Questione palestinese. Al Naqba

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Nel 1947, a guerra finita, le notizie e le immagini dei campi di concentramento nazisti fanno rapidamente il giro dell’Europa e del mondo, riempiendo l’opinione pubblica di un profondo senso di colpa verso l’ebraismo. Alla luce di questo rinnovato clima culturale, l’ONU vara un nuovo piano di spartizione della Palestina, molto più vicino alle richieste sioniste di quello sancito dieci anni prima da Londra: viene stabilita la creazione di due Stati autonomi, uno arabo e uno ebraico, con territori quasi pari (quello ebraico è leggermente maggiore) e l’istituzione di un’area internazionale intorno a Gerusalemme.
L’immigrazione ebraica aumenta ancora: non si tratta di vittime delle persecuzioni naziste ma di ebrei provenienti principalmente dagli Stati Uniti con l’intenzione di realizzare il millenario sogno di una patria ebraica, nella terra promessa loro dal Dio del’Antico Testamento, che ricalchi gli antichi confini biblici.
Contro la nascita del nuovo Stato ebraico si schierano non solo tutte le tribù musulmane della Palestina ma anche tutti gli Stati arabi circostanti: Egitto, Iraq, Arabia Saudita, Siria, Libano e Transgiordania (che comprende le attuali Giordania indipendente e Cisgiordania occupata).
A maggio del 1948 nasce ufficialmente lo Stato di Israele, con capitale Tel Aviv e un governo presieduto da David Ben Gurion. Il nuovo Stato si chiama Haaretz Israel (patria del popolo di Dio). Per la popolazione araba palestinese quel giorno è ricordato come Al Nakba, la catastrofe. Gli ebrei militarizzano tutto il territorio a loro disposizione e gli arabi insorgono. I Paesi arabi circostanti rifiutano di riconoscere il nuovo Stato e scoppia immediatamente una guerra, che si conclude con la netta vittoria militare di Israele. A seguito di questa prima vittoria, Israele, violando il diritto internazionale, occupa un’area molto più vasta di quella concessa dall’ONU: quattrocentomila ettari di terra in cui è inclusa la parte Ovest di Gerusalemme, che sarebbe dovuta rimanere città internazionale e condivisa. Così il sogno di uno Stato palestinese promesso prima dalla Gran Bretagna e poi dall’ONU alla popolazione araba svanisce sotto il silenzio generale. Una legge della Knesset (il Parlamento israeliano) requisisce case e terre alle famiglie arabe “assenti”, ovvero scappate durante gli scontri o allontanate forzatamente per fare spazio al nuovo Stato.
I Paesi europei che hanno premuto per la creazione di uno Stato ebraico si sono appoggiati all’argomentazione di volersi far perdonare per le atrocità subite dagli ebrei durante il nazismo, ma tale spiegazione si smentisce per due motivi fondamentali: il primo è che nell’espansione nazista le potenze liberali hanno avuto grandi responsabilità, soprattutto per aver lasciato che la Germania nazista occupasse l’Europa centrale indisturbata grazie alla Conferenza di Monaco e alla politica britannica di appeasement, pur essendo a conoscenza del trattamento che Hitler riservava agli ebrei; il secondo è che si vorrebbe ora attribuire questa decisione agli orrori della Seconda Guerra mondiale, quando l’intenzione di fondare uno Stato ebraico era chiara già dal 1917, mentre di guerra non era conclusa neanche la prima.

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Articolo di Andrea Zennaro

4sep3jNIAndrea Zennaro, laureato in Filosofia politica e appassionato di Storia, è attualmente fotografo e artista di strada. Scrive per passione e pubblica con frequenza su testate giornalistiche online legate al mondo femminista e anticapitalista.

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