«Bisogna essere disposti a sopportare molto per amore della libertà», affermava Anna Politkovskaja, giornalista e attivista per i diritti umani assassinata con cinque colpi di pistola il 7 ottobre 2006 nell’ascensore della sua abitazione a Mosca. In un mondo in cui oramai tutto ha un prezzo è possibile tuttavia che la libertà costi la vita? E ancora, quanto tempo è necessario affinché una ferita si rimargini? Giorni, settimane, mesi? Sono trascorsi quasi quattordici anni dal suo omicidio, eppure questa barbara uccisione — ancora oggi – rappresenta una ferita insanabile per la libertà di stampa e di pensiero, per tutte le persone che professano il giornalismo e per una società che si ritenga civile. La sua colpa? Essere stata un’autentica giornalista in una falsa democrazia. Invisa al potere per la sua netta opposizione al Presidente della Federazione russa Putin e per i suoi scomodi reportage dalla Cecenia, ha denunciato la violazione dei diritti fondamentali da parte del Governo e dell’esercito russo.

Nata Anna Mazepa a New York il 30 agosto 1958 da una famiglia di diplomatici sovietici di nazionalità ucraina impiegati presso l’Onu, studia giornalismo presso l’Università Lomonosov di Mosca dove si laurea nel 1980 con una tesi sulla poeta Marina Cvetaeva, si sposa con il giornalista russo Aleksandr Politkovskij, ha un figlio e una figlia, scrive inizialmente per il giornale della compagnia aerea di bandiera Aereoflot, poi dal 1982 al 1993 per la testata giornalistica «Izvestija», finché assume il ruolo di vicedirettora di «Obščaja Gazeta». Da subito manifesta la sua propensione per il giornalismo d’inchiesta, collabora con radio e canali televisivi indipendenti, si interessa alle pratiche della politica russa dapprima nel Caucaso, poi, dal 1999 segue il secondo conflitto in Cecenia per la testata indipendente «Novaja Gazeta», dalle cui colonne indirizza un’aspra critica alla politica bellica spregiudicata, autoritaria e violenta di Putin, un vero e proprio tramonto del sogno democratico della prima epoca post-sovietica. Politkovskaja incarna così il centro morale di quella nazione, una cartina tornasole in una vicenda buia, a ricordare ai suoi concittadini che anche i ceceni sono cittadini russi al pari degli altri soggetti della Federazione.

Non si ferma nemmeno di fronte alle prime minacce di morte, ma continua a intervistare militari e civili sia russi che ceceni, presta la sua voce alle madri dei soldati e dei giovani scomparsi nel nulla che chiedevano verità, denuncia il sistematico insabbiamento delle inchieste per reati di corruzione, gli abusi dei soldati federali russi, compiuti contro i ceceni e gli incarcerati e l’assoluta indifferenza del governo di Putin, con un linguaggio schietto, rigoroso e chiaro, rivendicando il suo ruolo di testimone fra i numerosi altri nel libro – fra i numerosi altri – Cecenia, il disonore russo, che reca la sua firma, come del resto tutti gli articoli, a riprova del fatto che «Chi si sente nel giusto non ha bisogno dell’anonimato», per usare le sue parole. Nell’ottobre del 2002 il suo tentativo di mediazione fra i terroristi ceceni, che avevano occupato il teatro Dubrovka e preso degli ostaggi, e il governo russo si rivela vano, a causa del blitz delle autorità russe che non prendono nemmeno in considerazione l’ipotesi di una trattativa. A seguito di questo episodio, costato la vita a molti degli ostaggi oltre che ai terroristi, la critica di Politkovskaja si fa sempre più aspra e incalzante, e culmina con l’accusa al governo di essere indifferente alla vita dei suoi cittadini. Sull’onda del precedente episodio, nel 2004, mette a punto un secondo tentativo di mediazione, in questo caso nel tragitto per raggiungere Beslan, luogo in cui i terroristi avevano occupato una scuola viene colpita da un malore, a suo dire causatole da un tentativo di avvelenamento. Le intimidazioni si fanno sempre più frequenti e preoccupanti, ma Politkovskaja continua imperterrita la sua opera di denuncia e di controinformazione, a prestare i propri occhi e la propria voce a chi non è in grado di vedere e parlare, attraverso il suo impegno civile e giornalistico sempre per la testata «Novaja Gazeta». Durante una conferenza di Reporter Senza Frontiere sulla libertà sulla libertà di stampa tenutasi a Vienna nel dicembre 2005 afferma: «Certe volte, le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano», consapevole della tragica fine che la raggiungerà quel 7 ottobre 2006. Due giorni dopo l’omicidio la «Novaja Gazeta» pubblicherà la bozza dell’articolo a cui ella stava lavorando, un’inchiesta dettagliata sulle torture commesse dalle forze di sicurezza cecene legate al Primo Ministro Ramsan Kadyrov. Ai funerali, celebrati volutamente in una zona periferica di Mosca, partecipa una grande folla commossa, ma nessun rappresentante del Governo russo, accusato a livello internazionale di non aver svolto le indagini nel modo opportuno.

Nel 2007 Reach All Women in War, un’organizzazione impegnata con la protezione dei diritti delle donne durante i conflitti bellici, ha istituito un premio annuale in suo onore, dal titolo Anna Politkovskaya Award, di volta in volta attribuito «A una donna che difende i diritti umani in zone di conflitto nel mondo che, come Anna, si alza in piedi per le vittime di questo conflitto, spesso con grande rischio personale». Anna Politkovskaja resta una figura scomoda in patria, che si tenta di far cadere nell’oblio, nonostante la sua notorietà internazionale: ancora oggi alle commemorazioni partecipano i suoi figli e pochi impavidi giornalisti in nome del suo messaggio, l’amore per la libertà di stampa. Dal 5 maggio 2009 le è stato dedicato un albero nel Giardino dei Giusti di tutto il Mondo di Milano. La speranza è che presto la Russia possa seguire questo esempio e celebrare come noi, in questo Viale virtuale dedicato alle Giuste, una voce di donna coraggiosa e autentica, e con essa le tante altre persone morte in nome della libertà di parola e di opinione, che ci ricordano che dobbiamo ribellarci prima che sia troppo tardi, prima di non accorgerci più di niente.

Anna Politkovskja è viva nelle nostre voci, nelle nostre penne e ci dà il coraggio di lottare e combattere per un mondo più giusto, una vita come quella che lei sognava: «Nell’arco della mia esistenza voglio riuscire a vivere una vita da essere umano in cui ogni individuo sia rispettato».

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Articolo di Eleonora Camilli

Eleonora Camilli è nata a Terni e vive ad Amelia. Nel 2015 consegue la Laurea Magistrale in Italianistica presso l’Università Roma Tre, con una tesi in Letteratura Italiana dedicata a Grazia Deledda. Dedita allo studio della letteratura e della critica a firma di donne, sommelière e degustatrice AIS ‒ Associazione Italiana Sommelier ‒ conduce anche ricerche e progetti volti a coniugare i due settori.
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