Torneranno i prati, omaggio a Ermanno Olmi

Il 20 marzo 2020, appena sveglia, scrivevo questi versi:

«Prepotenti torneranno i prati
Come i raggi di sole che filtrano
Dalle persiane sonnecchianti
Quando il mattino
Illumina di scintille
La stanza in penombra».

Immediatamente il mio pensiero è andato ad Ermanno Olmi e al suo film sulla Grande guerra; non sapevo ancora che avrei avuto l’occasione di parlare di lui.
Con pazienza, evidentemente, tutto torna.
In Torneranno i prati (2014) spesso vediamo la desolazione delle trincee sommerse da una coltre di neve che ammanta, in un unico gelido abbraccio, terra e cielo quasi che l’inverno non dovesse più lasciare quegli uomini rannicchiati nei camminamenti. Eppure è lì che si annida la primavera, quella nuova primavera che Olmi consegna come consiglio alla gioventù: «davanti a un paesaggio invernale ci sembra tutto morto; ma non è così. Senza attraversare l’inverno non c’è primavera».

torneranno i prati
Torneranno i prati

Noi stiamo vivendo una strana stagione: abbiamo trascorso un inverno impastato di tarda primavera, stiamo trascorrendo una primavera con le sferzate dell’inverno che non sono solo relative al clima ma anche alla condizione interiore a cui ci ha costretto il Covid 19. Adesso che è tempo di rondini e di tepore dobbiamo guardare tutto dalla finestra, compresi noi stessi/e.
In una delle ultime interviste Olmi dice che il suo prossimo progetto sarebbe stato un film sulla poesia intesa come una forza inespugnabile anche di fronte all’arma più invincibile al mondo. La sua idea, tuttavia, non era incentrata sulla figura del poeta ma il regista, da visionario qual era, intendeva la poesia come una condizione dell’esistenza poiché: «non si è poeti solo perché si scrivono endecasillabi, ma perché si ha la disposizione all’ascolto, a capire meglio i discorsi degli altri che ci permettono di vivere meglio la nostra esistenza».
Ermanno Olmi con questa idea ci ha regalato la possibilità di comprendere che le parole sono lì per rimetterci al mondo, per farci rinascere, sono occasioni per entrare in contatto con noi stessi, per portarci un passo più avanti. L’etimologia della parola poesia, dal latino poesis, solo in senso più ampio significa comporre, ma nel suo senso originario rimanda al generare qualcosa. Quando Ermanno Olmi parla di sé, dei suoi ricordi, dei suoi film, del suo essere cristiano, il tono della sua voce e il ritmo delle sue frasi, ciascuna pronunciata con la massima cura e precisione, assumono le umili vesti di una profezia. Chi è, infatti, il vero profeta se non colui il quale ci fa vedere il mondo con gli occhi di Dio? Ma Olmi è stato un tipo particolare di profeta, non un grande saggio ma un umile discepolo con gli occhi di un bambino. Anche per questa ragione non amava essere chiamato maestro poiché sarebbe stato «vincolato a un atteggiamento di risposta», mentre lui preferiva «la curiosità del discepolo che chiede il perché delle cose tipico dell’infanzia dove è ancora tutto da scoprire».                  

