«Non lasciare che i tuoi limiti, di qualunque tipo siano, definiscano chi sei».
Questa affermazione di Martina Navratilova basterebbe da sola a riempire un trattato di psicologia e di psicanalisi e forse concluderemmo che è quello che facciamo e quello che non scegliamo di fare, il cosa e il come, che ci definiscono.
L’International Tennis Hall of Fame, uno dei più grandi musei della storia mondiale del tennis, dal 1954 celebra le leggende di chi è stata protagonista di quella storia. Dal 1986, da quando cioè fu riconosciuto dalla Federazione Internazionale del tennis, il museo ospita una vasta collezione di oggetti, video, fotografie, trofei per far conoscere la storia del tennis dalle sue origini fino agli anni recenti. Perché è proprio attraverso la storia degli eroi ed eroine del tennis che si possono educare le nuove generazioni all’amore per questo sport e per quello che rappresenta. Proprio nella lista delle leggende tennistiche si deve andare per incontrare il nome di Martina Navratilova.
Conosciamola più da vicino.
Quando si enumerano i suoi trionfi si capisce subito quanta determinazione e passione vi sia sottesa al loro raggiungimento e si coglie in pieno la sua affermazione: «Chiunque abbia detto che non importa se vinci o perdi, vuol dire che ha già perso». Che siano o no parole sue, sta di fatto che il verbo vincere per lei è stato sinonimo del verbo giocare.
Le sue umili origini (era nata in un piccolo paese della Repubblica Ceca nel 1956) e il dolore, a tre anni, per il divorzio dei suoi genitori, avranno forse influito sul suo disperato bisogno di libertà, e sulla spasmodica ricerca della vittoria, diventando un’atleta forte e degna di onori. Di sicuro nel suo destino di campionessa molto influì il nuovo compagno di sua madre, al quale si affezionò così tanto da prenderne il cognome. Da allora fu Martina Navratilova e il suo patrigno fu il suo allenatore.
Negli anni Settanta è già una professionista e vince i campionati nazionali di tennis, meritandosi di partecipare anche a tornei all’estero. Approfitta di questo per chiedere agli Stati Uniti di potervi rimanere lasciando il suo paese, cosa che fa nel 1975. Diventa cittadina americana nel 1981, dopo essere stata apolide per alcuni anni e dopo aver rinunciato alla nazionalità ceca (che riprenderà molti anni dopo). Ovviamente fu molto attaccata dalla stampa dell’Urss, ma riuscì a farsi perdonare quando cominciò a vincere e stravincere sui campi di gioco.
In circa venti anni ha creato la sua leggenda, vincendo in 167 tornei di singolare. Vinse nel 1978 il primo Slam a Wimbledon e poi altri 17 Slam in singolare nei vari Wimbledon, Us Open, Australian Open e Roland Garros, a cui si aggiungono i 31 Slam nel doppio e 10 nel misto. Con record e vittorie i numeri crescevano: 167 titoli in singolo e 177 in doppio, complessivamente 344 titoli.
Dopo la vittoria, a quasi cinquanta anni di età nel doppio misto agli Us Open del 2006, Martina Navratilova si è ritirata dalle competizioni. È stata per molti anni la numero uno al mondo del tennis femminile e, con la storica rivalità tra lei e Chris Evert, ha regalato a questa disciplina alcune tra le pagine più belle e appassionanti di sempre.
Non sono state però solo le vittorie a metterla sotto i riflettori della Storia, ma anche la sua libertà di donna, determinata a vincere, ma anche a pretendere la sua parte di felicità, senza compromessi e alla luce del sole. Da indomita combattente, ha sempre conservato uno spirito battagliero, quello che le ha fatto superare un cancro al seno, scalare il Kilimangiaro, darsi alla pittura. Molti ricordano le enormi tele dipinte con centinaia di palle da tennis colorate, realizzate in tandem ‒ è il caso di dire ‒ con il pittore Juraj Kralik, esprimendo la sua creatività così come quando realizzava i suoi potenti e improvvisi rovesci di mancina.
