Far conoscere alla nuova generazione le partigiane kurde (o peshmerga)

Ci sono donne che dobbiamo e desideriamo ricordare, ci sono associazioni che hanno l’obiettivo di dare visibilità alle donne, specialmente a coloro che hanno compiuto e compiono azioni, scelte, opere, percorsi importanti, ci sono case editrici, scrittori e scrittrici che desiderano raccontare di queste donne.
Leggendo, discutendo, scoprendo storie di donne sono stata affascinata, da quando ho cominciato a sentirne parlare e a vedere foto sui giornali, dalle peshmerga, le combattenti (o partigiane) kurde. Vedevo le loro foto e mi colpivano i loro bellissimi visi giovani che riuscivano ad esprimere determinazione, coraggio, fierezza ma anche serenità. Ma soprattutto mi hanno affascinata perché ho percepito, anche dai loro sguardi, la loro libertà, persino un po’ inaspettata se in qualche modo ci si avvicina a conoscerle avendo degli stereotipi che ci fanno pensare a donne sottomesse in quanto facenti parte di una cultura più patriarcale e misogina della nostra.
Eppure ci basta andare un po’ indietro negli anni per scoprire che nel programma del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, fondato da Abdullah Ocalan, presentato nel 1995, si legge: «Tutte le forme di oppressione contro le donne verranno fermate e sarà realizzato nella società uno status paritario tra uomo e donna […]. Le donne verranno mobilitate per questo scopo». E infatti dagli anni Novanta le donne kurde sono state elette nel parlamento turco, sono diventate sindache, si sono organizzate in cooperative e associazioni. E ancora, sono diventate avvocate, giornaliste e portavoci in Europa del dramma kurdo, il più grande popolo del mondo che non ha uno Stato e che ha dovuto combattere per il riconoscimento di diritti fondamentali, a cominciare da quello di usare la propria lingua per gli atti ufficiali. Inoltre, nelle milizie kurde donne e uomini sono alla pari. Le donne non prendono ordini dagli uomini ma hanno uguali diritti e doveri.

Dentro il cuore di Kobane.250x371

Un anno fa la scrittrice e giornalista Vichi De Marchi ha pubblicato il romanzo per ragazze e ragazzi Dentro il cuore di Kobane. Anche Vichi sostiene: «Mi ha sempre molto colpito il coraggio di queste combattenti kurde, ragazze, poco più che adolescenti e mi ha colpito come siano state capaci di organizzarsi, in una organizzazione tutta al femminile che mette insieme sia le istanze di liberazione del proprio paese sia le rivendicazioni di uno spazio di maggiore libertà ed emancipazione per loro». De Marchi sente profondamente il desiderio di raccontare storie di conquiste femminili, di difficoltà, di battaglie, di scoprire l’oscuramento di ciò che le donne hanno fatto e ha deciso di narrare i destini intrecciati di due quindicenni, Delal e Aniya, finite forse un po’ per caso in un reparto combattente di kurde, spinte da un’energia inesauribile: quella di voler rivendicare il proprio libero arbitrio e riprendere in mano il proprio destino di donne autonome.
Se però Delal e Aniya sono personaggi letterari, non lo era Ayse Deniz Karacagil, soprannominata Cappuccio Rosso, raccontata da Zerocalcare nella graphic novel Kobane Calling, morta nel maggio 2017 sul fronte di Raqqa contro i miliziani di Daesh. Turca, condannata a 100 anni di carcere dallo Stato turco per le proteste legate a Gezi Park, aveva scelto di andare in montagna per unirsi al movimento di liberazione curdo invece di trascorrere il resto della sua vita in galera o in fuga. La maggior parte degli arrestati durante le proteste di Gezi Park era stata processata e condannata a scontare pene sicuramente ingiuste, ma comunque di poco superiori ai due anni, per danneggiamento della pubblica proprietà, oltraggio a moschea, interruzione di servizio pubblico. Ayse, invece, era stata accusata di qualcosa di ben più grave: militanza in organizzazione terroristica ovvero tra i separatisti del Pkk. Tra le prove depositate contro di lei, non un cappuccio ma una sciarpa rossa, considerata simbolo del socialismo.
Dopo aver dunque imparato a conoscere e amare queste combattenti, lo scorso autunno mi ha profondamente colpita la morte di Hevrin Khalaf, 35 anni, ingegnera, segretaria generale del Partito della Siria del Futuro, attivista per i diritti delle donne e in prima linea per il riconoscimento dell’identità del popolo kurdo. Hevrin, che rappresentava il desiderio di dialogo per una pacifica convivenza e la battaglia per l’emancipazione femminile, è diventata un simbolo del martirio del suo popolo, uccisa in modo cruento e disumano dalle milizie mercenarie arabe appoggiate dalla Turchia.
Come editrice ho sentito il bisogno di raccontare a ragazze e ragazzi delle combattenti (o peshmerga) kurde e in particolare di Hevrin; ne ho parlato con Fuad Aziz, poeta e artista kurdo, e abbiamo deciso di farle conoscere attraverso un libro.

Heva Peshmerga Kurda 250x371

La protagonista del racconto non è Hevrin, ma Heva, con la sua amica Nerin. Heva non è una ribelle, ma una giovane donna che sente il dovere e il desiderio di combattere per la sua libertà. Fuad ha immaginato che un giorno Heva e Nerin abbiano incontrato Hevrin e, ascoltando le sue parole, abbiano rafforzato la propria consapevolezza di combattere per la libertà delle donne e di tutto il loro popolo. Heva, proprio come Hevrin Khalaf, è autodeterminata, fiera, forte e desidera realizzare il proprio sogno di vedere il suo Paese libero, indipendente e in pace. Heva e Nerin rappresentano il futuro che Hevrin non ha potuto vivere, ma per il quale ha lottato.
Quando, durante l’autunno scorso, ho deciso di pubblicare questo libro avevo una unica perplessità: che potesse essere colto come un’opera nata un po’ troppo sull’onda di un evento drammatico, quasi a strumentalizzarlo, nel parlarne così vicino nel tempo. Non è stato così, in queste settimane pare che abbiamo dimenticato che nel mondo si combattono ancora guerre e ingiustizie, si continua a lottare per i diritti delle donne e di popoli interi. Al momento dunque è ancora più importante riportare l’attenzione su temi del genere.

 

 

Articolo di Donatella Caione

donatella_fotoprofiloEditrice, ama dare visibilità alle bambine, educare alle emozioni e all’identità; far conoscere la storia delle donne del passato e/o di culture diverse; contrastare gli stereotipi di genere e abituare all’uso del linguaggio sessuato. Svolge laboratori di educazione alla lettura nelle scuole, librerie, biblioteche. Si occupa inoltre di tematiche legate alla salute delle donne e alla prevenzione della violenza di genere.

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