Ermanno Olmi
Ermanno Olmi

Mi chiedo cosa ci avrebbe detto Olmi adesso…, proprio ora che abbiamo bisogno di maestri che ci rassicurino come una madre amorevole che corre dalla sua bambina quando grida per un incubo notturno. Olmi con le sue mani fragili modificate dalla malattia, il suo incerto camminare e il bisogno di un appoggio. Forse ci avrebbe suggerito, ancora una volta, di essere discepoli della vita e di non pretendere soluzioni immediate. Ci avrebbe invitati/e a raccoglierci in silenzio quale preludio del vero ascolto.
Intanto ci avrebbe suggerito di guardare alla Natura, definita «la casa dell’uomo», poiché da lì si apprendono tutti gli insegnamenti che né i saggi né la vita stessa possono darci.
Credo poi che avrebbe pregato dal fondo della sua e della nostra inquietudine che, alla fine, ci mantiene in cammino. Ma chi avrebbe pregato e come? Si definiva aspirante cristiano perché non desiderava alcun sigillo, ma ciò che era importante per lui era la tensione a mantenere un confronto con Cristo perché ciò lo avrebbe portato un passo in avanti verso una nuova conquista. Cosi parla della religiosità: «dovrebbe essere un modo di guardare alla vita, un prato, l’acqua pulita, quasi per celebrare un matrimonio tra l’uomo e la natura, tra l’uomo e sé stesso». Dunque, una religiosità che deve essere dalla parte della vita e nella vita stessa. Da questa prospettiva Cristo è per lui «il modello umano più rivoluzionario perché ci ha fatto distinguere il Giusto dal Falso, ed è la proposta di vita più degna per l’uomo. Quando mi confronto con lui dico: ma lui come si sarebbe comportato adesso? Ne vengo fuori con un briciolo di conoscenza in più». Scrive Frederic Lenoir in La forza della gioia: «Gesù non dice mai questo è bene, questo è male, ma piuttosto questo è vero questo è falso, questo è giusto questo è ingiusto, questo ti farà crescere questo ti farà sminuire. E, invece, che schiacciare i suoi interlocutori con una condanna morale, li aiuta a risollevarsi con un gesto e uno sguardo amorevole».
Sia Frederic Lenoir che Ermanno Olmi citano il Papa Francesco come l’uomo che sta cercando di ricondurre il messaggio evangelico alla gioia piuttosto che fissarsi su «un discorso moralizzatore che escluda tutti coloro che camminano al di fuori delle regole». Olmi parla proprio del «coraggio della gioia», definendola come l’unica vera religione, libera come lo spirito, da accogliere da qualsiasi parte essa arrivi purché si possa testimoniare con gioia il vivere con le altre persone. Quando spiega questo concetto ecco che il suo viso sembra come trasfigurarsi e al posto delle rughe e della barba bianca intravediamo ancora una volta il bambino che fu figlio di un ferroviere e di una contadina: «essere come i piccoli che si mettono davanti alla realtà senza vincolo di prefettura. Con la cultura si sono create delle gabbie».                                                                 Qual è la peggiore di queste trappole secondo Olmi? Avere perso il senso di appartenenza al Creato che tutto contiene, esattamente come ci aveva spiegato san Francesco nel il Cantico delle Creature. «È necessario tornare alla nudità, senza nemmeno una foglia di fico», dice ancora il regista.
Scrive Tiziano Terzani nel suo libro La fine è il mio inizio: «Quando vedi tutt’uno le cose cambiano immensamente e ti rendi conto che non ci sono più divisioni. Ti metti a guardare e scopri la bellezza del minerale che non esclude il vegetale. E allora guardi la bellezza del vegetale e vedi la bellezza del tutto. Per cui è come abbracciare prima il minerale e abbracciare l’animale e abbracciare l’umanità, perché non c’è differenza».
Ermanno Olmi nella tenerezza del suo sguardo possedeva anche il dono dell’ironia di chi sa parlare senza tabù…anzi di chi restituisce ai sentimenti la loro sacra dignità.
Monica Mondo, la conduttrice di Tv 2000, gli chiede quale sia la sua canzone preferita e lui parla di Bocca di rosa riferendosi a quei versi in cui si parla del prete: «Persino il parroco/che non disprezza / fra un miserere e un’estrema unzione / il bene effimero della bellezza / la vuole accanto in processione».
Come mai? Olmi invita a parlare d’amore senza tabù soprattutto nella sua accezione più nobile che è il sesso: «fate l’amore ma non senza amore. Al contrario sarebbe come mangiare senza avere fame giusto perché un cibo è a disposizione. A differenza delle altre specie viventi che lo fanno per riprodursi, l’uomo ha la facoltà di usare la poesia e allora l’incontro diventa di una felicità indimenticabile poiché esso è atteso, immaginato, compiuto e lascia un ricordo bellissimo. Fate l’amore, ma fatelo bene, amando. Il sesso è altissimo, sublime, irripetibile».                                                                                          Ermanno Olmi ci ha consegnato una poetica non solo cinematografica ma, soprattutto, esistenziale, che ha visto nella vita reale il miracolo in cui si compie tutto quello che siamo, compresa la sete di infinito che ci abita.
«Non sono capace di amare Dio come amo i miei amici e le persone a me care. Probabilmente c’è un amore speciale per amare Dio; lo capisco con la ragione ma non con il cuore. Con degli amici ho vissuto istanti di felicità vera: sarà questo l’amore di Dio?
Io non ho altra possibilità di saperlo!
Quando ho letto il Cantico dei Cantici, con la ragione ho capito la bellezza, l’energia di quell’amore e la sua universalità. Poi l’ho riletto quando ero perdutamente innamorato e l’ho trovato inadeguato all’amore che provavo. Uno degli attimi più intensi di felicità l’ho provato quando ero molto piccolo, ho sentito l’istante eterno: cioè, io credevo che sarei rimasto sempre tale, i miei genitori sempre vivi e l’aereo sempre nel cielo. Solo anni dopo ho capito lo scorrere del tempo e a percepire la morte. Quando arriverà, se in quell’istante estremo mi si chiedesse come ho vissuto, io risponderei facendo il nome dei miei amici e delle persone care. In quell’istante capirò cosa è l’amore di Dio. La coscienza del mistero è la nostra unica certezza. Più in là non dobbiamo andare».
Questo convincimento Olmi lo esprime nel suo film più intensamente spirituale, Centochiodi (2007), di cui si riportano due passaggi. La scena in cui il protagonista/filosofo crocifigge tutti i libri ad eccezione di uno che recita: «bisogna che ognuno torni a nascere, chi non comincia dall’inizio non può conoscere la verità. L’amore spira dove vuole, ne percepisci la sua presenza come udissi un suono. Non sai da dove venga, né dove vada, ma chi nasce nella verità crede in ogni cosa che il suo occhio vede».
E ancora: «Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico».                

