Maria Procino la ricordo quando, giovane specializzanda alla Scuola Speciale per archivisti e bibliotecari della Sapienza di Roma, faceva il suo tirocinio presso l’Archivio centrale dello Stato. Sempre sorridente e solare, la incontravo a volte nelle pause caffè e mi raccontava della sua Napoli e dei suoi sogni professionali. Appassionata di letteratura novecentesca d’ambientazione partenopea, peraltro tema della sua tesi di laurea all’Istituto Orientale, di teatro e di cinema. Non mi stancavo mai di ascoltarla. Un’archivista vivace, preparata, attenta e, come ogni professionista degli archivi dovrebbe essere, curiosa di qualunque particolare. La sua esperienza archivistica ruota sin dal diploma di specializzazione intorno ad Eduardo, sul cui archivio scrisse la tesi. Perfino il dottorato di ricerca la vide impegnata in un lavoro dal titolo La funzione del diario come elemento strutturante dell’archivio di persona. I diari di Isabella Quarantotti De Filippo. Lasciò un vuoto all’Archivio centrale quando finì la sua formazione. La persi di vista, anche se più di una volta mi arrivarono gli echi della carriera che stava facendo. Incaricata delle ricerche storiche e documentarie per la realizzazione della mostra Eduardo da Napoli al mondo 1994-1995. Nel 1996 curatrice, insieme a Paola Ermenegildo e Isabella Quarantotti De Filippo della mostra Eduardo a Milano allestita al Piccolo Teatro di Milano, e, recentemente, nel periodo 2018-2019, con Carolina Rosi, Tommaso De Filippo e Alessandro Nicosia, dell’esposizione a Napoli, nel prestigioso Castel dell’Ovo, I De Filippo. Il mestiere in scena.
L’ho ritrovata per caso, proprio grazie aToponomastica femminile. Facendo una ricerca su Titina De Filippo, mi sono imbattuta, in Internet, nella voce dell’Enciclopedia delle donne, scoprendo che l’aveva redatta lei. Ben undici voci dedicate ad artiste dello spettacolo sono sue e tutte ineccepibilmente redatte e corredate di fonti, mi si perdoni questa deformazione professionale. Lei poi, innamorata del teatro da Govi a Ionesco, ha conosciuto personalmente il grande Eduardo, la moglie Isabella e il figlio Luca. Tanto da scrivere il volume, edito dalla Bulzoni nel 2003, Eduardo dietro le quinte. Un capocomico-impresario attraverso cinquant’anni di storia, censura e sovvenzioni (1920-1970). E nell’anniversario della nascita di Eduardo, chi meglio di Maria Procino, ho pensato, può parlarci dell’uomo e dell’artista. Dati i tempi di “distanziamento sociale” non abbiamo avuto il piacere di incontrarci, ma il suo entusiasmo e la sua immediata adesione al mio invito mi hanno all’istante riportato ai giorni di quelle deliziose pause caffè, infarcite di storie intriganti e di teoria archivistica.
«Eduardo l’ho conosciuto nel 1976», mi racconta, «e lavoro ancora con Carolina e i figli di Luca e la Fondazione De Filippo (https://www.fondazionedefilippo.it). Lo ricordo come una persona molto timida, generosa e divertente. Una persona che pur avendo sofferto moltissimo nella sua vita non si è mai fermata e non ha mai chiuso la porta all’entusiasmo dei giovani. Il “gelo” di cui parlava non era altro che rigore e senso di responsabilità, rispetto nei riguardi di sé stesso, del suo lavoro, del pubblico e dei compagni di lavoro sul palcoscenico e dietro le quinte. Diciamo, il “gelo” che vivono sempre i grandi interpreti. Aveva molta fiducia nelle nuove generazioni: mi ha insegnato a camminare dietro le quinte senza far rumore, ad essere sempre culturalmente curiosa, a rispettare il lavoro proprio e quello altrui, a non abbattermi mai e a non essere mai superficiale. “Studia!” mi diceva, “devi studiare! La cultura è l’unica vera libertà che l’uomo possiede”. Ricordo in modo particolare alcune parole di Eduardo: “Io scrivo per tutti: ricchi, poveri, operai, professionisti, tutti, tutti! Belli, brutti, cattivi, buoni, egoisti. Quando il sipario si apre sul primo atto d’una mia commedia, ogni spettatore deve potervi trovare una cosa che gli interessa. E alla fine, mentre li ringrazio degli applausi, la mia gioia è sapere che uscendo dalla platea ognuno si porterà via con sé qualche cosa che gli sarà utile nella vita di ogni giorno”. Fare la sua biografia, in breve non è semplice. Nasce a Napoli il 24 maggio 1900, da Luisa De Filippo, figlia di commercianti di carbone, e da uno dei commediografi e attori più famosi del tempo, Eduardo Scarpetta. Una vicenda particolare di famiglia allargata, come diremmo oggi, vissuta tutta nel teatro.
