Questione palestinese. Gli anni tra le due guerre

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Nelle intenzioni dei popoli che già abitavano quelle terre, prevalentemente pastori di fede musulmana e tribù nomadi del deserto, la Palestina sarebbe dovuta rimanere «una terra senza popolo per un popolo senza terra». Invece, a seguito della Dichiarazione Balfour, decine di migliaia di famiglie ebraiche iniziano a confluire in Palestina, una terra arida e con poche risorse ma che gli ebrei rivendicano da secoli come propria. Invece le popolazioni già presenti la rivendicano per sé in quanto loro luogo natale e unico disponibile per vivere.
Nel 1922 la Società delle Nazioni ratifica l’accordo precedente tra Francia e Gran Bretagna e affida ufficialmente ai due Stati le terre stabilite sotto forme di protettorati.
Gli ebrei che arrivano in Palestina negli anni Venti e Trenta non sono poveri e non è certo per ragioni economiche che migrano. L’Inghilterra, mandataria del protettorato, affida loro le poche terre fertili. Iniziano subito scontri tra le due avverse comunità, la cui notizia giunge in Europa come generico “antisemitismo”. L’Inghilterra fornisce armi agli ebrei per difendersi dagli attacchi degli indigeni arabi.
Arrivate lì, le famiglie ebraiche iniziano a comprare appezzamenti di terra dalle tribù arabe, molte delle quali accettano di venderli. Questa sarà in futuro una delle principali controversie della questione palestinese: gli arabi non potranno più avanzare rivendicazioni su terre che loro stessi hanno venduto. Ma le rivendicazioni sioniste riguardano non soltanto le terre acquistate ma l’intera area tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano. Al tempo stesso gli insediamenti ebraici, posti con il beneplacito britannico in una terra di radicata cultura islamica, vengono visti con preoccupazione e considerati come una sorta di nuovo colonialismo. Così la tensione cresce.
Nel 1921, nel 1930 e nel 1936 esplodono rivolte antiebraiche tra la popolazione araba presente in Palestina. Per arginare la situazione, nel 1937 il governo del Regno Unito vara il piano Peel: solo il 20% della zona contesa andrà al popolo ebraico, il resto rimarrà arabo. Per il momento il movimento sionista internazionale dichiara formalmente di accettare ma intanto, nello stesso anno, il suo leader David Ben Gurion annuncia che «gli arabi dovranno andarsene dalla Palestina», chiarendo le sue vere intenzioni. Anche il significato della definizione della Palestina come «una terra senza popolo per un popolo senza terra» viene rovesciato: inizia a circolare l’idea che la Palestina sia una terra vuota, quando vuota non è, e liberamente occupabile dal popolo senza terra, quello ebraico.
Intanto il delirio nazista fa tremare l’Europa e gli ebrei emigrati in Palestina aumentano a dismisura. Le tribù arabe palestinesi capiscono il rischio e rifiutano l’accordo del piano Peel dando luogo a una nuova rivolta. Con un nuovo piano, nel 1939 il Regno Unito promette agli arabi la limitazione dell’immigrazione ebraica e la creazione di uno Stato autonomo palestinese al cui interno sia ospitato il «focolare nazionale» sionista previsto dalla Dichiarazione Balfour. Ma intanto l’immigrazione ebraica continua a crescere, spinta anche dallo sterminio nazista in corso in Europa. Eppure nel 1938, con la Conferenza di Monaco, il governo inglese, pienamente consapevole delle intenzioni naziste nei confronti della “razza” ebraica, ha preferito non ostacolare Hitler piuttosto che frenarlo con una guerra europea che si sarebbe poi rivelata comunque inevitabile.
Con la dichiarazione di Ben Gourion comincia il conflitto più lungo che la Storia ricordi.

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Articolo di Andrea Zennaro

4sep3jNIAndrea Zennaro, laureato in Filosofia politica e appassionato di Storia, è attualmente fotografo e artista di strada. Scrive per passione e pubblica con frequenza su testate giornalistiche online legate al mondo femminista e anticapitalista.

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