Editoriale. I giganti buoni non uccidono

Carissime lettrici e carissimi lettori,

Oggi vi racconto una favola. C’era una volta un uomo che tutti pensavano fosse molto buono. Era grande di corporatura e diceva di amare una ragazza che aveva gli occhi verdi, grandi di fata. Raccontava di amarla, diceva di farlo così tanto che prese insistentemente a confessarle questo suo sentimento, che lui chiamava “amore”. La ragazza dagli occhi verdi decise serenamente di rispondere all’uomo il suo “no”, perché non sentiva l’“amore” e poi perché non avrebbe potuto, per la sua omosessualità. A quell’uomo non piacque la risposta della ragazza, non le permise una scelta e con le sue pesanti mani la uccise. Poi quell’uomo si commosse e, dopo aver seppellito con cura il corpo della ragazza che non poteva più guardare il mondo con i suoi occhi verdi, arrivò davanti ai carabinieri. Disse loro che si era pentito e di avere commesso una “sciocchezza”. Si impietosirono in tanti per lui e lo chiamarono “il gigante buono” con le grandi mani. Mentre lei giaceva senza più respiro, sotto le foglie, in un casolare, strangolata da quelle mani e sepolta da loro. Le favole talvolta sono cattive, raccontano, soprattutto a noi donne, che bisogna stare attente. Non solo ai “lupi” dalle mani enormi, ma anche di chi con leggerezza, e non solo, li protegge dietro in linguaggio che uccide due volte.
Alcuni giornali e qualche intervista ci hanno fatto credere che questa è la storia di lui, ma noi ci mettiamo da un’altra ottica, dal punto di vista della sofferenza e del dolore vero e diciamo che è invece il racconto della fine tragica di una donna, che questa volta porta il nome di Elisa Pomarelli, morta ammazzata in un giorno di fine agosto, a 28 anni, e sepolta dall’uomo che le ha rubato la vita. Le persone “buone” se amano e ricevono un no, non vogliono scegliere di uccidere. Su questo bisogna fermarsi. Chi uccide non ama, ma vuole a tutti i costi solo il possesso, la chiave in mano per aprire e chiudere la sua proprietà. Questa è la cronaca di oggi, la cronaca dell’ennesimo femminicidio.
I titoli dei giornali e dei telegiornali, le frasi di inizio (quello che in gergo si chiama attacco) degli articoli chiamano audience e possono direzionare chi ascolta e chi legge muovendo l’opinione pubblica non sempre attenta con pericolo di sbattere il mostro in prima pagina, ma anche di distorcere l’informazione facendo vedere come meno grave la notizia o, come nel caso dell’uccisione di Elisa Pomarelli, di trasformare emozionalmente il carnefice in protagonista, sacrificando la vittima. In una recentissima intervista la professoressa Graziella Priulla ha detto: “I segnali si colgono già nella prima adolescenza, in una sottocultura che addossa alla donna un concorso di colpa nella perdita dell’autocontrollo maschile, nell’abitudine (sostenuta dalla pubblicità) a vedere le donne come oggetti, in una concezione malata dell’amore. L’amore non arma le mani, non distrugge, non nega la vita; lo fanno il potere, il dominio e il possesso…Non sono storie lontane da noi. Non sono storie di pazzi o di mostri. Non vengono dall’altra parte del mare. Solo il 9% degli autori di femminicidio è sconosciuto alla vittima”. È importante che tutto questo passi, soprattutto da una rivista che si dichiara paritaria, come lo è vitaminevaganti.com. Vuol significare, come ancora ci suggerisce Priulla, che non si deve legiferare in modo frettoloso puntando solo alla punizione, ma bisogna tenere in conto soprattutto prevenzione e non reputare, avverte la docente, il femminicidio come un’emergenza, perché “l’emergenza è legata a un evento improvviso, imprevisto e imprevedibile”.
