Gostanza da Libbiano, la presunta strega che non finì sul rogo

Gostanza da Libbiano rappresenta uno dei rarissimi casi in cui una donna, accusata dalla voce popolare di stregoneria, riuscì a sopravvivere alle torture e a non finire sul rogo. In Toscana è una vicenda piuttosto nota che ha ispirato pubblicazioni importanti (Gostanza, la strega di San Miniato, a cura di Franco Cardini, ed. Laterza 1989) e un notevole film nel 2000, premio speciale al festival di Locarno, per la regia di Paolo Benvenuti, con la bravissima Lucia Poli nel ruolo della protagonista (in copertina).
Gli atti del processo si trovano nell’Archivio vescovile di San Miniato, quindi si tratta di una storia ben documentata, che si svolge non nel Medioevo, ma in un’epoca più tarda, e forse anche questo influì sulla sua conclusione relativamente positiva, nonostante si fosse in piena Controriforma e il tribunale dell’Inquisizione lavorasse a pieno ritmo contro le presunte eresie e i libri proibiti.

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Palazzo vescovile di San Miniato. Al secondo piano si conserva l’archivio storico

Assai precisa appare la voce, curata da Vittorio Beonio Brocchieri, sul sito dell’Enciclopedia delle donne a cui in buona parte dobbiamo fare riferimento, ma anche il film citato risulta attendibile perché la sceneggiatura si basa sulle fonti dirette.
Partiamo dai luoghi: il toponimo Libbiano in Toscana ricorre due volte, un minuscolo borgo quasi spopolato si trova presso Pomarance, l’altro è vicino a Pèccioli, sulle Colline Pisane, ed è proprio questo a legarsi alla vicenda.

2. Peccioli copia
Peccioli

Gostanza non vi era nata, né vi abitava al momento del processo a suo carico, ma solo vi aveva vissuto un certo periodo una volta divenuta vedova; siamo nel Ducato di Firenze, nella diocesi di Lucca, dove la donna (nata nel 1535) esercitava svariati mestieri: filatrice e contadina, ma anche indovina, guaritrice e levatrice, attività quest’ultima che le dava da vivere e le aveva procurato una certa stima. Si sa però che, all’epoca, determinate professioni potevano facilmente passare dalla riconoscenza alla condanna, se qualcosa in un parto andava storto, visto che erano pur sempre avvolte in un alone di mistero, e le arti magiche vi giocavano un ruolo non secondario, confondendosi spesso con la vera fede. Lo stesso uso delle erbe medicinali poteva essere un toccasana, ma – se non otteneva gli esiti sperati – l’ignoranza e la superstizione avevano la meglio, causando risentimenti, lamentele, vendette.
Ai primi di novembre del 1594 si aprirono le indagini per presunta stregoneria di «Monna Gostanza da Libbiano», presso la città di San Miniato e il vicino borgo di Lari (oggi entrambi in provincia di Pisa). Inizialmente l’inquisitore incaricato fu l’anziano vicario del vescovo, non molto convinto della colpevolezza della donna. Poi l’indagine passò al monaco francescano Mario Porcacchi da Castiglione, deciso a farla confessare ad ogni costo. Furono ascoltate varie testimonianze che risultarono contraddittorie e confuse: chi riteneva la anziana vedova una brava donna, una onesta lavoratrice, chi “aveva sentito dire” che era in rapporti con spiriti demoniaci. Gostanza fu sottoposta più volte alla tortura della corda e, come avveniva sempre, alla fine confessò i suoi congiungimenti carnali con il demonio, la partecipazione a sabba infernali, le peggiori sregolatezze sessuali e i malefìci contro i/le compaesani/e. Ritrattò successivamente spiegando di essere stata convinta solo con la crudele pena, ma di nuovo subì la tortura e confessò ancora. Un elemento di particolare interesse risulta il fatto che i presunti festini di ispirazione diabolica non si sarebbero svolti sotto un albero maestoso, in un bosco o in una foresta oscura, come di solito veniva affermato dalle “streghe”, ma in una città «più bella di Firenze, dove ogni cosa è messa a oro». Non dimentichiamo che la Toscana di fine Cinquecento era la culla del Rinascimento ed era ovunque segnata da meraviglie artistiche, dal progresso, dalla cultura. L’altro elemento significativo, e probabile salvezza per Gostanza, fu che mai rinnegò la propria fede, quindi non la si poteva accusare di apostasia né di eresia.
In una seconda fase del processo, per fortuna intervenne il saggio inquisitore fiorentino Dionigi di Costacciano che ridimensionò la vicenda, mise da parte l’intransigenza del giovane collega Porcacchi e giudicò Gostanza per quello che era realmente: «alla fine s’è veduto che cotesta povera vecchia tutto a (così nel testo) detto per tormenti e non è vero niente». Il 28 novembre Gostanza fu prosciolta. La donna aveva circa sessant’anni, vecchia dunque per l’epoca, ma era salva: dovette abbandonare le sue arti di guaritrice, non praticare più la medicina naturale e si trasferì nella diocesi di Volterra, nei pressi del paese di Chianni. Non si hanno notizie certe sulla sua vita successiva e la sua fine.
Gradualmente la “caccia alle streghe” si sarebbe conclusa, ma altri capri espiatori ne avrebbero preso il posto: gli “untori” all’epoca della pestilenza, come ben ci ricorda Alessandro Manzoni nei Promessi sposi, con il terribile episodio del vecchio trascinato via dalla chiesa, solo perché aveva spolverato la panca, e destinato a chissà quali torture, e poi le persone in qualche modo “diverse”, pazze, asociali, per arrivare all’apoteosi della Shoah, con la persecuzione e lo sterminio delle comunità ebraiche e rom, di omosessuali, Testimoni di Geova, avversari politici. Ogni epoca, purtroppo, se è preda di pregiudizi e stereotipi, si crea dei “nemici” da incolpare e da annientare per nascondere i problemi reali.
Chiudo con una citazione dalle sempre attuali Osservazioni sulla tortura scritte dall’illuminista Pietro Verri nel 1630 dopo i processi agli “untori” durante la pestilenza di Milano e pubblicate postume nel 1804: «o il delitto è certo ovvero solamente probabile. Se è certo il delitto, i tormenti sono inutili (…). Se il delitto poi è solamente probabile (…) è evidente che il probabilmente reo in fatti sia innocente; allora è somma ingiustizia l’esporre a un sicuro scempio e ad un crudelissimo tormento un uomo che forse è innocente (…). (…) fra l’essere e il non essere non vi è punto di mezzo, e laddove il delitto cessa di essere certo, ivi precisamente comincia la possibilità dell’innocenza. Adunque l’uso della tortura è intrinsecamente ingiusto e non potrebbe adoprarsi, quando anche fosse egli un mezzo per rinvenire la verità.»

3. San Martino in Colle (Capannori, LU). Quercia delle streghe nel parco di villa Carrara a Gragnano
San Martino in Colle (Capannori, LU). Quercia delle streghe nel parco di villa Carrara a Gragnano

 

 

Articolo di Laura Candiani

oON31UKhEx insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume e Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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