Nasceva a Milano, il 28 giugno 1808, Cristina Trivulzio.
Donna di grande modernità e azione era venuta alla luce in una famiglia nobile e ricca; rimase orfana di padre a quattro anni. Ricevette, come da tradizione, lezioni a casa. Determinante per la sua formazione fu il rapporto con l’insegnante di disegno, Ernesta Bisi, che l’avvicinò alle idee libertarie. A sedici anni rifiutò il matrimonio con un cugino che ella definiva «triste e piagnucoloso» e sposò, contro il parere di tutti, il principe Emilio di Belgioioso, bello, giovane, vicino alla Carboneria. Il matrimonio durò poco, ma i rapporti tra i due rimasero buoni per tutta la vita.
La frequentazione degli ambienti rivoluzionari la costrinse alla fuga prima in Svizzera, poi in Francia. Qui, conobbe lo storico francese Augustin Thierry, che le rimase amico per tutta la vita. La polizia austriaca sequestrò tutti i suoi beni in Italia. In Francia Cristina si mantenne realizzando e vendendo pizzi e ritratti.
Nel centro di Parigi aprì un salotto culturale, strinse amicizia con Heine, Liszt, de Musset. Fu editrice di giornali patriottici, aiutò economicamente numerosi fuorusciti italiani, perorò la causa italiana a Parigi. Apprezzò le idee del socialismo utopistico di Charles Fourier.
Fu madre a trenta anni, chiamò Maria la sua bimba ma non si seppe mai chi fu il padre. Tornò a Locate, dove era rientrata in possesso della proprietà di famiglia. Qui istituì asili, scuole femminili e maschili e forme di previdenza per i contadini e molte altre iniziative filantropiche. Incontrò Cavour, Balbo, Tommaseo, Montanelli.
Sostenne le Cinque Giornate di Milano con un “esercito” di duecento volontari che furono portati in piroscafo fino a Genova e di qui a Milano. Poco tempo dopo si unì ai patrioti della Repubblica Romana, trascorrendo giorni e notti negli ospedali. Dopo la sconfitta della Repubblica Romana raggiunse Costantinopoli, poi nel cuore della Turchia fondò una colonia agricola aperta a profughi italiani, assistette la popolazione locale come a Locate, si guadagnò da vivere scrivendo articoli di sorprendente verismo sull’Anatolia, il Libano, la Siria, la Palestina. Scrisse potenti reportage sulla vita in Oriente e sulla condizione delle donne negli harem.
Dopo la nascita del regno d’Italia lasciò ogni attività politica e trascorse tra Milano, Locate e il lago di Como gli ultimi suoi anni di vita. Morì nel 1871, a sessantatré anni, a Locate.
Di lei molto, e spesso molto approssimativamente si è detto. Poco a proposito di un primato che le spetterebbe di diritto e che invece non le è stato attribuito. Cristina Trivulzio fu precorritrice della nascita della Croce Rossa, anticipando con azioni e visioni quella che fu poi l’impresa di Florence Nightingale. La storia si gioca tutta in quello che fu, nel Risorgimento italiano, il biennio 1848-1849. A Roma, nei mesi della Repubblica Romana, che ebbe vita dal 9 febbraio al 4 luglio 1849, fu presentato il primo progetto di organizzazione e formazione dell’assistenza infermieristica e ospedaliera, sostenuto da principi scientifici e criteri umanitari. In questa innovativa iniziativa si distinse Cristina Trivulzio di Belgiojoso. Sul «Monitore Romano» n.84 del 27 aprile 1849, si leggeva:
ALLE DONNE ROMANE. Nel momento che un Cittadino offre la vita in servizio della Patria minacciata, le Donne debbono anche esse prestarsi nella misura delle loro forze e dei loro mezzi. Oltre il dovere dell’infondere coraggio nel cuore dei Figli, dei Mariti e dei Fratelli, altra parte spetta pure alle Donne in questi difficili momenti. Non parliamo per ora della preparazione di cartucce e munizioni di ogni genere cui potranno essere più tardi invitate le Donne Romane Ma già sin d’oggi si è pensato di comporre una Associazione di Donne allo scopo di assistere i Feriti, e di fornirli di filacce e di biancherie necessarie. Le Donne Romane accorreranno, non v’ha dubbio, con sollecitudine a questo appello fatto in nome della patria carità. – Basterà per ora che le bene intenzionate in favore di questa Associazione, mandino i loro nomi ad una delle cittadine componenti il Comitato, o al Rev. P. Gavazzo al quale, come a Cappellano maggiore, spetta la Direzione di questo Comitato. Le Signore Associate riceveranno poi avviso del luogo e del momento in cui sarà richiesta la loro opera. Le offerte in biancheria, filacce ecc. ecc. possono pure essere dirette alle Cittadine componenti il Comitato: Marietta Pisacane, Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Giulia Bovio Paolucci.

