Ildegarda e la musica

Chi era la donna che scriveva ai papi, dialogava con i grandi della terra e predicava nelle cattedrali, che era medica, erborista, teologa, compositrice e musicista?
Nata da una nobile famiglia nel 1098, nella zona oggi chiamata Renania, nel suo ottavo anno di vita viene “offerta a Dio”, come accadeva frequentemente nelle famiglie numerose e benestanti, spesso per non disperdere il patrimonio. Fin dai primi anni del Medioevo le giovanissime venivano chiuse nei conventi, a volte per studiare o in attesa del matrimonio, ma spesso per rimanervi. In alcune aree d’Europa la prima figlia era destinata ad un matrimonio vantaggioso (per la casata), le altre al monastero. C’erano anche ragazze orfane o abbandonate che entravano nei conventi, tra queste alcune avevano un’autentica vocazione e divennero monache convinte, badesse e persino sante, altre testimoniarono il loro tormento.
Ildegarda trascorse tutta la sua lunga vita nel contesto monastico (morirà nel 1179) e intorno ai quarant’anni divenne badessa. L’ampliamento della comunità del monastero di Disibodenberg, in cui era sin da piccola, portò a costruire una prima nuova fondazione femminile a Rupertsberg, dove si trasferirà Ildegarda e, successivamente, una seconda ad Eibingen. L’abbazia di Santa Ildegarda di Eibingen è l’unico luogo che si è conservato fino ad oggi e che possiamo visitare: di Disibodenberg restano dei ruderi e il monastero di Rupertsberg è andato distrutto.

1. Abbazia di Santa Ildegarda Foto di Petra Klawikowski
Elbingen. Abbazia di Santa Ildegarda, foto di Petra Klawikowski

Dopo i quarant’anni Ildegarda comincia a scrivere il proprio pensiero che traduce il duplice aspetto di osservatrice della natura, scienziata, medica  e teologa, consigliera spirituale di sovrani (fra cui Federico Barbarossa) e di potenti laici ed ecclesiastici.
Ildegarda ebbe “visioni” fin dall’infanzia, che tenne segrete fino a quando una voce misteriosa le chiese di mettere per iscritto ciò che vedeva. Nacquero così i suoi libri profetici: Scivias, Liber Vitae meritorum ed il Libro delle opere divine.       

2. miniatura Scivas
L’Universo, miniatura dallo Scivias (1165 circa)

«Ecco nel quarantesimo anno della mia esistenza, mentre ero avvinta dalla visione celeste, spaventata e tremante, vidi una grande luce dalla quale usciva una voce che mi diceva: “O fragile creatura… parla e scrivi secondo quanto ascolti e vedi. Ma poiché sei timorosa di parlare e rozza nell’esporre, devi scrivere non le parole degli uomini e neppure i loro pensieri e le loro intenzioni, ma soltanto ciò che vedi e odi dal cielo (…) riportando il discorso come il discepolo che ascolta il maestro e poi lo spiega seguendo fedelmente il suo pensiero, la sua indicazione e il suo insegnamento. Così devi agire tu (…). Scrivi non come sembra a te, ma secondo la volontà di chi conosce, vede e dispone nel segreto del suo mistero”».
Raccontando nelle pagine della Vita questa grande prima esperienza, Ildegarda riafferma con orgoglio l’origine divina del suo dono profetico e di tutte le sue conoscenze: «…nella stessa visione compresi, senza istruzione umana, gli scritti dei Profeti e dei Santi e anche le opere di alcuni filosofi, ed esposi alcune loro pagine, anche se la mia cultura era scarsa, poiché la mia maestra non era una donna colta. Composi anche canzoni e melodie in onore di Dio e dei Santi senza aver ricevuto alcun insegnamento».
Ildegarda parla di sé, forse utilizzando un topos di modestia, come di una donna di poca cultura, che tuttavia nell’anima è sapiente, esprimendo così il contrasto tra il senso di fragilità imputato alle donne e la fiducia nelle proprie capacità intellettuali.
La “visione” si associa al vento, perché il «vento di Dio» la «attraversa», ma il vento rappresenta ancora altro: da sempre, anche in gioventù, le disseccava le ossa, la rendeva debole e nervosa e in un anno, quasi fatale per lei, il 1150, lo sentì arrivare forte come non mai, quel vento secco e caldo del sud, il favonio, insinuarsi nel suo corpo «asciugandole il sangue […] e con il suo calore quasi bruciarle il ventre». Il vento: nelle pagine di Ildegarda è base di una metafora bivalente, materializzazione dell’aria che circola fra le cose e le unisce, trasporta i semi, allude al movimento e alla vita, ma è anche una forza che può annientare. Può essere tuttavia anche «vento del piacere» che solleva il desiderio della donna, «viene fuori dal midollo e scende fino ai reni, scalda il sangue e risveglia la felicità (delectatio)». Nell’uomo «a causa dei suoi fianchi più stretti […] il vento non si diffonde nel corpo così ampiamente e dappertutto come nella donna; per questo il piacere maschile brucia più forte e nell’amore l’uomo non può controllarsi e dimentica se stesso». Nel piacere della donna invece, «più aperta verso l’esterno, il vento dell’amore si diffonde in tutte le membra e brucia più dolcemente». Sono osservazioni naturalistiche in sintonia con la medicina dell’epoca e con il sapere popolare, ma posseggono un vivido senso di verità che supera il tempo. Ildegarda vi aggiunge un’attenzione non consueta alla condizione sociale e all’educazione
femminile: la donna agisce più discretamente nell’amore anche per «timore e modestia». Le stesse “visioni” mistiche sono all’origine della produzione musicale di Ildegarda: la musica ha un’origine divina, come riporta nel primo libro profetico, il Liber Scivias:
«E poi vidi un’aria luminosissima, nella quale ascoltai, in tutti i significati che abbiamo detto e in modo meraviglioso, generi diversi di musiche nelle lodi gaudiose dei cittadini celesti, che perseverano tenacemente nella via della verità.»

