Comincia per insegnanti, personale ATA, famiglie, studenti e studentesse il conto alla rovescia verso l’inizio di un nuovo anno scolastico. E, cosa ormai tristemente nota per il nostro Paese, ci tocca assistere all’ennesimo avvio zoppicante, con un numero di docenti di ruolo enormemente inferiore alle reali necessità e il conseguente carosello di convocazioni e telefonate fuori tempo massimo alla schiera dei supplenti, alcuni dei quali vantano ormai un numero di anni di insegnamento a dir poco imbarazzante. A ogni settembre mi indigno per l’ulteriore conferma – come se ce ne fosse bisogno – della palese assurdità del nostro sistema di reclutamento del personale docente, che condanna le segreterie scolastiche a una cronica mancanza di tempismo nelle pratiche di arruolamento e, di conseguenza, nega ai nostri alunni e alle nostre alunne il diritto di rientrare dalla pausa estiva in maniera serena e collaudata.
Accenno solo brevemente al dolore che mi procura, ogni santo anno, il pensiero che siano proprio i soggetti più fragili, quelli con bisogni educativi speciali e con la necessità del sostegno, ad essere i più penalizzati. Senza continuità didattica e, soprattutto, senza relazioni personali stabili e sicure, molti di loro rischiano di dover ricominciare da capo ogni anno e e a volte finiscono col perdere terreno.
Un giorno una mamma mi disse: “Prof, mia figlia, quando ha saputo che avrebbe cambiato di nuovo l’insegnante di sostegno, non ha mangiato per due giorni e ha iniziato a svegliarsi di notte, piangendo. Purtroppo non sono riuscita a rassicurarla più di tanto, perché mi rendo conto che anche io vivo questo cambiamento con paura e ansia. Ma cosa posso farci, prof? Le figure di riferimento, per mia figlia, sono importantissime e quando ti arriva tra capo e collo qualcuno che nemmeno conosci e che magari fino al giorno prima la disabilità nemmeno sapeva cosa fosse, ti vengono mille paure. Sono i nostri figli, prof, sapere che saranno affidati a qualcuno di capace e formato dovrebbe essere un diritto”.
Da questo dialogo sono passati sei anni. Un tempo sufficiente perché si alternassero ben quattro Governi e perché nessuno di questi risolvesse minimamente questi assurdi controsensi del nostro sistema scolastico. Tanto non sono i loro, di figli e figlie, a non dormire la notte perché il/la prof che fino a ieri li seguiva, non ha più la cattedra. Perché se ne avessero bisogno i loro di figli, del sostegno dico, sono certa che si affretterebbero a portare qualche proposta decente in Parlamento, a riguardo, e nel frattempo glielo pagherebbero anche privatamente l’insegnante e pure l’educatore/trice, in una bella scuola paritaria, magari, pur di garantire la doverosa e sacrosanta continuità didattica e relazionale. So che il tono è acido e chiedo scusa, ma poi le facce deluse e disorientate dei/lle ragazzi/e e dei loro genitori le vediamo noi, a inizio anno, non certo i nostri cari politicanti, bravi solo a parlare per slogan. Ricordo benissimo una campagna promossa dall’allora ministra Moratti, che chiedeva agli alunni e alle alunne di mandare buone idee al Ministero per la prossima riforma. Il ritornello promozionale recitava: “La scuola cambia. Cambia la scuola”. Era il 2005. Sono passati da allora quasi quindici anni e lo slogan è rimasto, come sempre, un inutile e vuoto spreco di fiato.