Tre giorni dopo, per ordine del Triumvirato (Carlo Armellini, Giuseppe Mazzini e Aurelio Saffi), fu costituita un’Amministrazione delle Ambulanze, di cui Belgioioso, Bovio Paulucci e Pisacane furono parte insieme al cappellano militare Alessandro Gavazzi e ad altri dieci cittadini che probabilmente avevano specifiche competenze mediche. Attivarono immediatamente ambulanze, ospedali, conventi e ospizi nelle zone più vicine ai luoghi di combattimento mentre le donne furono invitate a presentarsi in quelle sedi a prestare opera di soccorso. Un appello fu destinato anche ai sacerdoti dell’urbe affinché dessero una mano ai cappellani militari nella somministrazione dei sacramenti a quanti si trovavano in fin di vita, con l’invito a svolgere, anche loro, un’opera di «apostolato, di esempio e di parola, per raddoppiare ovunque il coraggio durante la lotta contro gli sgherri del dispotismo». Dopo pochi giorni, il primo di maggio, sui muri di Roma fu affisso un altro invito alle donne che erano già numerose accorse a iscriversi nelle apposite liste. La partecipazione delle donne romane alla cura e all’assistenza dei tanti feriti fu alta e significativa. Risposero compatte nonostante il forte ostracismo da tante parti. Il più ampio e attrezzato centro di soccorso fu quello coordinato da Cristina Trivulzio. L’ospedale della Trinità dei Pellegrini accoglieva moltissimi feriti e qui operavano la gran parte delle assistenti.
Cristina Trivulzio ebbe un ruolo importantissimo nella conduzione dell’assistenza ai feriti. Molti furono quelli che ne rimasero colpiti. A darne conto ci fu anche lo scrittore e artista statunitense William Wetmore Story che in quei giorni fu testimone delle giornate romane. Egli contribuì all’impegno dell’associazione con donazioni in denaro e ammirò da vicino il lavoro serio e costante di Trivulzio. Ad indicare la posizione degli ospedali c’erano drappi neri posti sui tetti. Avrebbero dovuto essere risparmiati dall’esercito francese, ma non accadde. In questi ospedali le donne aiutarono e assistettero tutti i feriti e non lasciarono soli quelli francesi contro i quali gli uomini e la politica combattevano. Fu lo stesso generale Nicolas C.V. Oudinot a ringraziare pubblicamente Cristina Trivulzio per la sua abnegazione e disponibilità nei confronti di quegli uomini feriti che erano lì da nemici, ma alla sua corretta posizione fece da contraltare quella faziosa e misogina di alcuni memorialisti francesi che definirono le volontarie romane come «signore dalle nude spalle e seducentemente adorne» che «assidevansi al capezzale de’ malati francesi per far proseliti colla voluttà» e non per porgere loro le dovute e necessarie cure e, raccontavano, che i soldati francesi (se fosse vero sarebbe l’ennesimo caso di irriconoscenza) avevano trasformato il nome nobiliare di Tribulzio di Belgiojoso, in quello allusivo di Bellejoyeuse.
