Lucia è troppo grassa per indossare la minigonna. Libri di testo e stereotipi di genere

Gli studiosi e le studiose di scienze umane parlano di “socializzazione di genere, per indicare l’apprendimento dei ruoli, ritenuti propri del genere femminile e maschile e delle rispettive aspettative sociali. Sebbene nel processo di socializzazione intervengano diverse agenzie, è assiomatico il ruolo della scuola. Essa trasmette conoscenze, sviluppa abilità e capacità, promuove competenze per lo sviluppo e la realizzazione personali; la scuola opera, inoltre, come potente agente di “controllo sociale”, giacché trasmette i valori dominanti della società in cui si vive. Pertanto, formazione caratteriale, abitudini e linguaggio delle bambine e bambini vengono influenzati consapevolmente ed inconsapevolmente dalla socializzazione scolastica. I condizionamenti sociali e culturali nella definizione di maschile e femminile sono magistralmente analizzati in Dalla parte delle bambine. L’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita di Elena Gianini Belotti, pubblicato nel 1973 ed edito da Feltrinelli. Nel testo, l’autrice smonta il carattere innato di atteggiamenti maschili e femminili e denuncia il dualismo delle pratiche educative, ripiegate verso un modello di «superiorità maschile». «Nessuno può dire quante energie, quante qualità vadano distrutte nel processo di immissione forzata dei bambini di ambo i sessi negli schemi maschile-femminile così come sono concepiti nella nostra cultura, nessuno ci saprà mai dire che cosa sarebbe potuta diventare una bambina se non avesse trovato sul cammino del suo sviluppo tanti insormontabili ostacoli posti lì esclusivamente a causa del suo sesso». Per quanto in Italia, formalmente, l’insegnamento sia indifferenziato rispetto al genere (non lo era per esempio, nella vecchia Scuola media, quando la materia denominata “Applicazioni tecniche” era divisa in femminile e maschile) altrettanto non si può affermare per i libri di testo. Il mercato dei libri di testo in Italia registra, ormai da alcuni anni, un costante incremento: in particolare (dati Istat 3 dicembre 2019) si osserva un aumento della produzione in termini sia di titoli (+2,8%) sia di copie stampate (+11,8%). L’incremento è andato di pari passo con le varie riforme e sperimentazioni scolastiche che, di volta in volta, hanno richiesto prodotti editoriali diversificati nei contenuti e affidati ad un numero sempre più ampio di autori. A partire dagli anni Settanta si è sviluppato,  in particolare, in ambiente anglo-sassone, un campo di ricerca, rappresentato soprattutto da studiose, le quali sostengono che i testi scolastici, congiuntamente agli altri prodotti editoriali (si pensi per esempio ai fumetti) non veicolano contenuti “neutri” in merito al genere, ma, al contrario, contengono, molto spesso, espressioni ed immagini che alimentano una rappresentazione stereotipata del maschile e femminile.  Anche la professora Tilde Giani Gallino pubblica nel 1973,  sul n. 4 della rivista “Scuola e Città” un interessante articolo (dopo aver analizzato una decina di volumi in adozione nella scuola elementare italiana): Stereotipi sessuali nei libri di testo. L’autrice definisce il libro di testo «diseducativo» e fortemente capace di influenzare e condizionare bambini/e nella discriminazione dei sessi. Inoltre, mette in evidenza che dai libri esaminati emerge un quadro fortemente discriminante: il 72,8% dei racconti in essi contenuti è dedicato alle figure maschili, l’11,6% alle donne o alle bambine, il 15,6% ad entrambi i sessi. Continuando, il 74,9% delle illustrazioni riguarda rappresentazioni maschili, il 9,9% rappresentazioni femminili; il 15,2 %  sono illustrazioni miste. Al di là della ricerca, se si pensa alle letture o alle fiabe, con le quali tutte/i abbiamo fatto esperienza a scuola e a casa, viene subito in mente che i protagonisti sono maggiormente maschi, virtuosi e intraprendenti; le donne, al contrario, sono, nel migliore dei casi, adiuvanti del protagonista, spesso dipendenti dalle gesta eroiche del maschio di turno che le salva o che poi, esse, amorevolmente, aspettano a casa. Del tema dei libri di testo, e più in generale dei programmi di studio che devono costantemente essere revisionati per garantire la promozione di una cultura delle pari opportunità, si inizia a dibattere già dalla fine degli anni Settanta; per quanto riguarda l’Italia, invece, bisogna attendere, formalmente, il 1999. In quell’anno, infatti, il progetto della Comunità europea