O come omofobia

‘Fobia’ significa paura irrazionale (così irrazionale e incompetente da confondere spesso omosessualità e pedofilia); il termine ‘omofobia’ è stato coniato nel 1972 e definito “un sistema di credenze e stereotipi che mantiene giustificabile e plausibile la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale”.
L’omosessualità è stata depennata dall’elenco delle patologie dall’Organizzazione mondiale della sanità e definita “una variante naturale del comportamento sessuale umano” nel 1990, eppure costituisce ancora – in molti luoghi e per molte persone – causa di emarginazione sociale e di stigma. In tale contesto non è sorprendente che l’essere omosessuale comporti grandi difficoltà pratiche e psicologiche, fino alla depressione, fino al suicidio. Ci sono perfino medici che propongono terapie “riparative”.
L’omofobia non è un’opinione, è – lei sì – una malattia: un terrore immotivato, un handicap psicologico. Curabile. È riscontrato il fatto che la condividono le personalità autoritarie, rigide, dogmatiche e quelle insicure, che si sentono minacciate. Per una società oscurantista è essenziale, al fine di mantenere il controllo, ribadire l’obbligatorietà dei desideri e dei legami eterosessuali (pena il “disordine morale”). L’omosessualità diventa simbolo di ciò che è estraneo alla comunità e quindi opposto a sé. Nella triste classifica della discriminazione e dell’odio al primo posto viene il razzismo, al secondo l’omofobia. Nell’Italia retrodatata la minoranza gay è vista come minaccia alla famiglia tradizionale, ai/alle giovani e alla loro crescita “corretta”, alla coesione sociale.
L’omofobia può manifestarsi in modi diversi, dalle forme più lievi alle più pesanti: dalle battute alle offese verbali, alle minacce, alle aggressioni fisiche, fino al delitto. Il 96% delle persone lgbt (lesbiche, gay, bisessuali o transessuali) riferisce di sentire tutti i giorni commenti o scherzi denigratori nei confronti di omosessualità e transessualità. I numeri riguardanti gli insulti omofobi su Twitter lasciano stupefatti: il report settimanale dell’università di Alberta ne censisce 430.000. Quattro milioni e mezzo ne vengono twittati in appena due mesi e mezzo.
Secondo l’Istat (Rapporto Omofobia) il 47,4% degli/delle italiani/e riferisce di avere sentito spesso conoscenti o amici/amiche usare parole offensive nei confronti degli e delle omosessuali, il 23% afferma di utilizzarle egli stesso/. L’omofobia fa parte della vita scolastica quotidiana: circa metà degli/delle studenti/studentesse delle scuole superiori italiane riporta di utilizzare “normalmente” insulti nei confronti di amici/amiche e compagni/compagne ritenuti/e gay/lesbiche. D’altronde si inizia ad ascoltare tali parole denigratorie fin da un’età precocissima: è facile immaginare il processo di apprendimento di un bambino o una bambina che senta ripetere con sistematicità anche in famiglia espressioni di questo tipo. Le allusioni pesanti, le frasi a doppio senso costruiscono il terreno in cui l’omofobia si radica nel quotidiano; lo concimano poi le esternazioni della politica.

Negli altri Paesi europei sono omofobi solo gli esponenti dell’estrema destra, da noi i membri del governo. In base all’art. 3 della Costituzione che vieta ogni discriminazione, l’omotransfobia e il sessismo sono reati, ma per il momento l’assenza di leggi specifiche in merito, il silenzio pavido dei governi fan sì che a molti/e queste non sembrino manifestazioni così gravi da necessitare un intervento specifico.
La risoluzione europea sull’omofobia, approvata a Strasburgo il 18 gennaio 2006, la mette sullo stesso piano del razzismo, della xenofobia, dell’antisemitismo. Da allora il Parlamento europeo è stato molto attivo, varando ben cinque risoluzioni, istituendo una Giornata europea per la lotta contro l’omofobia, mettendo a punto un programma di monitoraggio, scrivendo a più riprese che “le istituzioni hanno l’obbligo di prevenire e contrastare la discriminazione” e che tacere “viola i diritti umani”.
In Europa c’è evidente imbarazzo per l’omofobia italiana.
Nel 2004 il ministro italiano per le Politiche comunitarie Rocco Buttiglione non venne accettato come commissario europeo alla Giustizia e agli Affari interni a causa della sua notoria omofobia. Un suo collega, Mirko Tremaglia, rilasciò una dichiarazione di solidarietà su carta intestata del ministero che affermava: “Purtroppo Buttiglione ha perso. Povera Europa: i culattoni sono in maggioranza”. Nessuna conseguenza politica dopo il comunicato: che cosa sarebbe successo in qualsiasi altro Paese europeo? Che cosa sarebbe successo, anche in Italia, se un ministro avesse usato in un comunicato ufficiale un linguaggio altrettanto denigratorio nei confronti di altre minoranze?
Questo tipo di insulti agisce come dispositivo di disciplinamento per tutti e per tutte: ci ricorda le conseguenze per chi non corrisponde ai modelli obbligatori.
Considerato lo stereotipo che normalmente confonde identità di genere e orientamento sessuale, non è nemmeno necessario essere omosessuali per divenire bersaglio del rozzo bullismo omotransfobico: il/la debole, il/la sensibile, il/la non conforme diventa la vittima del branco. L’avversione verbale è un collante efficace, in fondo un meccanismo di difesa per gridare al mondo la propria “normalità”.

 

Articolo di Graziella Priulla

RfjZEjI7Graziella Priulla, già docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nella Facoltà di Scienze Politiche di Catania, lavora alla formazione docenti, nello sforzo di introdurre l’identità di genere nelle istituzioni formative. Ha pubblicato numerosi volumi tra cui: C’è differenza. Identità di genere e linguaggi, Parole tossiche, cronache di ordinario sessismo, Viaggio nel paese degli stereotipi.

Illustrazione di Marika Banci

1--BExhxDopo la laurea in Lettere moderne, Marika si iscrive al corso triennale di Progettazione grafica e comunicazione visiva presso l’ISIA di Urbino. Si diploma nel 2019 con una tesi di ricerca sulle riviste femministe italiane dagli anni ’70 ad oggi e la creazione di una rivista d’arte in ottica di genere dal nome “Biebuk”. Designer e illustratrice, ha dedicato alle tematiche femministe molti dei suoi ultimi progetti.

 

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