Come sua sorella Titina e suo fratello, calca il palcoscenico fin da bambino: a sei anni debutta al Teatro Valle di Roma nella parodia dell’operetta La geisha di Sidney Jones. Dopo aver recitato anche nella compagnia del fratellastro, Vincenzo Scarpetta, i tre De Filippo creano il Teatro umoristico i De Filippo e sono insieme fino al 1944, quando più che i disaccordi personali, sarà l’esigenza di trovare una propria autonomia artistica a portarli alla separazione. Eduardo, con la compagnia Il Teatro di Eduardo, con Titina De Filippo, il 25 marzo 1945 mette in scena Napoli milionaria! al San Carlo di Napoli. Da qui inizia una stagione straordinaria, di eccezionali successi: Questi fantasmi!, Filumena Marturano, Le bugie con le gambe lunghe, Le voci di dentro. Da grande sognatore e lucido impresario nel 1948 compra le macerie d un antico teatro semidistrutto dalle bombe, il San Ferdinando, e lo ricostruisce, attento a recuperare la facciata originale dell’edificio settecentesco e, all’interno, a realizzare tecnicamente un teatro all’avanguardia. Commediografo e sceneggiatore, attore, regista ma anche capocomico, impresario, Eduardo De Filippo è ancora oggi uno dei massimi artisti conosciuti e rappresentati in tutto il mondo. Famoso al punto che nel 1981 Sandro Pertini, allora Presidente della Repubblica, lo nomina senatore a vita.

E la sua passione per l’Istituto di pena per minori Filangieri di Napoli! Portò la voce di quei ragazzi in Parlamento, con un discorso rimasto memorabile. Fino alla sua scomparsa, il 31 ottobre 1984, continuerà a lavorare su progetti teatrali e sull’idea di creare un villaggio nell’entroterra beneventano dove i ragazzi meno fortunati potessero studiare, imparare un mestiere, fare sport. Tieni presente che in quegli anni un certo Vincenzo Muccioli creava sulle colline riminesi la comunità di San Patrignano».
Raccontami del rapporto di Eduardo con la memoria storica, le chiedo. Sempre per deformazione professionale, perché per un’archivista conservare documenti e renderli fruibili al pubblico come fonti per la storia è uno dei compiti principali. Un lavoro attento, faticoso che comporta un profondo stato di conoscenza della documentazione e uno studio articolato del contesto storico e ambientale in cui il “soggetto produttore”, detto in termini di teoria archivistica, ha operato. Si arriva così ad una minuziosa ricostruzione delle sue relazioni e del suo quotidiano. Peraltro, un momento esperienziale straordinario. Ci si rende conto di avere tra le mani l’intimità profonda delle persone di cui stiamo strutturando e descrivendo le carte. Attraverso la corrispondenza, le minute, le note appuntate su foglietti volanti si instaura un rapporto empatico con l’archivio e il suo autore e, per quanto la teoria archivistica ci imponga “distacco”, avviene sempre una sorta di transfer. Non basta attenersi alle regole dell’ordinamento, la “descrizione” di un fondo archivistico comporta il penetrare nella mente di chi quelle carte le ha prodotte, capire come e in che ordine le sedimentava e le conservava, il comprenderne la personalità, l’essenza più segreta.
