Aspettavo con ansia Riccardino, l’ultimo romanzo di Camilleri con Montalbano, sin dal giorno in cui ho saputo che, già da anni, 14 prima di morire, l’autore allora ottantenne aveva scritto la conclusione della saga, anche se poi in questo periodo ha continuato a regalarci romanzi con il commissario Montalbano ma anche preziose riflessioni sulla vita, la società, la politica.
Era proprio questo uno degli aspetti che più mi intrigava del romanzo scritto anni fa e consegnato alla casa editrice Sellerio da pubblicare postumo: come avrebbe fatto a parlare di attualità, ad infarcire come sempre il racconto con rimandi e prese in giro al tal politico o alla tale situazione? Ma Camilleri sapeva bene che alla fin fine nulla cambia.
Però la curiosità maggiore di tutte era: che fine avrebbe fatto fare a Montalbano? Morto in uno scontro a fuoco? Pensionato? Sposato con Livia e trasferito in Liguria?
Il finale sarebbe stato doloroso come quello scelto da Maurizio De Giovanni per il commissario Ricciardi che deve sopravvivere all’amata Enrica? O addirittura tragico come quello del commissario Cattani, protagonista dello sceneggiato La Piovra e impersonato da Michele Placido? Sono passati più di trent’anni ma ricordo bene l’ansia collettiva nell’attendere quell’ultima puntata. Io in quel periodo vivevo a Torino e quella sera, prima che la puntata cominciasse, dovevo prendere un treno per Napoli. Non c’era RaiPlay, non c’erano i telefonini; sul treno, fuori dal mondo, passai la notte a chiedermi se Cattani fosse morto e la mattina, quando scesi in stazione, vidi i titoli dei giornali nelle edicole: Il commissario Cattani è stato ucciso, come se fosse morto veramente, come se ormai nell’immaginario collettivo Cattani/Placido, coraggioso e impavido, fosse diventato una persona reale.
Dunque appena saputo che Riccardino stava per uscire l’ho prenotato, sia per il desiderio di leggerlo al più presto sia perché ero terrorizzata dall’idea che mi potesse arrivare uno spoiler prima che lo leggessi! E a proposito di spoiler, se non l’avete ancora letto e non volete sapere nulla fermatevi qui, non racconterò la trama ma non posso parlarne senza dire qualcosa che io prima di leggerlo non avrei voluto sapere!

Penso che Camilleri si sia divertito proprio a scrivere Riccardino, pur sapendo che non avrebbe potuto conoscere i commenti… o forse proprio per questo!
Nessuna comunque delle mie ipotesi e di quelle di tutte e tutti noi lettrici e lettori appassionati del commissario Montalbano era giusta. Ne avevo parlato con amici e amiche e… questa ipotesi non ci era proprio venuta in mente, Camilleri è riuscito a spiazzarci con un colpo di genio ed un finale che però, a pensarci bene, è assolutamente inevitabile e perfetto!
Tutto il romanzo è assolutamente anomalo ma nel suo essere anomalo è grandioso: le scene comiche in cui si scoppia letteralmente a ridere sono tante, la denuncia sociale e politica è sempre presente attraverso politici collusi, al solito imprenditori mafiosi e parrini ambigui (in questo caso un vescovo, che si intromette pesantemente) non mancano, l’attualità sembra quella attuale nonostante i 15 anni trascorsi, le sciarratine al telefono con Livia lontana pure… e a un certo punto Montalbano e Fazio indossano persino le mascherine chirurgiche! Ma nello stesso tempo il romanzo è assolutamente diverso.
Innanzitutto non c’è Mimì Augello, che è in vacanza dai suoceri. E questo non è un grande spoiler perché è già scritto nell’aletta. Non mi stupisce, secondo me Mimì era diventato un po’ antipatico sia a Camilleri che a Montalbano: negli ultimi romanzi era diventato meno affidabile, più presuntuoso e un po’ cialtrone, sempre più spesso si incaponiva e prendeva cantonate.
Non si può parlare di Riccardino senza scomodare Pirandello, anche se qui non sono i personaggi a cercare l’autore ma l’autore a cercare il suo personaggio. Montalbano vorrebbe concludere la sua indagine, anche se sempre più annoiato e stanco del suo lavoro, ma l’Autore continua ad intromettersi: gli telefona, gli manda fax, gli suggerisce non solo strade da percorrere per investigare ma addirittura finali e il povero commissario in po’ alla volta perde la sua identità o, meglio, l’identità letteraria, perché quella solo aveva, e sparisce, come in una dissolvenza. Il protagonista insomma non è Montalbano ma è l’Autore, è la persona reale, vera, che abbiamo amato e continueremo ad amare. E che non c’è più, che non potrà più deliziarci con i suoi polizieschi, con i romanzi storici, con le ricostruzioni giornalistiche, i suoi splendidi interventi di commento all’attualità. Dovevamo pensarci prima, non poteva che finire così, l’autore è la concretezza, il personaggio è solo un frutto della sua creatività ed immaginazione e dunque, in quanto immaginario, può non morire ma non può sopravvivergli.
Non c’è Mimì e quindi neanche Beba, quasi non c’è Livia, viene appena nominato Pasquano, non c’è Jacomuzzi e neanche Zito, non ci sono Adelina e Ingrid, l’indagine sembrerebbe quasi un affare privato tra Montalbano e Fazio ma c’è l’Autore che entra nel merito dell’indagine, prevarica, diventa personaggio pur rimanendo autore e togliendosi lo sfizio di parlare di sé e della sua meritata fama anche se lo fa con abile ironia e quindi senza presunzione. Ma soprattutto c’è il dialetto siciliano, sempre più approfondito, ricercato direi, con termini sempre nuovi e ci sono dei dialoghi di Montalbano con il vescovo, il sottosegretario, il questore che sono da antologia. E il delitto? C’è anche quello, anche se è tutto esagerato, dal numero di amanti del defunto a quello dei possibili assassini fino al numero dei chili di peso della testimone chiaromante chiaroviggenti… e alla fine non è poi importante chi fosse l’assassino perché questo romanzo non racconta un’indagine ma un commiato.
L’ultima trovata geniale è aver dato la responsabilità della parola fine al personaggio più antipatico di tutti, il questore Bonetti Alderighi, altezzoso, presuntuoso, ignorante, arrivista che, nel momento in cui toglie il caso a Montalbano, non si rende conto di condannare anche sé stesso alla scomparsa perché senza il Commissario neanche lui esiste più!
Articolo di Donatella Caione
Editrice, ama dare visibilità alle bambine, educare alle emozioni e all’identità; far conoscere la storia delle donne del passato e/o di culture diverse; contrastare gli stereotipi di genere e abituare all’uso del linguaggio sessuato. Svolge laboratori di educazione alla lettura nelle scuole, librerie, biblioteche. Si occupa inoltre di tematiche legate alla salute delle donne e alla prevenzione della violenza di genere.