Il 25 ottobre 1938 Alfonsina Storni, dopo avere inutilmente tentato di procurarsi una pistola, si suicida, gettandosi in mare, davanti alla spiaggia La Perla di Mar del Plata. Ventidue anni prima, nel suo primo libro di poesie, aveva scritto: «Inferma di un mal che non guarisce, /dev’essere la morte la salvezza », mentre Voy a dormir è il titolo della sua ultima lirica. Storni è un’icona della letteratura e della cultura sudamericana e un simbolo per generazioni di latinoamericani, sia per la sua opera, sia per la sua vita, e a lei sono intitolate scuole e piazze e dedicati monumenti. Al suo suicidio si ispira Alfonsina y el mar, scritta da Ariel Ramírez e Félix Luna einterpretata da numerose/i musiciste/i e cantanti, tra cui Mercedes Sosa. È una canzone che la accosta al mare, ricorrente nelle sue poesie quale luogo di morte, casa-tomba, luogo di pace contrapposto alle dure lotte della vita:
En el fondo del mar/hay una casa/de cristal./A una avenida/de madréporas/da./Un gran pez de oro, /a las cinco, /me viene a saludar./Me trae/un rojo ramo/de flores de coral. (da Yo en el fondo del mar)
Decid, oh muertos, ¿quién os puso un día/Así acostados junto al mar sonoro?/¿Comprendía quien fuera que los muertos/Se hastían ya del canto de las aves/Y os han puesto muy cerca de las olas/Porque sintáis del mar azul, el ronco/Bramido que apavora? (da Un cementerio que mira al mar)
Di sé Storni scrive:
Io sono come la lupa. Me ne vado sola e rido
del branco. Mi guadagno il cibo ed è mio
dovunque sia, poiché ho una mano
che sa lavorare e cervello sano.
Chi mi può seguire venga con me,
ma io me ne sto ritta, di fronte al nemico,
la vita, e non temo il suo impeto fatale
perché ho sempre un pugnale pronto in mano.
Il figlio e dopo io e dopo… quel che sia!
Quel che prima mi chiami alla lotta.
Talvolta l’illusione di un bocciolo d’amore
che so sciupare prima ancora che diventi fiore.
Storni dichiara a un amico «Mi chiamarono Alfonsina che significa disposta a tutto» e in effetti lo è davvero nel corso della sua breve vita in cui deve lottare costantemente per trovare un posto tutto per sé in un mondo completamente dominato dagli uomini. E lei, donna, immigrata, povera, attrice, ragazza madre, giornalista, attivista per i diritti delle donne, militante socialista, poeta, saggista, autrice di testi teatrali e regista, lo trova. Si tratta di uno spazio un po’ eccentrico, come scrive in Cicaleccio: «Dovremmo definirci le fuori-posto. Stiamo come fuori dal centro. Non ci inseriamo come si deve in nessun ambiente. Alcuni ci stanno stretti, altri larghi». La sua esistenza si consuma tra il desiderio d’amore, che, benché spesso si riveli illusione, non viene mai rinnegato – “yo nací para el amor” dice di sé, lo scrivere “per non morire”, il rifiuto delle convenzioni e di una morale bigotta che relegano la donna a un ruolo subalterno e marginale, una partecipazione attiva e intensa alla vita culturale, artistica, letteraria e sociale del suo tempo, e infine la malattia.
Nata a Sala Capriasca, in Canton Ticino, nel 1892, in una famiglia benestante che ha proprietà e affari in Argentina, Alfonsina Storni vi emigra nel 1896: ha già imparato la lingua italiana, che però non userà mai nei suoi componimenti e nemmeno nella corrispondenza privata, se non in un telegramma. Le fortune della famiglia conoscono un rovescio, in particolare dopo la morte del padre nel 1906, e la ragazza lavora come cucitrice, operaia, lavapiatti e cameriera nel bar di famiglia a Rosario, e più avanti, nel 1907, come attrice, attività che le dà la possibilità di uscire dal disperato ambiente familiare, girare il Paese e conoscere le opere del teatro classico e contemporaneo. Nel 1909 riesce a diplomarsi e nel 1910 comincia a insegnare, ma a vent’anni resta incinta e decide di tenere il figlio e trasferirsi a Buenos Aires. Nell’aprile 1912 nasce Alejandro, del cui padre non rivelerà mai il nome; per mantenersi lavora inizialmente come cassiera in un negozio e da questo momento in poi affronterà la vita da sola, allevando il figlio e facendo fronte alle difficoltà quotidiane. Attiva nella vita sociale, partecipa a campagne in favore dell’educazione sessuale nelle scuole e del diritto al voto per le donne in Argentina, che verrà ottenuto solo nel 1946. Fra il 1919 e il 1921 pubblica settimanalmente una crónica, ossia un reportage narrativo, nel settimanale “La Nota” e nel prestigioso quotidiano “La Nación”, firmando la maggior parte dei suoi pezzi con lo pseudonimo Tao Lao. Si tratta di testi a metà tra finzione letteraria e giornalismo, un genere ibrido destinato a diventare straordinariamente importante nella letteratura latino-americana. Di Buenos Aires Storni coglie e descrive con sguardo straordinariamente acuto modelli di vita, la propensione al consumo e la maniera in cui uomini e donne si mostrano in pubblico, mettendo in luce il vero e il falso splendore degli anni Venti nella metropoli; penetra sotto copertura nel mondo delle acquarelliste a cottimo e delle lucidatrici di mobili e scrive satire sulle condizioni di lavoro riservate alle donne argentine alla loro prima esperienza, senza tralasciare il tema della dura competizione tra i sessi.
