Nadine Gordimer è stata la prima donna africana, nel 1991, a vincere il premio Nobel per la Letteratura per la sua «scrittura epica, magnifica che è stata un notevole beneficio per l’umanità» e che ha sicuramente contribuito alla rivolta contro la politica razzista sudafricana.
Viene considerata la voce femminile più potente contro l’apartheid e tutti e tutte ricordano il suo impegno accanto a Nelson Mandela per ridare dignità alla popolazione nera del Sudafrica.

Laura Candiani ne ha tracciato il profilo.
«Nata a Springs il 20 novembre 1923, una cittadina mineraria a 40 miglia da Johannesburg, da un ebreo polacco e da una inglese di buona condizione sociale, visse nell’infanzia una duplice sofferenza per il disaccordo fra i genitori e per il forzato ritiro dalla scuola di danza classica. Cresciuta in solitudine, si dedicò alla lettura e, assai presto, alla scrittura. A soli 13 anni pubblicò il primo racconto in una rivista per giovani, iniziando la lunga carriera mai interrotta. Sposata con il collezionista d’arte Reinhold Cassirer, ha avuto con lui un figlio mentre, da un precedente matrimonio, nacque una figlia.
Ha vissuto dall’interno i cambiamenti più importanti del Sudafrica: l’ascesa del partito nazionalista nel ’48, l’atmosfera tragica degli anni Cinquanta e Sessanta, la rivolta di Soweto, la liberazione di Mandela e i nuovi governi antirazzisti, eventi che non compaiono direttamente nelle sue opere, ma da cui si sviluppano personaggi e situazioni. Nadine ha sempre evitato anche i riferimenti autobiografici, ma ha spesso trattato il tema del rapporto genitori-figli; solo dopo la morte della madre riuscì in parte a esternare il suo risentimento nel romanzo Occasione d’amore, in cui finalmente emergevano il cocente dolore per l’abbandono della danza e l’egoismo materno.
Esiste un’analogia fra questa tematica e il conflitto fra popolazione bianca e nera e il lungo e difficile cammino per la conquista, proprio come i figli e le figlie, dell’autonomia; temi che si ritrovano costantemente nella sua opera, insieme all’apartheid, a esempio nei romanzi Il mondo tardo borghese e La lettera di suo padre. Nel 1985 Nadine Gordimer, i cui libri sono stati pubblicati e tradotti in tutto il mondo Italia compresa, ottenne il premio Malaparte e nel 1991 raggiunse la celebrazione internazionale con il Nobel.

Nonostante la censura e le difficoltà d’espressione in un Paese ancora chiuso e razzista, Gordimer ha preferito continuare a vivere in Sudafrica, divenendo un punto di riferimento per tante persone europee desiderose di capire meglio quella terra. Negli anni tra il ’69 e il ’77 il conflitto razziale conobbe momenti di violenza estrema e il movimento “Black Consciouness”, fondato da Steve Biko, arrivò a contestare la scrittrice nonostante il suo continuo impegno e i suoi legami con esponenti della resistenza africana. Queste dolorose esperienze emergono nei romanzi Luglio, Il conservatore, La figlia di Burger, libro ispirato alla nobile figura dell’attivista bianco Bram Fisher.
Gordimer, che ha avuto un ruolo importante nel far conoscere le opere di scrittori neri africani, è stata anche saggista; la raccolta di scritti su uomini politici africani e su aspetti del conflitto razziale Vivere nell’interregno richiama nel titolo una citazione di Gramsci: “Il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati“.
Si è occupata anche di critica letteraria, recensendo le impressioni di viaggio di Moravia .
La sua produzione letteraria è molto ampia; oltre alle opere già citate, si possono ricordare Un mondo di stranieri (’61), Qualcosa là fuori (’86), Una forza della natura (’87), Un ospite d’onore (’91), Storia di mio figlio (’91), Il salto (’92), Nessuno al mio fianco (’94), i racconti Il bacio di un soldato (’83).
Quello che colpisce nei suoi romanzi è l’assoluta libertà di pensiero e di giudizio; narrare le condizioni di vita del Sudafrica, attraverso la sua esperienza diretta, ha consentito lo sviluppo della coscienza politica, e non viceversa. “I miei romanzi – ha dichiarato nel ’77 ‒ sono contro l’apartheid non a causa del mio orrore per essa, ma perché la società che è il materiale del mio lavoro ‘vi si rivela’. Se si scrive in modo veritiero della vita in Sudafrica, l’apartheid si condanna da sé“. Ecco perché Nadine Gordimer ha scelto di privilegiare lo spazio domestico nel quale il padrone bianco e il servitore nero si confrontano quotidianamente con conflitti, frustrazioni, privilegi da una parte e disagi dall’altra, ma anche momenti di tenerezza, per esempio fra le “nanny” e i piccoli e le piccole loro affidati.
Gordimer è stata una scrittrice “di frontiera”, una africana ma, nella sua formazione culturale, un’europea; si potrebbe trovare in Jane Austen un lontano modello per i rapporti umani e i mutamenti sociali (qui però ben più drammatici), con la scrittura diventata tesa nel rispecchiamento dell’ansia del cambiamento. Nell’area africana la sua letteratura è emersa per la maturità dello stile e la profondità di pensiero rispetto ad autori ritenuti maestri di realismo, come Achebe, La Guma e Wole Soyinka.
Nadine ha prediletto uno stile asciutto, in cui ha lasciato parlare i personaggi non solo nei dialoghi, ma anche nei gesti, negli odori, nei comportamenti, come accadeva nel Verismo; tuttavia le azioni e gli oggetti spesso hanno assunto valenze simboliche, sottolineando senza retorica i contrasti e le differenze».
Nadine è morta, serenamente nel sonno, nella sua casa di Johannesburg il 13 luglio del 2014. La sua immagine è riportata su francobolli svedesi ed egiziani.
Inge Feltrinelli così dichiarò alla stampa il giorno della scomparsa della grande scrittrice: «Era una donna forte, intelligente e battagliera. Ha dimostrato che una donna può combattere per le cose vere, importanti, per la giustizia e l’uguaglianza fra le persone».
A Nadine Gordimer sono state intitolate delle strade in Francia (Nantes), in Spagna (Getafe, Vitoria-Gasteiz, San Fernando de Henares), in Israele (Rosh HaAyin, Rishon LeZion), in Sudafrica (Johannesburg, Welkom) e negli Usa (Indianapolis, Indiana).

Articolo di Ester Rizzo
Laureata in Giurisprudenza e specializzata presso l’Istituto Superiore di Giornalismo di Palermo, è docente al CUSCA (Centro Universitario Socio Culturale Adulti) di Licata per il corso di Letteratura al femminile. Collabora con varie testate on line, tra cui Malgradotutto e Dol’s. Per Navarra editore ha curato il volume Le Mille: i primati delle donne ed è autrice di Camicette bianche. Oltre l’otto marzo e di Le Ricamatrici.