Calunniata, maltrattata, vittima di giochi a lei estranei, Maria Antonietta ebbe la sfortuna di trovarsi nel luogo sbagliato nel momento sbagliato. Su di lei sono state spese parole persino offensive, è stata giudicata una povera sciocca, una ladra, una profittatrice, certamente era ingenua e sprovveduta, ma ignara di quanto le stava girando intorno, per tanti motivi. E non colpevole, se dovessimo processarla oggi.
Intanto la sua persona va inserita nel quadro storico: ci troviamo nel secolo dei Lumi e dei sovrani che governano attraverso la formula del “dispotismo illuminato”. Fra questi anche sua madre, Maria Teresa, imperatrice d’Austria e di vasti possedimenti che andavano dall’Ungheria alla Boemia, dal Tirolo alla Lombardia. In seguito ne saranno significativi esponenti anche i due fratelli Giuseppe II, che sottoscrisse la “Patente di tolleranza”, e Pietro Leopoldo che promosse in Toscana, primo Stato al mondo, l’abolizione della tortura e della pena di morte e organizzò il Granducato su basi moderne, da tanti punti di vista (bonifiche, strade, censimenti, unità di pesi e misure, commerci, neutralità perpetua, ecc.). Gli Stati venivano meglio amministrati, grazie al catasto e ad una efficiente burocrazia, mentre si creava un distacco sempre più marcato dalla Chiesa, a cui vennero tolti molti privilegi e alienati beni. Caute riforme si verificarono anche in Prussia, con Federico II che si definiva “primo servitore dello Stato”, nella Russia di Caterina II, in Svezia dove si procedette ad una massiccia opera di alfabetizzazione e all’abolizione dei privilegi nobiliari. In Francia, invece, rimaneva l’assolutismo che aveva visto l’apice con Luigi XIV; la famiglia reale viveva fuori dal mondo, nella splendida residenza di Versailles, creata su modello di palazzo Pitti, ma ben più grande e sfarzosa. Intanto la situazione sociale era esplosiva: nel 1789 130.000 membri costituivano il clero (Primo stato), 400.000 la nobiltà (Secondo stato), e avevano solo diritti; tutti gli altri il Terzo stato. Quasi tre milioni di borghesi, un milione e mezzo di artigiani e oltre venti milioni di contadini. Gli unici a pagare le tasse e a sostenere non solo metaforicamente il peso dell’intera società, compresi gli incredibili sprechi e i lussi della corte. Che prima o poi dovesse scoppiare una rivoluzione era inevitabile. Ricordo la scena di uno sceneggiato televisivo del 1989 (una produzione internazionale di altissimo livello): in piena notte un servitore va a svegliare il re, mentre fuori il popolo minaccioso ha raggiunto i cancelli della reggia. Luigi XVI ancora incredulo chiede: «È una rivolta?», gli viene risposto: «No, sire, è la rivoluzione». I fatti, dal giuramento della Pallacorda alla presa della Bastiglia, sono ben noti. Significativo che il popolo abbia preteso il ritorno della famiglia reale a Parigi quasi che il soggiorno idilliaco a Versailles accentuasse il distacco fra monarchia e sudditi. Gli eventi poi precipitano, fino alla tentata fuga fra il 20 e il 21 giugno 1791 quando l’intera famiglia travestita viene scoperta a Varennes. È la fine: a breve l’arresto, la proclamazione della repubblica, il processo, la morte.
