La scultura è stata a lungo considerata un’arte non adatta alle donne, fondata com’è sulla necessità di confrontarsi con materiali duri, dal bronzo al ferro al marmo. La presenza in scena delle scultrici è piuttosto recente, se si eccettuano quella di Properzia de’ Rossi, attiva a Bologna agli inizi del Cinquecento, la spagnola Luisa Roldan, attiva in età barocca e una sparuta schiera di scultrici neoclassiche che si cimentarono in busti e monumenti funebri. La prima a conquistarsi un certo spazio, a fine Ottocento, è una donna geniale, coraggiosa, ma sfortunata.
Camille Claudel (Fère-en-Tardenois, 1864 – Montfavet, 1943)
Di famiglia benestante, visse un’infanzia serena, avendo un rapporto speciale col fratello Paul, più piccolo di lei di quattro anni. Cominciò a modellare l’argilla a sei anni, sostenuta dal padre, e contro la volontà della madre. A Parigi fu allieva di Auguste Rodin e tra i due fu subito passione, anche se Rodin era già legato a Rose Beuret, ed era molto più vecchio di lei. Il loro legame travalicava il rapporto amoroso per sconfinare nel comune lavoro dove le influenze erano reciproche e Rodin stesso le riconosceva grande autonomia. Con la scultura in bronzo La Valse Camille rappresentò il loro legame in una coppia che balla appassionatamente un valzer.

Alla fine Rodin preferì sposare Rose, da cui aveva avuto un figlio. Allora Camille intraprese un percorso personale di autoaffermazione. Del 1907 è l’Age mûr (l’Età matura), il suo capolavoro, dove una giovane donna in ginocchio protende le braccia verso un uomo più anziano che, voltato di spalle, si lascia portare via da un’altra donna.

Intanto si aggravavano i segni di un disordine mentale già manifestatisi in precedenza: Camille cominciò a soffrire di manie di persecuzione e arrivò anche a distruggere le sue opere. Nel 1913 fu internata in un manicomio, dove, abbandonata da tutti, trent’anni dopo morì di malnutrizione.
Maria Montoya Martinez (San Ildefonso Pueblo, Nuovo Messico, 1887 – 1980)
Artista nativa americana, ha contribuito a preservare l’arte e la cultura della sua gente. Iniziò a modellare la ceramica in giovane età, imparando da una zia. La sua popolarità crebbe dopo che una spedizione archeologica del 1908, guidata da Edgar Lee Hewett, rinvenne ceramiche preistoriche di Pueblo. Hewett chiese a Maria e al marito di ricreare quel tipo di ceramica smaltata, per preservare quest’antica forma d’arte. Attraverso un lungo processo di sperimentazione Maria riuscì a scoprire come ottenere quel tipo di ceramica con disegni neri su fondo nero. I motivi adottati per le decorazioni spesso sono tratti da antichi vasi dei Pueblos e consistevano in uccelli, piume, nuvole, pioggia. All’inizio Maria non firmava le sue opere, poi ha cominciato a firmarle unendo al suo nome quello del marito o del figlio con i quali lavorava. Vinse numerosi premi e ha trasmesso le sue conoscenze e abilità a familiari e studenti.

Katarzyna Kobro (Mosca, 1898 – Łódź, Polonia, 1951)
A Mosca studiò in una Scuola d’arte e faceva parte dell’Unione degli artisti moscoviti. Sposò un artista polacco e insieme si trasferirono in Polonia, dove si unirono al gruppo di costruttivisti Abstraction-Création. Nella giovane nazione, nata dalle macerie della Prima guerra mondiale, artisti e artiste collaborarono al cammino di crescita verso un futuro che fosse di prosperità e di pace. Il loro obiettivo fu quello di creare una nuova arte basata su regole universali e oggettive, che riflettesse una società moderna, quella delle macchine, fondata sulla non violenza, la solidarietà, la democrazia. Nelle sue opere astratte, fatte di legno, metallo, vetro, plastica, con frequenti richiami all’arte di Theo van Doesburg, Mondrian, Hans Arp, l’artista ha realizzato lo spazio infinito, che include e penetra la forma.

Germaine Richier (Grans, 1902– Montpellier, 1959)
Formatasi a Parigi, già nel 1939 presentò opere proprie nel padiglione francese dell’Expo Universale di New York. Vinse il premio per la scultura nel 1951 alla Biennale di San Paolo e partecipò a quattro edizioni della Biennale di Venezia. Ha utilizzato soprattutto la fusione in bronzo per ottenere forme antropomorfe di tipo surrealista: figure umane incrociate con organismi animali, pipistrelli, rospi e ragni, spesso imbrigliate in ragnatele di fili; figure femminili che sembrano insetti, cavallette, formiche.