denominato Polite  (Pari Opportunità nei LIbri di TEsto) viene recepito dalla Presidenza del consiglio dei ministri – Dipartimento per le pari opportunità – e dall’Aie (Associazione italiana editori) con la stesura di un vero e proprio codice di autoregolamentazione per l’editoria scolastica. Nel codice viene esplicitata la scelta italiana, culturale oltre che politica, di lotta alla discriminazione, di contrasto agli stereotipi di genere (manifesti e impliciti) e di promozione di  testi scolastici attenti  al linguaggio e alle immagini utilizzate. Irene Biemmi è una ricercatrice di Pedagogia generale e sociale all’università di Firenze dove conduce studi e ricerche sui processi legati alla costruzione dell’identità femminile e maschile. «Da un’indagine che ho condotto sui libri di lettura della primaria editi all’inizio del Duemila, emerge che le indicazioni di Polite non sono state assimilate dalle case editrici scolastiche. I libri di testo offrono una rappresentazione del femminile e del maschile stereotipata e anacronistica: non c’è traccia dei cambiamenti che hanno coinvolto la vita delle donne (e degli uomini) nell’ultimo mezzo secolo. Le donne sono immancabilmente madri e mogli, dolci e pazienti, ritratte nella sfera domestica mentre cucinano, apparecchiano, puliscono, ma sempre con un sorriso sul volto; raramente svolgono una professione e quando succede sono criticate perché non adempiono adeguatamente al loro ruolo primario, quello materno. Gli uomini sono soprattutto lavoratori, sono liberi di muoversi nello spazio pubblico, sono attivi, intraprendenti, mantengono economicamente la famiglia, ma sono al tempo stesso padri assenti, distanti, silenziosi, incapaci di tessere una relazione affettiva coi figli».  La dottora Biemmi ha utilizzato nelle sue ricerche l’analisi quantitativa (quanto numericamente sono raffigurati nei testi e nelle illustrazioni ognuno dei due sessi) e l’indagine qualitativa (analisi delle connotazioni con le quali maschile e femminile vengono proposti nei testi scolastici). Nel suo volume del 2010 Educazione sessista. Stereotipi di genere nei libri delle elementari edito da Rosenberg & Sellier (la seconda edizione è datata 2017, con prefazione di Dacia Maraini), Biemmi passa in rassegna dieci libri di lettura per la quarta elementare delle principali case editrici italiane. I dati, analizzati con dovizia di particolari, restituiscono che: a) l’universo maschile è sovra-rappresentato: in media per ogni dieci protagoniste femminili sono presenti sedici protagonisti maschili; b) ai protagonisti maschili vengono attribuite ben cinquanta diverse professioni, tra le quali il classico re, cavaliere, ma anche scienziato, medico, ingegnere, esploratore, direttore di orchestra. Le protagoniste femminili sono “liquidate” in quindici categorie, tra le quali in pole position c’è la maestra, seguita da strega, maga, fata, principessa, casalinga; c) gli spazi in cui sono collocati i protagonisti maschili sono, in genere, aperti e legati più che altro alla dimensione lavorativa; per le protagoniste femminili gli spazi sono, tendenzialmente, chiusi, come per la casa o l’aula scolastica; d) l’aggettivazione riguardante il genere maschile riporta: sicuro, coraggioso, serio, orgoglioso, onesto, ambizioso, minaccioso, pensieroso, concentrato, bruto, avventuroso, autoritario, furioso, generoso, fiero, duro, egoista, iroso, virtuoso, tronfio, saggio, deciso, audace, libero; per il genere femminile, invece: antipatica, pettegola, invidiosa, vanitosa, smorfiosa, civetta, altezzosa, affettuosa, apprensiva, angosciata, mortificata, premurosa, paziente, buona, tenera, vergognosa, silenziosa, servizievole, comprensiva, docile, deliziosa, delicata, disperata, ipersensibile, dolce, innocente. Andando oltre lo studio della prof.ssa Biemmi, la situazione non cambia, nemmeno nei libri di testo indirizzati a studenti più grandi. Per esempio, nell’ambito artistico-letterario le donne sono poco citate, talvolta consapevolmente estromesse, e le loro opere poco rappresentate, se non per alimentare falsi miti legati a biografie travagliate ed esistenze fuori dal comune. La disparità di genere si amplifica soprattutto nell’ambito tecnologico-scientifico, oggi più di ieri, incurante di una scolarizzazione che, almeno nelle intenzioni, non presenta differenze legate al genere. I dati, però, narrano di ragazze poco rappresentate nelle facoltà e nelle professioni Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics, ndr). Nel mese di aprile