Ancor più straordinaria la sua battaglia come pioniera, per la parità dei diritti in ogni campo, compresa l’omosessualità. Martina non ha esitato a dichiarare la sua, una delle prime nell’ambiente sportivo. E ha combattuto e continua a combattere per numerosi altri diritti, che muovono l’opinione pubblica oggi. Per esempio è stata la prima a lamentarsi pubblicamente del fatto che i suoi colleghi campioni, come John McEnroe, guadagnassero compensi annuali di gran lunga più alti dei suoi, e ha lottato affinché le donne e tutti ne prendessero consapevolezza. È questa una ingiustizia ancora attuale: una recente indagine ha evidenziato che in Inghilterra la busta paga per i dipendenti uomini è più pesante rispetto alle colleghe in diciassette diversi settori, e nove donne su dieci lavorano in imprese che pagano i loro colleghi più di loro.
La determinazione a portare avanti un obiettivo, la sua caparbietà nel raggiungere risultati per altri impossibili, non l’ha mai abbandonata. Quando lottava per i diritti dei gay, non ebbe paura ad attaccare il Comitato olimpico nei giochi invernali del 2013 per aver sorvolato sul fatto che la Russia aveva emanato una legge sulla propaganda antigay. Dichiarò con franchezza che la Russia non era un paese adatto alla tutela dei diritti di uguaglianza stabiliti nella Carta olimpica.
La sua vita sentimentale è stata caratterizzata da arresti e fughe in avanti. Sono note nel mondo le sue avventure e sventure, unioni e divorzi, come nel caso della sua unione con Toni Layton (finita scandalosamente con una feroce battaglia per la separazione dei beni), o con la scrittrice messicana Judi Nelson, per approdare con Julia Lemigova ad un vero matrimonio celebrato con una cerimonia intima e romantica, a New York, dopo che Martina aveva chiesto la sua mano pubblicamente nel clamore di uno stadio.
In molti sport, si sa, l’omosessualità è ancora un tabù, ma il tennis ha potuto contare sul coraggio di campionesse di calibro che vanno dalla pioniera Billie Jean King, negli anni Sessanta-Settanta, (cui è stato dedicato nel 2017 il film La battaglia dei sessi) fino a Martina e ad altre giocatrici che si sono apertamente dichiarate. Hanno lanciato vari segnali, con la speranza che qualcosa cambi anche nel tennis maschile, per decostruire stereotipi ed estirpare odi e pregiudizi: nei campi da tennis, negli stadi, dovunque, nello sport come nella vita di tutti i giorni.
Martina Navratilova è stata per anni presidente dell’Associazione Glta (poi destituita per divergenze sui transgender), che è nata con lo scopo di proteggere i propri membri dalle discriminazioni e dalla violenza e che lotta affinché la diversità si riconosca come un fatto antropologico, impossibile da cancellare. Purtroppo ci sono ancora Paesi che puniscono l’omosessualità. Sono tristemente noti gli stupri collettivi o familiari in alcune località del Sudafrica e del Perù, dove, secondo un pensiero barbaro maschilista e omofobo, lo stupro sarebbe un mezzo per far guarire le donne lesbiche dalla loro “malattia”. Cose aberranti che ci auguriamo si possano demolire presto anche attraverso lo sport, veicolo potente di fratellanza, rispetto e accettazione delle diversità.
Dal 1968 a oggi, non c’è una giocatrice che ha dominato la storia del tennis più di lei. Una donna eclettica, che oggi è: scrittrice (il suo libro Shape Your Self è una guida per il fitness personale e una vita sana), è ambasciatrice della Wta, è una commentatrice per il pubblico della Bbc a Wimbledon, è anche allenatrice e promuove instancabilmente in giro per il mondo tutte le questioni che le stanno a cuore. Continua a dire: «Amo le sfide e mi batto per i diritti dei gay, per il riconoscimento del matrimonio omosessuale, per i diritti dei bambini poveri e degli animali, e non sono disposta a rinunciare».
Neanche noi, ad ammirarla e rispettarla.
Articolo di Giulia Basile
Fondatrice della Sezione Comunale Avis di Noci (Bari) ed ex sindaca dello stesso Comune, si dedica con tenacia, da sempre, al difficile compito della formazione. Convinta attivista sociale, collabora con molte associazioni territoriali e nazionali. La creatività espressa in molte sue pubblicazioni di poesia e prosa e la cura nel trasmettere l’amore per la cultura sono il fiore all’occhiello del suo percorso.