3. La gerarchia degli angeli
La gerarchia degli angeli, sesta visione del manoscritto Scivias (Codice di Wiesbaden, facsimile del 1927)

Ildegarda riceve in convento la sua educazione musicale, grazie alla nobildonna reclusa Jutta von Sponheim, che le insegnò a cantare i canti di David accompagnandosi con il salterio a dieci corde; è molto probabile tuttavia che, essendo nata da genitori di nobile lignaggio e ricchi possidenti terrieri, abbia ricevuto l’educazione generalmente impartita alle figlie destinate alla vita monastica, che le avvicinava alla musica e alla composizione di pezzi destinati al culto (attività nella maggior parte dei casi sconosciuta per le donne del Medioevo) che spesso restavano anonimi. È così che Ildegarda, consapevole della propria fama e non desiderando alimentare il proprio orgoglio, dichiarerà, in un frammento autobiografico, «produssi anche parole e musiche di inni in lode di Dio e dei santi senza che nessuno me lo avesse insegnato, e li cantai, pur non avendo mai imparato a leggere la musica né a cantare». Ancora una volta Ildegarda si definisce «scarsamente istruita » anche se tutta la sua opera rivela un’immensa cultura: si tratta forse di un atteggiamento volto a farsi accettare senza troppo urtare il mondo maschile con il quale doveva relazionarsi.

4. Veduta parziale del folio 466.
Veduta parziale del folio 466 retro del Codice di Wiesbaden (Riesencodex) con le parole del canto «O vis eternitatis» della Symphonia armonie celestium revelationum

L’esperienza straordinaria di Ildegarda non è un caso isolato: nei conventi si faceva musica ad altissimo livello. Pensiamo alla figura di Herrad von Landsberg, badessa vissuta tra il 1130 e il 1195 circa in una abbazia sperduta sui monti dell’Alsazia, il monastero di Sainte-Odile, autrice dell’Hortus  deliciarum, un’enciclopedia che racchiudeva tutto il sapere del tempo; ma è  all’ordine di San Benedetto che spetta il merito di aver avuto più compositrici di qualsiasi altro. La ragione sta nel fatto che questo è l’ordine più antico, ma è anche quello che ha curato maggiormente la liturgia, con canti che riempiono le ore del giorno, cominciando con il canto del notturno, il canto della lode, i terzi, sesti. Le suore cantavano per cinque o sei ore al giorno.
Ma l’importanza della musica emerge in una lettera del 1178, un anno prima della sua scomparsa, indirizzata ai prelati di Magonza, che riassume il suo pensiero sulla musica. Questi avevano ordinato la riesumazione del corpo di un nobile colpevole di delitto, sepolto nel cimitero del monastero di Rupertsberg di cui Ildegarda era badessa, e già assolto da un sacerdote.

5. Monastero di Rupertsberg
Monastero di Rupertsberg, 1630 circa

Se non fosse stata concessa la riesumazione, l’intera comunità di religiose avrebbe avuto il divieto di ricevere l’eucarestia e di cantare durante le celebrazioni liturgiche. Ildegarda, rifiutandosi di disseppellire la salma, rispose non solo ricordando che il defunto si era riconciliato con la Chiesa prima di morire, ma al contempo tessendo un elogio della musica e delle sue virtù. «Coloro che avranno ingiustamente privato Dio della sua lode sono avvertiti: Voi tutti, prelati della Chiesa, dovete essere molto prudenti nell’emanare decreti che ordinino di far silenzio a un’assemblea intenta a cantare le lodi del Signore, perché […] potrebbe trattarsi di un’astuzia di Satana che vuole distogliere gli uomini dall’armonia celeste e dalla delizia paradisiaca del canto».