In questo complesso quadro si inserisce una principessa bambina: indimenticabile il ritratto che ne fa Sofia Coppola nel suo film Marie Antoinette (2006) quando la vediamo giungere promessa sposa al Delfino di Francia nel 1770, poi insofferente all’etichetta, in difficoltà per il matrimonio non consumato per sette lunghi anni (si è detto a causa di una malformazione del marito, ma forse solo perché entrambi erano totalmente inesperti e poco attratti reciprocamente), quindi regina dal 1774 e madre di una bambina, Maria Teresa come la nonna, e del sospirato erede maschio: Luigi Giuseppe; in seguito ebbe Luigi Carlo. Trova serenità e pace con i figli negli spazi aperti, fra caprette e pecorelle, gioca a fare la contadina, senza sporcarsi le mani, e indossando vezzosi cappellini (creazioni della grande costumista Milena Canonero che ottenne l’Oscar) e ciabattine del celebre stilista Manolo. Ma questa è finzione: la vera Maria Antonietta non somigliava a Kirsten Dunst, anche se i contemporanei la giudicarono un modello di eleganza e fascino; i tragici eventi la distrussero; quando fu uccisa dalla ghigliottina, il 16 ottobre 1793, a soli 38 anni, i capelli le erano precocemente imbiancati, era debilitata per continue emorragie e ignorava il futuro dei due figli ancora in vita. Luigi Giuseppe era già morto a soli otto anni, la sorte dell’altro fu terribile: murato vivo in una prigione, quando fu liberato era in condizioni così gravi che morì nel 1795; migliore destino per la giovane Maria Teresa: dopo la liberazione dal carcere, si sposò con un cugino, ma non ebbe figli.
Chi era dunque Maria Antonia Giuseppa Giovanna d’Asburgo-Lorena? Era nata il 2 novembre 1755 (un triste presagio?) alla corte di Vienna, penultima figlia di Maria Teresa e di Francesco Stefano di Lorena, fu amata e coccolata in un ambiente relativamente aperto e stimolante. Non fu una studente modello, ma riuscì a imparare bene l’italiano grazie al suo maestro Pietro Metastasio; suonava l’arpa e sapeva danzare con una speciale grazia. Per cementare l’alleanza con la Francia fu data in sposa al futuro sovrano Luigi Augusto Capeto, che non aveva mai visto; l’aspetto si rivelò una delusione: goffo, grassoccio, poco prestante, da ogni punto di vista.
A corte Maria Antonietta non fu mai pienamente accettata; era detta con disprezzo “l’Austriaca” e il suo attaccamento alla famiglia e alla terra d’origine non le venne perdonato. Amava lo sfarzo, l’eleganza, i gioielli (per una collana dal valore inestimabile nacque un vero scandalo, anche se le accuse furono abilmente manipolate), i palazzi prestigiosi, fra cui il castello di Saint-Cloud, acquistato a caro prezzo come bene personale; si circondava di personaggi discutibili, si divertiva con il gioco d’azzardo e innumerevoli passatempi, nascondendo frustrazione e delusioni sotto la frivolezza. Quando la situazione generale si fece critica, cercò di adottare uno stile di vita più modesto e abbandonò gli eccessi mondani, seguendo personalmente l’educazione dei figli. Dopo la sfortunata fuga, con l’arresto e la fine di ogni privilegio, si avvicinò anche al marito sostenendolo nella tragica situazione. Alla sua morte prese il lutto, nei pochi mesi che prepararono la sua fine. Dalle testimonianze sappiamo che si difese con energia e coraggio dalle accuse di alto tradimento, mai dimostrato; fu un processo a senso unico, in cui la condanna di fatto era già stata pronunciata. Voleva salire al patibolo vestita di nero, ma il regolamento lo vietava; adottò allora il bianco: il colore del lutto delle sovrane di Francia. Morì con coraggio, davanti a una folla che inneggiava alla repubblica.
I suoi resti furono seppelliti in una fossa comune di un cimitero poi abbandonato e cosparsi di calce; solo dopo l’età napoleonica e il congresso di Vienna, all’epoca di Luigi XVIII, le ossa dei sovrani furono ritrovate grazie alla presenza di due salici, pietosamente piantati in ricordo della sepoltura. Sono state tumulate con tutti gli onori nell’abbazia di Saint-Denis. Nel 2008 il ministro degli Esteri francese si è scusato ufficialmente con il Governo austriaco per la morte ingiusta di una giovane donna a cui era toccato in sorte un destino troppo grande per lei, in un momento travagliato della storia.
Articolo di Laura Candiani
Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume e Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.