laureati in medicina, impiegate sia negli ospedali che nella libera professione, mentre le Università ormai certificano il sorpasso tra studenti.
Vien da pensare che le porte della professione si siano aperte anche alle donne oppure, viceversa, che la professione sia oggi meno ambita dagli uomini? Altro dato da considerare è il cosiddetto “numero chiuso” che, obbligando al superamento di un test di accesso scritto facilita le donne, notoriamente più “studiose” dei loro compagni di scuola.
Dato interessante si evince da una ricerca effettuata a Padova dall’Ordine locale dei Medici. Secondo la ricerca, molte delle donne che si dedicano a questa professione rinunciano alla famiglia, contrariamente ai colleghi maschi e, soprattutto, che tale rinuncia non le facilita affatto nell’accesso agli alti livelli dirigenziali.
Uno studio approfondito sull’argomento del 2012 (dati Onaosi) detta che le mediche negli ospedali pubblici oggi rappresentano il 40% del totale, e tra i medici sotto i trenta anni (25-29) il 63% è rappresentato da donne. Donne in maggioranza anche fra i 30 e i 34 anni con il 62,73%. Dai 35 ai 39 anni il 62% delle presenze e sostanziale pareggio nella fascia tra i 40 e i 44 (53%). Per arrivare a una netta maggioranza degli uomini bisogna aspettare la soglia dei 50 anni . Nella fascia d’età che va dai 60 ai 69 anni solo il 18,9% dei medici è donna. Quindi si può osservare una progressiva e costante scalata alla professione da parte delle donne, ma al contempo, tale scalata non è premiata con l’accesso ai posti di potere e quindi maggiormente remunerati. “Infatti – detta ancora la ricerca – le donne che ricoprono incarichi di direttore di struttura complessa sono il 14% (1.272 vs 10.154 uomini) e donne al comando di una struttura semplice sono 5.267, contro 18.472 uomini (il 28%) mentre solo il 9% dei Direttori Generali è donna (25♀ contro 273♂) e anche raggruppando insieme direttore generale, sanitario, amministrativo e dei servizi sociali non si arriva al 18% delle presenze rosa”.
Le statistiche pubblicate ci fanno dunque amaramente sapere che le donne impiegate in questa professione sono tante, ma le dirigenti poche, mentre gli ultimi concorsi per gli ospedali, in special modo per i reparti di emergenza, vanno deserti o quasi.
Allora viene da chiedersi se esista davvero una reale apertura della professione alle donne oppure, viceversa, la professione non sia più ambita dagli uomini come qualche anno fa, messi in fuga dalle maggiori responsabilità e dal minor guadagno.
Articolo di Elena Branca
Socia della Società Italiana di storia della Medicina e dell’A.N.S.M.I. Piemonte e Valle d’Aosta, è cultrice di storia della Croce Rossa e della Medicina (con particolare riferimento al ruolo della donna). Si occupa inoltre di rievocazione storica con il Gruppo Storico A.N.S.M.I. Piemonte, 12th Durham Light Infantry Italian Reenacting Group, The Gordon Hilanders 1914 18 Italian branch.