Le cartoline postali
Quando si pensa alle donne che hanno vissuto il dramma della Prima guerra mondiale, il pensiero va subito a tutte quelle che entrarono nel mondo del lavoro per sostituire gli uomini mandati a combattere. L’immagine classica ci offre contadine che imbracciano la vanga e la forca, operaie che entrano nelle fabbriche, infermiere che si prendono cura dei feriti al fronte.

Madri e mogli, comunque sorridenti e serene, anche quando salutano il loro compagno che parte per la guerra (foto di copertina).


Il secolo appena iniziato rompe col passato e apre la via a nuovi ruoli delle donne; la situazione non fu eccezionale e reversibile con il ritorno della normalità e della pace, ma si trattò di una trasformazione strutturale e irreversibile.
Le cartoline illustrate
La cartolina “firmata”, questa “grafica” in miniatura (cm 9×14), ci dà la possibilità di scorrere, come su un piccolo schermo, le tante immagini che della donna circolarono in quel periodo e che oggi ci trasmettono la considerazione che la società, attraverso un’opera di propaganda di massa, doveva avere della donna. Stampate in quantità industriale, circolarono in proporzioni gigantesche, soddisfacendo la necessità dei soldati di scambiare messaggi con le proprie famiglie e rassicurarle. Il poco spazio destinato alla scrittura le rendeva adatte a tanti giovani analfabeti che proprio sul fronte imparavano a scrivere, e nello stesso tempo facilitava l’operazione di censura. Venivano distribuite gratuitamente, già affrancate, inizialmente tre alla settimana, poi anche una al giorno. Rappresentano chiaramente il messaggio del governo e dello Stato Maggiore dell’Esercito, che cercavano consensi alla scelta interventista, facendo apparire la neutralità come una debolezza, all’arruolamento dei giovani, e in seguito all’opera di demonizzazione del nemico, prima nostro alleato. Costituiscono sguardo tutto “al maschile”: nelle cartoline illustrate la figura femminile appare raramente nella sua vera realtà. Ora assume le sembianze della donna “emancipata” dalla guerra, in primo luogo la lavoratrice; ora quella rassicurante di madre, moglie, fidanzata, a garanzia del fatto che, finita la guerra, niente sarebbe cambiato. E poi, nelle così dette cartoline “da caserma”, giovani discinte che offrono le loro grazie all’immaginazione del maschio combattente.

La manna nel deserto è il titolo di una cartolina che raffigura un gruppo di soldati intorno a una prostituta. L’esercito effettivamente provvedeva a organizzare al fronte i bordelli che, rispondendo a un’esigenza maschile, tentavano di far dimenticare il destino mortale a cui andava incontro la nostra migliore gioventù.

Questi piccoli capolavori spesso recano la firma dei loro disegnatori.
Aldo Bruno è autore di una serie di cartoline che ritraggono donne in abiti di ispirazione militare.

Talvolta anche le crocerossine assumono un aspetto seducente, come avviene nei disegni di Eugenio Colmo, denominato Golia per la sua statura. Nella cartolina intitolata La tazza di brodo viene ritratta una slanciata e graziosa infermiera, con un lungo abito svolazzante e i tacchi alti, pronta a servire una fumante tazza di brodo.

L’infermiera è con ogni probabilità la figura femminile più popolare del tempo di guerra. Tito Corbella dedica una serie di sei cartoline a Edith Cavell, l’infermiera britannica che aiutò durante la guerra soldati di ambo gli eserciti, e fu giustiziata dai tedeschi per aver favorito la fuga di soldati alleati dal Belgio; in The murder of miss Cavell inspires German “Kultur” Edith, in veste da infermiera, è stesa a terra, parzialmente coperta dalla bandiera inglese e da quella tedesca, mentre la morte suona un pianoforte su cui è poggiato un elmetto tedesco.

Altre cartoline contribuiscono alla diffamazione del nemico, mostrandone la brutalità, come quella in cui Alberto Bianchi raffigura un soldato tedesco che afferra una donna olandese stringendole i glutei con le mani. Porta in basso la didascalia: nei Paesi Bassi. È evidente il riferimento agli stupri perpetrati dal nemico e al loro valore simbolico, in quanto la donna violentata incarnava la nazione.

Un’eccellente idea – Novanta lire un paio di scarpe?!… Preferisco una cartella del Prestito Nazionale è la didascalia in cui una signora molto elegante rinuncia a un paio di elegantissimi stivaletti per comprare una cartella del Prestito Nazionale. È chiaro il messaggio che si vuole trasmettere: anche le donne borghesi e aristocratiche facevano sacrifici per la patria, e conducevano una vita sobria, rinunciando al lusso per dare il loro contributo a finanziare la guerra.

La guerra finalmente finisce e le donne si vestono a lutto per i tanti figli, mariti, padri, fratelli perduti.
Una foto-scultura di Domenico Mastroianni raffigura una madre curva sulla bara del fante ignoto, adagiata sotto un arco antico, e sullo sfondo l’Altare della patria, il monumento che quella bara aveva accolto.

Articolo di Livia Capasso
Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile.