Anche in Italia, verso la fine del Settecento, le donne cominciano a viaggiare. Come le loro sorelle d’oltralpe sono di origine aristocratica o alto borghese e sono colte. Ma alcune, pur avendo viaggiato, non hanno lasciato testi scritti, come nel caso della marchesa Paola Castiglioni Litta, o hanno prodotto diari non destinati alla pubblicazione, come il Diario di viaggio e visita di Firenze di Isabella Teotochi Albrizzi rimasto inedito fino al 1992.
Isabella compie il suo Petit tour, con fini culturali, in compagnia del marito e del padre, tra la primavera e l’estate del 1789; descrive dapprima l’itinerario che dal Veneto la porta a Firenze, attraverso Bologna, raccontando tutte le difficoltà incontrate, dalle tempeste di neve ai danni alla carrozza, per dedicarsi poi, una volta giunta alla meta, alla descrizione di monumenti e opere d’arte con sguardo attento e valutazioni molto personali. Il tutto in uno stile curato ed elegante, adatto ad una lettura da salotto letterario da offrire ai suoi ospiti.
Anche un’altra famosa salonnière, la contessa Paolina Secco Suardo Grismondi, di Bergamo, concepisce il viaggio come occasione di apertura culturale e arricchimento personale. Così, nella primavera del 1778, parte con marito e amici alla volta della Francia. Il viaggio si conclude a Parigi dove la contessa ha contatti con Voltaire, Diderot e la Du Boccage. Racconta le sue esperienze e i suoi incontri attraverso le lettere, ma anche in una forma inconsueta e del tutto particolare, la poesia.
Un resoconto più tradizionale, secondo il modello del viaggio antiquario illustrato, è quello della romana Marianna Candidi Dionigi, donna di grande cultura, pittrice e appassionata di archeologia, dal cui salotto passano Monti, Leopardi, Canova e Shelley. Nel 1809 pubblica Viaggi in alcune città del Lazio che diconsi fondate dal Re Saturno, in cui, sotto forma di lettere a un amico, commenta una serie di vedute dei luoghi visitati che ha realizzato lei stessa. Le sue descrizioni sono accurate e filologicamente documentate; ma Marianna non rinuncia al suo sguardo femminile sulla realtà ed esprime le proprie sensazioni e emozioni davanti allo spettacolo della natura.
Fuori dall’Italia si compiono invece le esperienze di viaggio di Amalia Nizzoli e di Cristina Trivulzio di Belgioioso.
La prima, nelle Memorie sull’Egitto e specialmente sui costumi delle donne orientali e degli harem scritte durante il suo soggiorno in quel paese (1819-1828), pubblicate nel 1841, racconta le esperienze vissute nel paese straniero dall’infanzia all’età adulta, ponendosi però anche l’obiettivo di trasmettere ai suoi lettori e alle sue lettrici informazioni di carattere geografico, antropologico e storico-politico. Alla iniziale fascinazione, subentra poi uno sguardo più critico rispetto ai luoghi comuni sull’Oriente favoloso e Amalia, descrivendo la realtà dell’harem, riesce così a mostrare il senso di soffocante passività che caratterizza la condizione delle donne. Una condizione di subalternità e totale dipendenza che anche lei aveva sperimentato in prima persona quando era stata data in sposa a soli quattordici anni a un uomo che nemmeno conosceva.
Con Cristina di Belgioioso siamo ormai a metà Ottocento e la consapevolezza e la maturità delle scelte che spingono al viaggio sono pienamente conquistate e esplicitate. Cristina è una patriota, un’eroina del Risorgimento costretta a lasciare il suo paese per sfuggire all’arresto. Vive in esilio a Parigi e da lì finanzia e organizza azioni per la liberazione dell’Italia dalla dominazione straniera. Dopo la caduta della Repubblica Romana, nel 1849, decide di andarsene in Oriente dove resterà fino al 1855. Frutto di queste esperienze sono due libri di viaggio scritti in francese: Souvenirs dans l’exile (1850) e La vie intime et la vie nomade en Orient (1855). Cristina sceglie il viaggio perché in quel momento la sua presenza non può essere utile alla causa in cui crede e nel viaggio può trovare distrazioni e altre fonti di interesse. Nei Souvenirs, alla descrizione dei luoghi (la Grecia, Smirne e Costantinopoli) si alternano ricordi del passato legati al suo impegno politico. Per questo il suo sguardo, pur essendo attento e curioso, è a volte distaccato. Piuttosto superficiali sono le descrizioni del paesaggio, ma è interessata agli abitanti dei luoghi che attraversa, ai loro usi e costumi, in particolare alle condizioni di vita delle donne.
Nel secondo testo Cristina racconta poi del viaggio, durato circa un anno, compiuto con la figlia bambina, fino a Gerusalemme e in questo caso appare evidente la meraviglia per gli ambienti naturali così impressionanti e inusuali. Ma sempre la sua attenzione è attirata dall’aspetto umano e sociale delle comunità che incontra e il suo sguardo critico è in grado di smontare i miti dell’immaginario europeo sul favoloso Oriente. Così nell’harem vede soprattutto la condizione di totale subalternità delle donne, frutto sì di una particolare cultura, ma anche paradigma di una oppressione universale del genere femminile.
Le due opere di Cristina possono dunque considerarsi il frutto più maturo della via femminile alla scrittura di viaggio iniziata nel Settecento in cui, in uno stile fluido, vario ed elegante si coniugano, in perfetto equilibrio, “l’attenta e avvincente rappresentazione di luoghi e persone e la registrazione delle sensazioni e delle riflessioni dell’io”. (Ricciarda Ricorda)
Articolo di Daniela Fusari
Daniela Fusari, docente di materie letterarie nella scuola superiore, è nata a Lodi dove vive e insegna. In qualità di archivista, ha curato, il riordino e l’inventario di fondi documentari. Fa parte della Società Storica Lodigiana e ha svolto ricerche di carattere storico in ambito locale e per la valorizzazione dei Beni culturali. Riesce ancora, per sua fortuna, a divertirsi in tutte, o quasi, le cose che fa.