In questa palude di tristezza e rabbia, c’è però quella che a me pare una buona notizia: la Legge 92 del 2019, che prevede l’introduzione obbligatoria dell’insegnamento dell’Educazione civica in tutti gli ordini e i gradi di scuola. Tecnicamente la legge dovrebbe entrare in vigore il prossimo settembre, ma pare che il ministro intenda firmare un Decreto per anticiparne l’introduzione all’anno che sta per iniziare. Secondo gli articoli 2 e 6 della Legge stessa, il nuovo insegnamento dovrà ricevere una valutazione specifica e a esso non potrà essere dedicato un monte ore specifico inferiore alle 33 annuali. Ed ecco perché ritengo che sia un’ottima notizia per tutti:
- perché la storia della Costituzione Italiana è storia di libertà, di intelligenza, di riscatto del femminile (non solo per il Diritto al Voto, ma anche perché le 21 donne dell’Assemblea Costituente smontarono in maniera eclatante il diktat fascista che relegava la donna al ruolo di angelo del focolare);
- perché è ora di smantellare il clima di sospetto e condanna che negli ultimi tempi ha circondato chi ha osato, dalla cattedra, affermare i principi di Giustizia Sociale contenuti nella nostra Costituzione;
- perché i primi due articoli della Costituzione fondano la Repubblica sul Lavoro e sulla Solidarietà, valori non barattabili, affermati con forza in barba ai recenti governi che hanno completamente dimenticato la vocazione, sancita nella Carta Costituzionale, dell’Italia all’aiuto e al sostegno dei più deboli;
- perché non si può pensare di formare i nuovi cittadini e le future cittadine prescindendo dalla conoscenza dei valori di apertura e di pace e dei diritti che fondano la nostra Democrazia e l’Unione Europea;
- perché l’educazione civica consente di affrontare temi cruciali per la partecipazione alla vita sociale di tutti (non a caso, uno dei domini dell’ICF – sistema di classificazione della disabilità che a partire da quest’anno fonderà tutti i documenti e le pratiche dei Piani Educativi Individualizzati – titola proprio attività e partecipazione), quali la cittadinanza attiva, il rispetto dell’ambiente, le tutele per le categorie protette, il sistema di welfare in generale, le pari opportunità, le ricchezze e le eccellenze dei territori ecc.
A tal proposito, la Legge specifica la possibilità, per le scuole, di partecipare alla vita cittadina, stipulando accordi con associazioni e realtà operanti in senso socialmente rilevante e progettando laboratori o interventi per migliorare il territorio in cui gli Istituti sono inseriti. Essere utili alla collettività, curiosare nel mondo dei grandi, imparare a spostarsi autonomamente, sentirsi parte della vita sociale: quale adolescente – e ancor più quale adolescente con disabilità – non troverebbe in tutto questo un senso profondo e bello del proprio “sentirsi appartenente”? Ecco qui l’occasione perfetta per acquisire conoscenze e competenze, sentendosi protagonisti positivi della propria vita!
Permettete una domanda, a questo punto.
Perché, secondo voi, praticamente tutti pensiamo che un/a ragazzo/a con disabilità abbia sempre bisogno di terze persone per vedere tutelati i propri diritti? Io penso che in parte sia perché la scuola rinuncia a insegnarglieli, avallando così lo stereotipo del disabile come persona da accudire. Noi docenti diamo per scontato che a spiegare certe cose (normative, servizi specifici, opportunità del territorio) ci penseranno le assistenti sociali, le quali, a loro volta, ipotizzano probabilmente che quel pezzetto di percorso formativo lo faccia già la scuola e così il buco non si chiude mai. Eppure essere consapevoli non soltanto di se stessi e delle proprie capacità, ma anche delle possibilità e dei diritti che il nostro sistema di welfare garantisce alle persone in generale, e a quelle in stato di fragilità in particolare, è cruciale per ogni singola alunna e alunno.
Ecco, con tutto il cuore mi auguro che i Collegi Docenti sappiano vedere anche questo nella bella proposta del nuovo insegnamento curricolare: non soltanto una occasione per i ragazzi e le ragazze più sensibili, ma un’opportunità imperdibile per tutti, comprese alunne e alunni con disabilità, o, forse, soprattutto per loro.
Articolo di Chiara Baldini
Classe 1978. Laureata in filosofia, specializzata in psicopedagogia, insegnante di sostegno. Consulente filosofica, da venti anni mi occupo di educazione.