6. Santa Ildegarda e la comunità di moneche
Santa Ildegarga e la sua comunità di monache in una miniatura del XIII secolo

La badessa «che non aveva studiato» esprimeva idee precise e avanzate sulla musica: gli strumenti musicali sono parte integrante di quell’arte, insieme al canto, che dagli antichi Padri della Chiesa era stata considerata l’unica forma legittima di musica. Sono proprio le cronache dell’epoca che descrivono Ildegarda intenta a salmodiare accompagnandosi alla cetra ed al salterio. Le sue composizioni non sono però solo pura espressione dello spirito in un momento di estasi mistica, ma hanno una struttura ben precisa. Quando la visione diventa melodia, si evidenzia il contesto musicale nel quale Ildegarda era immersa: il canto gregoriano. Incontriamo dunque, nella maggior parte dei casi, brani concepiti nelle formule liturgiche classiche: antifone, responsori, sequenze ed inni; ma all’interno di una struttura data troviamo una grandissima flessibilità e innovazione. La sua musica è composta da un numero relativamente piccolo di formule e schemi melodici ricorrenti, che si succedono però in contesti melodici e modali diversi. Vengono create melodie con l’alternarsi di due tipi di passaggi, quello sillabico, nel quale ad ogni sillaba corrisponde una nota, e quello melismatico. È proprio quest’ultimo a conferire alla sua musica qualità estatiche così coinvolgenti. Il melisma è un’ornamentazione melodica, che consiste nel cantare un gruppo di note ad altezze diverse su un’unica sillaba del testo. Questo elemento, tipico del canto gregoriano, viene portato da Ildegarda alla massima espressione. I melismi si concentrano spesso sulle parole chiave del testo, sulla penultima o ultima sillaba, quasi a ritardare la chiusura del brano e a prolungare la meditazione. A rendere straordinari questi canti è l’intrecciarsi delle strutture musicali con la scrittura delle liriche e come nelle visioni suono e immagine diventano una cosa sola, la stessa cosa accade con musica e testo. Le melodie si muovono da un registro grave ad uno acuto, utilizzando un’estensione molto ampia: alcuni canti occupano due ottave o anche più, il che comporta una consolidata tecnica vocale di chi esegue. Possiamo pensare che Ildegarda conoscesse bene le possibilità vocali delle consorelle che dovevano eseguire le sue composizioni: e qui troviamo un aspetto concreto e “terreno” della sua personalità! Questi canti colpiscono per l’immediatezza espressiva e suscitano grande coinvolgimento emotivo in chi li ascolta, sia che si tratti di appassionati, che di persone che si accostano per la prima volta a questa figura straordinaria. Tra le varie registrazioni, segnalo l’unico cofanetto che raccoglie l’integrale delle opere sacre di Ildegarda. Pubblicato nel 2017 dall’ensemble Sequentia, è un prezioso documento, in edizione economica, comprendente nove cd di  altissimo valore storico, artistico e spirituale.

7. Ordo virtutum

Risale al 1982 la prima registrazione dell’Ordo virtutum (Il dramma delle virtù, una delle più antiche forme di sacra rappresentazione giunte fino a noi) proseguita con l’incisione completa dei settantasette brani compresi nella monumentale raccolta Symphonia harmoniae caelestium revelationum (Sinfonia dell’armonia delle rivelazioni celesti) scritta dalla mistica e santa tedesca. Sotto la direzione artistica della compianta Barbara Thornton (scomparsa nel 1998, proprio quando si celebravano i novecento anni dalla nascita di Ildegarda) e con il co-fondatore Benjamin Bagby, il lavoro dei Sequentia è sempre stato improntato ad un grande rigore filologico, ed ha coinvolto oltre sessanta tra i più importanti cantanti e strumentisti del panorama internazionale. (Sequentia, Hildegard von Bingen, Edition Deutsche Harmonia Mundi, nove cd., Euro 40,00).
L’invito è dunque quello di ascoltare musiche straordinarie, di sapersi immergere in questo mondo apparentemente lontano, ma in fondo molto attuale per il messaggio di profonda spiritualità ed autenticità che ancora oggi riesce a trasmetterci.

8. Friburgo (D), foto di Filippo Altobelli
Friburgo (D), foto di Filippo Altobelli

In copertina. Ildegarda riceve un’ispirazione divina e la trasmette al suo scriba, il monaco Vollmar, frontespizio dei Liber Scivias dal Codice Rupertsberger (intorno al 1180)

***

Articolo di Anna Compagnoni

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Nata a Brescia, si è diplomata in Chitarra al Conservatorio E.F. Dall’Abaco di Verona ed in  Liuto al Conservatorio G. Verdi di Milano. Svolge attività concertistica nell’ambito della musica antica, dedicandosi  alla valorizzazione di repertori musicali poco conosciuti, tra i quali quelli delle donne compositrici dal Medioevo al Barocco.

2 commenti

  1. Complimenti per l’articolo su Ildegarda. Io ho scritto due libri su di lei, il primo “Ildegarda, la donna la monaca la santa” è stato pubblicato dalla LEV Libreria Editrice Vaticana con l’apertura di Benedetto XVI che l’ha proclamata dottora della Chiesa. Il secondo volume “Hildegard prophetissa” con la mia casa editrice la Nemapress edizioni.

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