«Vero, attualmente sto lavorando al riordino dei documenti riguardanti la storia della compagnia e del Teatro San Ferdinando dal 1930 al 1984. Operazione piuttosto complessa: è necessario ricostruire i fascicoli originali, la storia delle società, capire il funzionamento di un teatro e di una compagnia nel Novecento, ma avendo lavorato e vissuto in teatro e avendo conosciuto anche i collaboratori di Eduardo sono avvantaggiata. Inoltre, grazie alla Fondazione Eduardo De Filippo, ho curato la pubblicazione del carteggio con Lucio Ridenti, direttore della rivista “Il Dramma”, Mio caro Eduardo. Eduardo De Filippo e Lucio Ridenti. Lettere 1935 – 1964 (Guida, 2018), quindi il mio transfer è ad uno stato avanzato e proprio per questo la passione archivistica e la ricerca non si fermano mai. Oggi noi sappiamo che un “archivio di persona” è una ricchezza fondamentale per la nostra cultura. Frutto dell’attività del soggetto e non di obbligatorietà di conservazione, parliamo di soggetto produttore, come dicevi tu. Ma, se l’archivio lo intendiamo, per dirla con Isabella Zanni Rosiello, come “autorappresentazione e come modo di costruire e trasmettere una determinata immagine di sé” (Gli archivi nella società contemporanea, Bologna, Il Mulino, 2009, p.38), parlerei di “autore” più che di “produttore”. Proprio perché l’“archivio di persona” è una sorta di “opera” realizzata dal produttore stesso. Così, per esempio, viene definito l’archivio di Giovanni Papini conservato alla Fondazione Primo Conti: “Opera costruita giorno dopo giorno, tessera dopo tessera, dal filosofo, dal poeta, dal prosatore, dal corteggiatore, dal promotore di cultura, dall’editore, ma in prima istanza dall’uomo” (S. Gentili, G. Manghetti, Inventario dell’archivio Papini, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1998, p. V). Eduardo affermava di non essere molto attento alla conservazione e di non amare le biografie di autori viventi. Diceva “Quando sarò morto fate quello che volte, catalogatemi, incasellatemi: per ora sono vivo ed ho bisogno di operare, non di parlare della mia vita su e fuori del palcoscenico”. (Gabinetto Vieusseux, Fondo Eduardo De Filippo, Lettera di Eduardo De Filippo a Francesco Callari, da Roma, 13 maggio 1973). In realtà era ben cosciente dell’importanza del tempo che trascorre e della sua storicità in continuo divenire. Nella sua visione, il passato non è mai immobile ma si collega al nuovo, al futuro.
Dagli anni del “teatro umoristico”, nella casa napoletana e poi nel suo studio romano, si sono sedimentate carte e documenti relativi al suo lavoro e alla sua vita personale, quindi evidentemente era ben consapevole dell’importanza di un archivio. Oggi un fondo De Filippo è conservato nell’Archivio contemporaneo del Gabinetto Vieusseux di Firenze. Corrispondenza, appunti, disegni, manoscritti delle opere e delle poesie, lettere delle donne che gli sono state accanto in momenti differenti: Dorothy, Thea, Isabella. Tre donne bellissime e molto colte che collaborano con lui anche nel lavoro».
Hai nominato “Dorothy, Thea, Isabella”, tre donne importanti nella vita di Eduardo, immagino.
«Dorothy fu la prima moglie, era di Philadelphia, e la sua prima traduttrice. Thea la mamma dei suoi figli, Luca e Luisella. Era attrice e cantante, poi lavorò anche come direttrice del San Ferdinando. Infine, Isabella: gli fu accanto per più di trent’anni, fino alla morte. Anche lei molto colta, lavorò come ufficio stampa e traduttrice, scrittrice, sceneggiatrice. Il loro apporto è stato fondamentale: condivisero quotidianità, momenti di gioia e momenti dolorosi, si presero cura della conservazione dei documenti di lavoro e di quelli privati e, come accade di solito, hanno lasciato un segno, che è ancora tutto da scoprire nella loro corrispondenza. Soprattutto nei diari, che possono offrire una ennesima sfaccettatura della loro vita e di quella di Eduardo».
