Caterina Franceschi Ferrucci è testimone dei principali avvenimenti storici del suo secolo e occupa una posizione centrale nella vita culturale dell’Ottocento italiano, tanto da ricevere pubbliche attestazioni di stima da parte di Leopardi e Manzoni e essere la prima donna, dal 1871, a far parte dell’Accademia della Crusca. Di idee liberali, partecipa attivamente al processo risorgimentale e, benché sia una devota cattolica, sa conciliare la sua speculazione con il rispetto delle posizioni ufficiali della Chiesa. Dopo l’uscita del Primato morale e civile degli italiani, rilegge il pensiero giobertiano, assegnando alla donna un ruolo fondamentale nel processo di unificazione nazionale. In questa prospettiva si dedica alla redazione di opere che si propongono di forgiare la perfetta madre e moglie italiana. L’aspetto forse più originale e interessante della sua figura è la contraddizione tra vita e scrittura; riesce, infatti, a conciliare gli impegni familiari di moglie e di madre con un’intensa attività professionale, mentre la sua riflessione pedagogica presenta talora tratti retrivi.
Caterina nasce a Narni il 26 gennaio 1803 da Antonio Franceschi, romagnolo, di origine borghese e idee liberali, ministro della Repubblica romana nel 1798-1799, e Maria dei conti Spada di Cesi. Nel 1808, Antonio Franceschi è nominato medico condotto a Osimo e vi si trasferisce con la famiglia, restandovi fino al 1823. A cinque anni, Caterina perde l’uso di un occhio giocando con un amico, e l’altro, a causa di un’infiammazione, rimane spento per cinque anni. Ciò nonostante, grazie alle idee avanzate e liberali del padre, la giovane riceve una formazione culturale non comune a quel tempo per una ragazza di estrazione borghese; come i/le rampolli/e delle famiglie nobili è istruita da precettori illustri. In quegli anni matura la sua passione per le lettere; comincia a scrivere componimenti poetici, che sono letti nelle accademie locali, procurandole una certa notorietà, e interviene nella polemica classico-romantica. Nel 1823 la famiglia Franceschi si trasferisce a Macerata e lì Caterina, tra il 1823 e il 1824, intreccia una relazione sentimentale con il marchese Giacomo Ricci, contrastata dalla famiglia del giovane, di cui restano diciotto lettere indirizzate all’innamorato. In questo carteggio giovanile la mittente assume un volto del tutto differente rispetto alle sue successive opere pedagogiche e si riconosce una cifra di femminilità che sembra poi venir meno nei testi saggistici, in cui i tratti specifici del genere sono sublimati in nome del ruolo materno. Sempre a Macerata la giovane conosce e, il 26 settembre 1827, sposa Michele Ferrucci, professore presso l’università di Bologna. Particolarmente interessante è la trattativa matrimoniale, condotta grazie alla mediazione di Francesco Cassi, perché pone le premesse per una vita coniugale che lasci spazio all’attività intellettuale. «Ditemi voi schiettamente, se maritandomi, mi sarà dato di proseguire i miei studi» scrive Caterina a Cassi, esplicitando la condizione, da parte sua imprescindibile, per l’apertura della trattativa. Dopo il matrimonio, la coppia si trasferisce a Bologna e ha due figli: Antonio (1829) e Rosa (1835). La partecipazione dei coniugi, benché limitata, ai moti del 1831, causa, con il ritorno del governo pontificio, l’allontanamento di Michele dall’insegnamento. Nel 1836 si trasferiscono quindi a Ginevra; lì il marito ottiene la cattedra di eloquenza latina, grazie all’interessamento di Cavour, e la moglie tiene liberi corsi universitari in lingua francese sulla letteratura italiana. I coniugi riescono a rientrare in Italia nel 1843, anno in cui Michele ottiene la cattedra di archeologia e storia presso l’università di Pisa. Dopo la lettura del Primato morale e civile degli italiani, pubblicato nel 1844, Caterina aderisce al neoguelfismo e si dedica ad approfondire la speculazione di Gioberti, che integra assegnando un ruolo centrale alla figura femminile. Nel 1847 dà alle stampe, a Torino, Della educazione morale della donna italiana, scritto