Contro l’abnegazione e la dedizione di Cristina Trivulzio e delle altre tante donne si scagliò la chiesa. Papa Pio IX nel suo Noscitis et Nobiscum scrisse: «Miseri infermi già presso a morire….costretti ad esalare lo spirito tra le lusinghe di sfacciate meretrici». Nella scelta delle volontarie, Cristina Trivulzio fu durissima, solo 300 vennero prese tra romane, straniere, aristocratiche e popolane. Cristina non si preoccupò solo di selezionare e arruolare infermiere, cercò soprattutto di dare all’assistenza infermieristica un assetto definitivo.
Al Triumvirato sollecitò un rapido e incisivo intervento per mettere fine alla mancanza di igiene e mantenere fede ai dettami etici. Non si limitò a denunciare e chiedere, ma redasse un progetto di formazione e di organizzazione infermieristica e ospedaliera che allegò. Tra le maggiori emergenze segnalate c’erano: la mancanza di fondi, di strumenti chirurgici, di etere per alleviare le sofferenze dei ricoverati, i letti per quanti riportavano fratture, la mancanza di professionalità tra i chirurghi. A conferma di quanto denunciato vale per tutti la drammatica fine di Goffredo Mameli. Si racconta che dopo che gli fu amputata la gamba si scoprì che nella sua ferita era stato lasciato un turacciolo; a nulla valsero le proteste di Cristina Trivulzio che potette accogliere solo gli ultimi respiri di Mameli che spirò tra le sue braccia.
Quando all’inizio dell’estate 1849 i Francesi vinsero, non risparmiarono, nella loro azione distruttrice, gli ospedali. Trivulzio rimase, finché non fu a rischio la sua vita, al suo posto continuando il più possibile la sua attività e grazie alla sua posizione sociale, riuscì ad attenere per i feriti la protezione dei consolati inglese e statunitense. Poi dovette lasciare l’urbe.
Cinque anni dopo, nel 1854, in Crimea, Florence Nightingale, considerata la madre della professione di “infermiera”, mise in pratica quello che Cristina aveva già fatto. Trivulzio attribuì alla figura infermieristica ruoli e funzioni che andavano oltre il mero, e pur fondamentale, aspetto umanitario. Per quelle donne aveva chiesto formazione e istruzione, le concepiva come assistenti dell’infermo in toto, dai bisogni fisici a quelli sociali. Nella conduzione del suo ospedale s’interessò delle paghe dei militi e delle loro pensioni, s’impegnò a garantire il conforto religioso tanto da non far mancare mai cappellani militari e sacerdoti.
Il suo progetto per la realizzazione di una razionale assistenza infermieristica femminile andò ben oltre l’emergenza del conflitto e le sue proposte furono assai moderne per i tempi: il tirocinio presso un ospedale, l’insegnamento scientifico e morale, il riconoscimento sociale ed economico alla figura assistenziale erano quasi impensabili per quei tempi e in quei luoghi. L’esperienza fourieriana aveva accompagnato le sue azioni filantropiche e sociali.
Fu Cristina Trivulzio ad aprire la frontiera dell’assistenza senza confini e senza bandiere. La sua azione e la sua abnegazione diedero salvezza e sollievo ad una moltitudine di sfortunati, ma la storia non ha voluto renderle il merito che pure in vita si era conquistata.
In copertina: Cristina Trivulzio Belgiojoso, Henri Lehmann, 1843
Articolo di Nadia Verdile
Nadia Verdile è nata a Napoli, vive a Caserta, le sue origini sono molisane. Scrittrice e giornalista, collabora con «Il Mattino». Ha 19 libri all’attivo, molti suoi saggi sono stati pubblicati in riviste nazionali ed internazionali. Relatrice in convegni e seminari di studio, come storica, da anni, dedica le sue ricerche alla riscrittura della Storia delle Donne. È direttrice della Collana editoriale “Italiane” di Pacini Fazzi.