Fra qualche giorno si completerà in tutta Italia l’apertura dell’anno scolastico. Vogliamo da qui augurare un ottimo percorso di cultura a tutti e tutte, agli studenti e alle studentesse, alle insegnanti e agli insegnanti che prima di tutto, secondo noi, sono comunicatori e comunicatrici del sapere, dell’esperienza umana in senso vasto, al di là della singola disciplina insegnata. Ci auguriamo, da questa rivista, anche un anno di cultura paritaria, in tutte le materie. Deve arrivare, proprio attraverso il sapere, il messaggio di una possibile strada comune da percorrere ugualmente per le ragazze e i ragazzi, secondo le proprie attitudini, i propri desideri, i propri talenti. Che non ci siano discipline più indicate per le ragazze e altre a cui sono pre-disposti i maschi. Perché la cultura sia di chi la ama e ama riceverla. Che il compito di chi insegna sia sempre quello di stimolare le curiosità di chi ascolta senza distinzione di genere. E che trionfi quest’anno la trasmissione nella scuola dell’educazione di genere. “Dire studentesse e studenti, professoresse e professori non è un dettaglio. Significa far sentire le donne parte attiva della società e non a rimorchio, anche nel linguaggio, degli uomini”: noi condividiamo appieno questa affermazione di Cecilia Robustelli, docente di Linguistica all’università di Modena e Reggio Emilia, perché così, cominciando proprio dai più giovani, tra i banchi del sapere, inizi il cambiamento del mondo, già attraverso il linguaggio. I ragazzi, i maschi, capiranno con sempre più forza, con questa nominazione attiva delle loro compagne di classe, che le donne non sono, e non devono diventare mai, un oggetto nelle loro mani, che non potranno neanche una volta essere considerate un loro possesso, ma solo possibili future colleghe, compagne di vita, amiche. Le ragazze, dalla loro nominazione linguistica, impareranno a capire che esistono, con la stessa forza dei maschi, che possono aprirsi a qualsiasi professione e che nella vita intima con i loro compagni saranno sullo stesso livello e accetteranno, ma soprattutto faranno accettare, i reciproci possibili no.
Uno sguardo alla rivista di oggi che sta navigando con vivacità, verso la trentesima puntata. Meditate, proprio in questo periodo di avvio dell’anno scolastico, l’articolo sull’educazione civica perché le giovani e i giovani siano accoglienti e lo diventino consapevolmente sapendo le leggi, conoscendo la Costituzione.
Possiamo avvicinare senza avere dubbi tre donne di cui si parlerà negli articoli a loro qui dedicati, perché in fondo accumunate da tante cose, ma soprattutto della bellezza della loro poesia e, purtroppo, dalla tristezza della loro fine. La prima è Antonia Pozzi, protagonista dell’intervista impossibile di oggi. Poi c’è l’intensa storia Mia Martini, cantante amatissima e sfortunata, capace di trasmetterci il significato dell’amore. Segue il ricordo della cantante britannica Amy Winehouse, trovata morta, appena ventisettenne, nel suo appartamento londinese. A loro si aggiunge la Divina , Greta Garbo, che rimarrà nella nostra memoria e nel nostro immaginario, fortemente a segnare la storia del cinema, nonostante la carriera non lunghissima, ma sicuramente strabiliante.
Anche altri due articoli si legano insieme, la puntata sul fascismo, in Pillole di storia, e il racconto, amaro, della triste rimonta del saluto romano si legano alla memoria e alla nostalgia di quel periodo, squallidamente e contro il dettato della Costituzione.
Ma finiamo in bellezza e la musica nella sua universalità ce la dona generosamente. “La musica è pericolosa” detta ironicamente il titolo dell’articolo che ci fa conoscere meglio il grande maestro Nicola Piovani. Pericolosa, ci suggerisce l’autrice, perché ci fa pensare e innesca una rivoluzione di bellezza.

Buona lettura e grazie a tutte e a tutti per la vostra compagnia.

 

Articolo di Giusi Sammartino

aFQ14hduLaureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

 

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