Mai sentito parlare di Vicuña? Forse no, perché questo piccolo comune cileno nella regione del Coquimbo non ha mai dato molti motivi per far parlare di sé, se non fosse che questo paese ha dato i natali a Gabriela Mistral, la poetessa cilena più celebre di tutti i tempi.
Ci siamo date appuntamento in un bar con i tavolini all’aperto, in una via che, ironicamente, porta proprio il suo nome.
“Ciao! Ho ordinato due mate… Devi assaggiarlo per forza!”
“Grazie mille signora Mistral, non vedevo l’ora di provarlo.”
“Puoi chiamarmi Lucila, il mio vero nome. Qui a Vicuña mi conoscono così.”
“È qui che è cresciuta?”
“Sì, la mia famiglia è di qui, ho frequentato la scuola locale finché non sono stata cacciata.”
“Lei?! Cacciata?!”
“Delle mie compagne hanno pensato bene di accusarmi di aver rubato del materiale scolastico… Ovviamente non era vero, ma poco importa, sono stata espulsa dalla scuola e ho cominciato a prendere lezioni private da mia sorella Emelina, che era già diventata una maestra. È grazie a lei che poco dopo ho iniziato ad insegnare anch’io, è riuscita a trasmettermi tutta la sua passione.”
“So che le sue prime poesie e i suoi primi articoli vennero pubblicati quando lei era ancora giovanissima, in concomitanza con l’inizio del suo percorso da insegnante. Quali sono le principali difficoltà che ha incontrato nel tentativo di emergere?”
“Ero una ragazza di campagna, socialista e libera pubblicista: è evidente che fossi un personaggio scomodo e piuttosto inusuale per il Cile di inizio Novecento. Infatti, quando avevo 15 anni mi hanno lanciato un messaggio molto chiaro: io volevo insegnare, già avevo lavorato come assistente in una scuola, ma per passare alle superiori bisognava entrare alla Normale di La Serena. In famiglia non c’erano soldi, ma, trattandosi di un investimento concreto sul mio futuro, io e mia madre siamo riuscite a mettere da parte la quota per la retta… Ho passato l’esame d’ammissione a pieni voti, eppure sono stata espulsa poco dopo.”
“E perché?”
“Perché collaboravo con El Coquimbo, un giornale locale, e avevo osato scrivere di accesso all’istruzione, avevo promosso un modello di insegnamento libero e aperto a tutti, che non lasciasse fuori chi non poteva permetterselo. Capirai! Per un’università che chiedeva 3000 pesos d’iscrizione era un colpo basso, sembrava un attacco diretto.”
“E con quale giustificazione l’hanno espulsa?”
“Sono stata tacciata di essere una sovversiva, di scrivere articoli pagani e socialisti e, di conseguenza, di non essere adatta all’insegnamento. Sinceramente, non porto rancore… Posso dire con serenità di aver avuto la mia rivincita.”
“Parla del Nobel per la letteratura del ’45?”
“Per carità, il Nobel è stato un onore indescrivibile, ma non è a quello che mi riferivo. Anche prima del ’45 ho avuto tante altre soddisfazioni, ma non c’è concorso letterario o incarico istituzionale che possa eguagliare la gioia che mi hanno regalato i miei studenti.”
“Cosa significa per lei insegnare?”
“Insegnare è lasciare un segno. È andare oltre qualsiasi pregiudizio, tentare di cambiare il mondo, di renderlo un posto migliore. Ho lottato tutta la vita affinché ai banchi della mia classe potessero sedersi bambine e bambini, di qualsiasi estrazione sociale. Ho cercato di azzerare le disparità, almeno dentro l’aula, e di trasformare la differenza in arricchimento, in una spinta alla scoperta.”
“Quanto pensa sia possibile e quanto invece un’utopia?”
“Non dico sia facile, anzi… Riuscire a fare in poche ore in classe un lavoro del genere, mentre tutto fuori rema contro, è difficilissimo, ma se funziona… Oh, se funziona allora quei bambini e quelle bambine usciranno dalla scuola con una luce diversa negli occhi! Magari non sapranno a memoria tutte le date di storia, o i fiumi del Cile, ma sapranno guardare la realtà con occhi vispi e aperti, saranno uomini e donne liberi.”
“Cosa pensa del valore che l’insegnamento ha assunto oggi?”
“Trovo le politiche scolastiche attuali vergognose: stanno trasformando la scuola in una fabbrica di manodopera, in cui gli studenti sono numeri funzionali alla macchina del lavoro e non più menti libere da incoraggiare, da far fiorire. Ma cos’è la scuola se non uno stimolo a conoscere il mondo? Chi è l’insegnante se non chi riesce a far dialogare il sapere con le reali esperienze della vita?
Insegnare è un atto di sublime bellezza, è poesia! Nel momento in cui viene privato del suo valore critico, della sua libertà, perde il suo senso.”
C’è poco da fare: un vero insegnante non smette mai di insegnare, c’è tanto da imparare in ogni suo gesto, in ogni sua parola. E Gabriela, anzi Lucila, con ogni sillaba insegna e cattura anche me, che la scuola l’ho finita da un po’.
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GABRIELA MISTRAL: nata in Cile, nel comune di Vicuña nel 1889, è stata una poetessa, insegnante e femminista cilena. Fu la prima donna latinoamericana a vincere il Premio Nobel per la letteratura nel 1945.
Insegnante anticonformista, si fece promotrice di una scuola libera e accessibile a tutti. Nonostante non avesse titoli accademici, nel 1922 fu incaricata dal Ministro dell’Educazione cileno di collaborare alla riforma scolastica messicana.
Tra le sue raccolte di poesie più belle ricordiamo “Sonetos de la muerte” “Desolación” e “Tala”. Morì a New York nel 1957.
Articolo di Emma de Pasquale
Emma de Pasquale è nata a Roma nel 1997 ed è laureata in Lettere Moderne all’Università La Sapienza di Roma. Attualmente frequenta la magistrale in Italianistica all’Università Roma Tre. Ha interesse per il giornalismo e l’editoria, soprattutto se volti a mettere in evidenza le criticità dei nostri tempi in un’ottica di genere.