Nel 1935 le viene diagnosticato un cancro al seno e Storni si sottopone a un’operazione, che però non ferma la malattia. Nel 1938 matura quindi la decisione di suicidarsi, in quanto convinta che l’arte di vivere e quella di morire non debbano venir distinte l’una dall‘altra, come fa dire alla protagonista della sua pièce teatrale del 1932 Polixena y la cocinerita. Non molto tempo prima, a Montevideo, a lei, Gabriela Mistral e Juana de Ibarbourou era stato reso un pubblico omaggio, quali massime espressioni di quella che all’epoca ancora era definita poesia femminile.
La produzione poetica di Alfonsina Storni si dipana dal 1916 con La inquietud del rosal, seguita da El dulce daño (1918), Irremediablemente (1919), Languidez (1920), Ocre (1925), di cui offre una sintesi in Antología poética (1925), Poemas de amor (1926), al 1938, con la raccolta Mascarilla y trébol, preceduta da Mundo de siete pozos (1934), a partire dal quale elimina la rima per il verso libero. Entrambe le raccolte sono testimonianza del suo contatto negli anni Trenta con le avanguardie europee e del suo approdo, dal romanticismo iniziale, al postmodernismo. Benché Storni negli anni Trenta compia viaggi in Europa, durante i quali incontra tra gli altri Pirandello e Marinetti, è a Buenos Aires che conosce Federico García Lorca, cui dedica Ritratto di García Lorca, acme della sua fase postmodernista. Ben inserita nel mondo culturale e letterario latinoamericano, Storni intreccia un tormentato sodalizio artistico e sentimentale con Horacio Quiroga, scrittore uruguaiano, considerato il fondatore del racconto ispanoamericano moderno.
Il suo suicidio nel 1937 per lei è un durissimo colpo: gli dedica la lirica A Horacio Quiroga, in cui scrive: «Morir como tú, Horacio, en tus cabales» prefigurando la propria stessa morte, e ancora, evocandone il gesto: «un rayo a tiempo y se acabó la feria».
La sua produzione poetica, definita da Franca Cleis «lo straordinario dell’amore e della verità», sempre sul filo del rasoio tra insopprimibile amore per la vita e pulsioni di morte, è espressione dell’io lirico, strettamente intrecciata al riscatto sociale e di genere. «Amo e sento il desiderio di fare qualcosa di straordinario. Non so che cosa sia. Ma è un desiderio incontenibile di fare qualcosa di straordinario. Perché amo, mi domando, se non per fare qualcosa di grande, di nuovo, di ignoto?» scrive Storni. E tuttavia il suo è un canto solitario, come lei stessa afferma: «Soy un alma desnuda en estos versos, /alma desnuda que angustiada y sola/va dejando sus pétalos dispersos».
Amore, morte, vita come lotta, la metropoli triste, il paesaggio permeato dai sentimenti umani e il grembo accogliente e pacificatore del mare, sempre visti con sguardo e sensibilità di donna, sono alcuni dei fili conduttori che attraversano la poesia di Alfonsina Storni. La combattività di chi vive e affronta la realtà, senza cercare conforto in esotismi o nella fede, nonostante la coscienza di non poter cambiare il corso delle cose, dà vita ai versi di Storni; dallo scontro con la realtà sorge un profondo senso di disinganno, che si accentua nei suoi ultimi anni di vita. La sua poesia intreccia il desiderio femminile di tenerezza, amore ed erotismo con il rifiuto del vincolo di subalternità all’uomo. Il suo dramma profondo è quello della sensibilità femminile in un mondo al maschile; scrive di sé e delle donne: «La nostra esagerata sensibilità, il mondo complicato che ci avvolge, la sistematica sfiducia dell’ambiente, quella tremenda e costante presenza del sesso in ogni cosa che la donna fa per il pubblico, tutto contribuisce a comprimerci».
Se il privato è politico, la poesia di Alfonsina Storni è una appassionata e dolorosa testimonianza della estrema difficoltà e della lotta costante sostenuta da una donna straordinaria per conciliarli nella sua vita e nella sua opera; una donna che da una posizione di marginalità riesce a conquistare un posto centrale nella vita culturale, sociale e letteraria del suo tempo, restando però sempre “fuori posto”. E, paradossalmente, anche dalla sua marginalità di emigrata nasce la sua poesia; se fosse rimasta in Canton Ticino, ai suoi tempi terra di emigrazione popolata quasi esclusivamente da donne, sottoposte allo stringente controllo della Chiesa, le «sarebbe stato impossibile avere le idee e vivere le esperienze che ha messo nelle sue poesie», osserva Franca Cleis, e dunque diventare una poeta famosa.
Articolo di Claudia Speziali
Nata a Brescia, si è laureata con lode in Storia contemporanea all’Università di Bologna e ha studiato Translation Studies all’Università di Canberra (Australia). Ha insegnato lingua e letteratura italiana, storia, filosofia nella scuola superiore, lingua e cultura italiana alle Università di Canberra e di Heidelberg; attualmente insegna lettere in un liceo artistico a Brescia.