centochiodi
Centochiodi

Cosa ci dice questo grande discepolo della vita, in questi giorni?
Parlando dei ricordi commossi di suo padre, soldato della Grande guerra, Olmi si rese conto che nella memoria c’è un qualcosa carico di sentimenti e che in ogni guerra ci può essere qualcosa che non li uccide. Forse dobbiamo guardare ai sentimenti, all’umano e non solo all’economia che riduce le persone a macchine e oggetti sostituibili, e gli individui in compulsivi consumatori.
Credo che tutti/e abbiamo compreso, soprattutto chi lavora da casa davanti a un pc, che il migliore ambiente di apprendimento è la relazione con gli altri; che il vento è meraviglioso se lo senti tra i capelli mentre fai una passeggiata, che prendere il caffè con un amico/a può essere di una straordinaria bellezza, che farsi una carezza e scambiarsi un abbraccio è un gesto umano carico di profondo amore.
Allora? Torneranno i prati e ritorneremo a camminare, impastati di ogni stato d’animo di questi mesi, tenendo nel cuore queste ultime riflessioni di Ermanno Olmi: «Quando ho compiuto 40 anni pensavo di essere a metà del cammino, ora ne ho 80 e dovrei mettermi ad aspettare la mia fine? Ma nemmeno per sogno! Ho sempre la vita davanti anche se dovesse essere una sola ora. Il mio giorno predestinato, spero, mi trovi sempre in cammino.» Ciascuno/a di noi attraversa e attraverserà attimi di vuoto, di non senso ma non dobbiamo considerarli un limite definitivo, sono invece preziosi testimoni del desiderio che abbiamo di ritornare a camminare con più leggerezza e pienezza.
Cosi mi auguro e vi auguro di sentire con mente e cuore questi miei versi: a me che li ho scritti di viverli in pienezza, a voi che li leggete di accoglierli con benevolenza.

«Il futuro sarà
Di chi sa farsi passero
Si ciba di briciole
Trovate sul davanzale
E vola leggero nella luce
E nel blu;
di chi sa farsi neve
per sciogliersi ai primi
raggi di primavera
e si lascia andare verso il mare»

 

 

Articolo di  Giovanna Nastasi

NJJtnokr.jpegGiovanna Nastasi è nata a Carlentini, vive a Catania. Si è laureata in Pedagogia e Storia contemporanea e insegna Lettere negli istituti secondari di II grado. La sua passione è la scrittura. Ha pubblicato un romanzo, Le stanze del piacere (Algra editore). 

Un commento

  1. Parole come balsamo le tue, Giovanna, dove Olmi fa solo da sfondo a messaggi esistenziali di profondissima attualità. Leggiadri poi i tuoi versi che ci traghettano verso la speranza di un futuro migliore. Brava!

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