Elizabeth Catlett Mora (Washington, 1915 – Cuernavaca, 2012)
Nipote di schiavi liberati, nacque in una famiglia di insegnanti della classe media di Washington; alla Howard University studiò design, incisione, laureandosi con lode. A quei tempi era inconcepibile che una donna di colore facesse l’artista, per cui si dedicò all’insegnamento. Continuava intanto a studiare arte e fu la prima afro-americana a prendere un master all’Università dell’Iowa. Arrivata a Città del Messico per una borsa di studio, vi rimase a lavorare in un collettivo di artisti, un laboratorio di stampe su temi sociali. Per il suo attivismo di sinistra non poté rientrare negli Stati Uniti e prese la cittadinanza messicana, per poi riavere quella americana pochi anni prima di morire. Fu la prima docente di scultura femminile all’Escuela Nacional de Artes Plásticas dell’Università Nazionale del Messico (Unam).
La storica dell’arte Melanie Herzog ha definito Catlett «la prima artista afroamericana della sua generazione». Anche se non ha mai lasciato la stampa, a partire dagli anni Cinquanta è passata principalmente alle sculture: realizzate in una varietà di materiali, come argilla, legno, marmo, bronzo e pietra messicana, variano per dimensioni, da piccole figure fino a opere monumentali per piazze e giardini pubblici, come la statua di Louis Armstrong a New Orleans. Il suo lavoro ruota attorno a temi come l’ingiustizia sociale, i personaggi storici (Martin Luther King, Malcolm X, Rosa Parks, Angela Davis), le donne e il rapporto tra madre e figlio, come Mother and Child, che vinse il primo premio all’American Negro Exposition di Chicago nel 1940. Le sue opere più famose descrivono le donne di colore come forti e materne, voluttuose, con fianchi e spalle larghi, in posizioni di potere e sicurezza.


Marta Magdalena Abakanowicz (Falenty, 1930 – Varsavia, 2017)
Frequentò l’Accademia di Belle Arti di Varsavia e fu docente all’Accademia di Poznań. Ha iniziato da sculture realizzate con tessuti; in seguito ha sperimentato altri materiali come bronzo, legno, pietra e argilla. La sua arte è stata profondamente influenzata dagli anni vissuti sotto il dominio sovietico che l’hanno portata a esplorare il tema della folla. Al Grant Park di Chicago ha installato Agorà, 106 figure di ferro, alte quasi 3 metri, senza testa e senza braccia, con una superficie rugosa come una corteccia di albero, simili in forma generale, ma diverse nei dettagli.

Lee Bontecou (Providence, 1931)
Grazie a una borsa di studio ha potuto vivere a Roma dal 1956 al 1958. Ha ottenuto nella sua carriera molti premi e riconoscimenti importanti ed è stata docente al Brooklyn College fino al 1991, anno in cui si è ritirata a vita privata.
Ha lavorato con molti materiali non convenzionali: metallo, carta, plastica e fibra di vetro, e ha sperimentato nuove tecniche. Le sue opere sono allo stesso tempo astratte ed evocative della brutalità della Seconda guerra mondiale, che lei ha vissuto attraverso il lavoro dei genitori. Oscillano tra pittura e scultura, e sono state interpretate in chiave femminista: l’uso di cavità e buchi sembra alludere a genitali femminili, associazione però sempre negata dall’artista.

Maya Lin (Athens, Ohio, 1959)
Figlia di immigrati cinesi (il padre era un ceramista, la nonna pare addirittura sia stata la prima architetta in Cina), ha esordito giovanissima, ad appena ventuno anni, quando, ancora studente a Yale, vinse un concorso per la realizzazione di un Memoriale dei veterani del Vietnam, poi edificato a Washington. Su un muro che a forma di V si incastra nel terreno, come una ferita, in granito nero lucido, sono scritti i nomi di circa 58.000 uomini e donne uccisi o dispersi in azione. Il progetto suscitò molte polemiche, perché era in netto contrasto con il formato tradizionale di un memoriale, che di solito consisteva in una scultura figurativa ed eroica. Alla fine, fu comunque collocata all’ingresso del memoriale una statua raffigurante tre militari con una bandiera. Il monumento è diventato uno degli emblemi della capitale, tanto che nel 2007 è stato giudicato il decimo monumento statunitense più bello dall’American Institute of Architects. Intanto Maya Lin si era laureata in architettura e scultura a Yale e ad Harvard. Altri suoi lavori importanti sono il Civil Rights Memorial a Montgomery, in Alabama, che porta incisa una citazione di Martin Luther King e nomi e date significative per il movimento dei diritti civili, il Women’s Table, un cilindro di granito verde che racconta il numero di donne al college dal 1701 al 1992, quando le iscrizioni femminili per la prima volta furono uguali a quelle degli uomini, e il Confluence Project, sette installazioni artistiche lungo il fiume Columbia. Tra i suoi successi architettonici, la Langston Hughes Library e il Museum of Chinese in America a New York City.


Copertina Ten Seated Figures, Yorkshire Sculpture Park, Marta Magdalena Abakanowicz
Articolo di Livia Capasso
Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile.
Molto interessante, grazie! 🙂
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