Nelle sue commedie l’universo femminile è descritto a tutto tondo attraverso differenti tipologie di donne. Penso a Filumena Marturano e alla capacità di sacrificio per i “figli”; a Donna Amalia Jovine, in Napoli milionaria! e alla capacità di gestione finalizzata al profitto sfrenato; a Concetta Cupiello, donna pratica e pragmatica che si fa carico di tutti i problemi familiari ed ha un, mi si conceda, tragico ed estremamente significativo rapporto di debolezza con il figlio maschio. L’Eduardo “commediografo” a tuo avviso come viveva quest’universo?

Politeama, Napoli 7 novembre 1946
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«Le protagoniste delle sue commedie offriranno continuamente volti diversi, anche lati oscuri da scoprire ed analizzare. Filumena Marturano, per esempio, madre certo ma oggi, a mio parere, possiamo riscoprirla anche come donna che fa fatica ad accettare i ruoli imposti dalla società e li combatte. Non dimentichiamo, Filumena è una donna cresciuta negli anni del fascismo, regime che privilegiava, attraverso la sua politica, una certa immagine dell’universo femminile, con l’esaltazione del ruolo di sposa/madre/casalinga, o di vedova di guerra. Solo all’apparenza, in alcuni film, veniva proposta, soprattutto al ceto medio, una donna con i pantaloni, peraltro vietati nell’abbigliamento muliebre dalle leggi del ventennio, e i capelli alla “maschietta”, come recitava una canzone dell’epoca. Altro stereotipo era quello della prostituta/adultera, in storie il cui finale catartico riportava tutto allo status quo. La donna Filumena Marturano, allora, diviene anche, se vuoi, rappresentazione del reale quotidiano nella lotta all’emancipazione: un cammino lento, sofferto, fatto di rinunce e compromessi. E, in questo senso, l’interpretazione che più di tutte mette in evidenza la personalità del personaggio resta quella di Titina De Filippo. In sintesi, secondo me, il teatro di Eduardo travalica tempi e spazi, come accade ai capolavori, e, andando al di là delle intenzioni dello stesso autore, racconta la condizione umana. Parlerà sempre a tutte le generazioni, esattamente come il teatro di Shakespeare o di Moliere».
Secondo te, per concludere, cosa avrebbe detto del momento storico che stiamo vivendo, di questo periodo d’isolamento forzato, lui che spesso nelle sue commedie descrive personaggi che si isolano e si rassegnano di fronte all’egoismo umano?
«Non sono d’accordo: i suoi personaggi non si rassegnano! Certo mostrano la fragilità dell’uomo. Non so cosa avrebbe detto di questo periodo che viviamo e durante il quale ripetiamo una sua ormai celeberrima frase “ha da passà ’a nuttata”, quasi scaramanticamente e per darci forza, per sentirci uniti da nord a sud. Chi conosce La paura numero uno resta sorpreso per la sua attualità. Fotografa perfettamente la realtà che stiamo vivendo, l’ossessione che tutto intorno a noi possa improvvisamente finire a causa di un evento drammatico, oggi il Covid19, allora la guerra fredda. L’insicurezza del suo tempo è l’insicurezza di oggi: chi è il nostro nemico? Forse proprio la solitudine, forse, tra tanta informazione, proprio la difficoltà di comunicare, ad esempio. Allora, chiuderei con un’altra pièce eduardiana: L’arte della commedia. Opera in cui Eduardo ribadisce che il teatro è arte sicuramente, ma è anche “mestiere”, lavoro da proteggere, per la sua intima natura e per il ruolo educativo che svolge nella società. Speriamo di riprendere presto ad andare a teatro».
Grazie Maria, il caffè tra noi resta in “sospeso”.
Articolo di Fosca Pizzaroni
Archivista in pensione, ha insegnato storia delle istituzioni contemporanee nelle Scuole di Archivistica Diplomatica e Paleografia e svolto docenze per l’Università la Sapienza di Roma, di Padova, Mediterranea di Reggio Calabria e per l’Imes Sicilia. Ha collaborato con la Protezione Civile all’analisi storica delle calamità naturali avvenute dall’Unità d’Italia in poi, attraverso saggi e mostre.