scorso, “Linkiesta” ha pubblicato un articolo di approfondimento sul sessismo presente nei libri di testo, riprendendo le affermazioni apparse sul profilo Facebook di Cristiano Corsini, professore associato di Pedagogia sperimentale e valutazione scolastica all’Università Roma Tre. Corsini ha riproposto un quesito tratto dal volume Fisica, Teorie, Esperimenti. Corso di fisica per il primo biennio edito dalla Sei. Nel  quesito si leggeva: «Dopo un litigio, una coppia si separa bruscamente e la ragazza parte con la sua automobile alla velocità di 68,4 km/h diretta verso casa, che dista 14,25 km, mentre il ragazzo, dopo aver esitato per 3,0 minuti decide di inseguirla. Qual è la minima velocità a cui deve andare per raggiungerla prima che lei entri in casa?». Il quesito, dal punto di vista delle formule fisico-matematiche da applicare per la risoluzione, non presenta nulla di eccezionale, ma se l’analisi si smarca dal contesto numerico e passa a quello linguistico, emerge tutta la criticità di un testo evocante inseguimenti che potrebbero generare femminicidi o episodi di violenza gratuita. Per il docente universitario, gli stereotipi di genere, che vanno inquadrati nel più vasto tema dei rapporti di potere, si ritrovano in tutta la storia della scuola italiana. Corsini aggiunge: «È una cosa vecchia e nota: se prendete i “problemi” di matematica del fascismo trovate contadini comunisti scansafatiche, surclassati da fascisti operosissimi, e quel che rimane è solo da calcolare quanti comunisti servono per fare il lavoro di un solo fascista». La sistematicità con la quale gli stereotipi di genere vengono e sono stati trattati nell’ambito della ricerca accademica non va di pari passo con il mondo della politica. Politica che, contrariamente a quanto accade in altri Paesi europei, non attua alcun controllo diretto o tramite terzi sui contenuti dei libri di testo, svuotando di fatto il progetto Polite delle sue prerogative. In attesa di una precisa e cogente regolamentazione che guidi la politica editoriale, è bene ricordare il contributo personale del parlamentare Alessandro Fusacchia, che solo alcuni giorni fa dal suo profilo Facebook tuonava un accorato “j’accuse” verso certa insensibilità editoriale, dopo aver scoperto che, in alcuni esercizi grammaticali contenuti in un libro di testo che stava utilizzando con la  figlia, venivano fuori frasi dal sapore sessista quali: «Lucia è troppo grassa per indossare una minigonna» o «Rossella è così bella da sembrare un angelo, mentre sua sorella è talmente brutta che nessun ragazzo la degna di uno sguardo». La ministra dell’Istruzione Azzolina gli ha fatto subito eco, definendo le frasi “vergognose” e promettendo approfondimenti sul caso, con segnalazione all’Aie. In attesa che la politica si esprima come comunità educante, ricordiamo che la costruzione del genere all’interno della scuola e le relative rappresentazioni contribuiscono, ancora oggi, a definire stereotipi di genere. La scuola non è un ambiente neutro, e il dualismo femminilità-mascolinità perpetrato al suo interno assegna a bambine e bambini status e ruoli sociali differenti. E fino a quando le bambine e i bambini continueranno ad apprendere dai testi in cui  le donne sono casalinghe, infermiere, maestre e principesse e i maschi, invece, scienziati, politici e condottieri, le abilità, i talenti e le aspirazioni naturali di ciascuna/o verranno affossati, rallentando quel processo di parità intesa come riconoscimento e valorizzazione delle differenze. Elena Gianini Belotti, sempre nel suo biblico volume del 1973, dichiarava che non esistono “qualità maschili” e “qualità femminili”, ma solo “qualità umane” che la scuola deve promuovere e sviluppare. 

23 commenti

  1. Analisi interessante e pertinente ,sviscerato nei suoi diversi aspetti ,in maniera dettagliata e precisa ! Grazie Modesta per questi spunto di riflessione !

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  2. Da docente e madre di tre figlie femmine, un grazie di cuore alla Prof.ssa Abbandonato per l’illuminante articolo. La scuola, il mondo accademico e più in generale il paese, hanno bisogno di donne come lei!

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  3. Articolo interessantissimo! Bisogna lavorare ancora tanto affinche’ si possa parlare di qualita’ umane e non di quelle maschili o femminili. Condivido appieno l’insegnamento del cinema nella scuola, cosi’ come di altre arti, come la musica. Grazie Midesta

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