nel 1844. Proprio alle mogli e alle madri, depositarie del ruolo educativo, secondo Caterina Franceschi Ferrucci, spetta plasmare i nuovi cittadini italiani e guidare il riscatto nazionale. I suoi testi pedagogici divulgano la filosofia giobertiana, riproponendo l’archetipo della “madre istitutrice”, con l’obiettivo di preparare le donne alla missione tramite la loro formazione intellettuale e morale. Quella che l’autrice propone è un’emancipazione morale della donna, che non rischia di allontanarla dall’ambito familiare. Il processo educativo ha come finalità principali la mortificazione dei difetti tipici dell’indole femminile, quali la vanità, la leggerezza e l’incostanza, e la valorizzazione delle qualità insite nella natura femminile, come l’amore, la carità e la dedizione agli altri. Il modello femminile cattolico è rappresentato esclusivamente dalla sposa e dalla madre, dunque la donna deve sublimare le sue energie nell’adempimento del dovere della maternità. In questa prospettiva le bambine sin da piccole sono addestrate a una serietà e a un impegno costante e, sul piano dei contenuti, cominciano a sette anni con le dottrine fondamentali del cristianesimo, cui seguono lo studio della storia antica, della storia sacra e della geografia; dai quattordici anni inizia la loro educazione estetica attraverso la poesia classica, e tra i diciassette e i vent’anni le giovani donne affrontano lo studio dell’etica e della storia contemporanea. In questo curricolo l’apprendimento delle lingue classiche è privilegiato rispetto a quello delle lingue straniere.
A Pisa la famiglia Ferrucci partecipa agli avvenimenti che, con l’ascesa al pontificato di Pio IX, sembrano realizzare le speranze dei liberali: Caterina compone canzoni patriottiche, mentre Michele e il figlio Antonio nel 1848 si arruolano come volontari e combattono in Lombardia. Nello stesso anno, Carlo Boncompagni, ministro della Pubblica istruzione del Regno di Sardegna, pensa di chiamarla alla direzione dei nuovi collegi nazionali di educazione, ma le sue dimissioni da ministro troncano il progetto, ripreso poi nell’aprile 1850; Caterina Franceschi Ferrucci si trasferisce a Genova per dirigere l’Istituto italiano di educazione femminile, che apre il 15 novembre. I dissapori tra la direttrice e il consiglio dell’istituto si sviluppano già dal gennaio 1851 e la portano a dimettersi nel settembre dello stesso anno, a causa di una serie di contrasti con i gruppi clericali, che non approvano il suo programma formativo, e con alcuni esponenti democratici, che non condividono i principi giobertiani cui lei si ispira per il suo progetto educativo.
Nel 1856 pubblica I primi quattro secoli della letteratura italiana, dal secolo XIII al secolo XVI; nel 1857 muore a ventidue anni la figlia Rosa, di cui raccoglie e pubblica gli scritti e cura la biografia. Nel novembre 1875 è colpita da paralisi; nel 1881, dopo la morte del marito, si stabilisce a Firenze col nipote Filippo, per morirvi sei anni dopo, il 28 febbraio 1887.
Della sua ricca produzione poetica e saggistica vale la pena di citare, oltre alle opere già menzionate: Letture morali ad uso delle fanciulle (1851), Della educazione intellettuale: libri quattro indirizzati alle madri italiane (1849-1851), Degli studii delle donne (1853), Prose e versi (1873), Degli studi delle donne italiane (1876).
Caterina Franceschi Ferrucci lascia inoltre un ricco epistolario, conservato presso l’università di Pisa, che comprende lettere di Cesare Cantù, Vincenzo Gioberti, Pietro Giordani, Giacomo Leopardi, Marco Minghetti. A lei sono intitolate vie a Narni, Firenze, Ancona, Macerata e una scuola elementare a Firenze.
Articolo di Claudia Speziali
Nata a Brescia, si è laureata con lode in Storia contemporanea all’Università di Bologna e ha studiato Translation Studies all’Università di Canberra (Australia). Ha insegnato lingua e letteratura italiana, storia, filosofia nella scuola superiore, lingua e cultura italiana alle Università di Canberra e di Heidelberg; attualmente insegna lettere in un liceo artistico a Brescia.