La cecità è definibile come «Assenza del potere visivo: definitiva o temporanea, assoluta o relativa a seconda che manchi, rispettivamente, ogni traccia di percezione visiva oppure soltanto uno degli elementi che compongono l’atto visivo (senso luminoso, senso cromatico, percezione spaziale, stereoscopia ecc.)». Può dipendere da cause diverse e diversa può essere anche la sede che provoca cecità, parliamo dunque di cecità sensoriale nel caso di alterazioni retiniche, di cecità di conduzione quando la lesione è delle vie ottiche, o ancora di cecità corticale quando è colpito il centro corticale della visione. Amaurosi è definita la cecità assoluta. Distinguiamo inoltre tra cecità incurabili e altre che possono parzialmente o completamente guarire a seguito di cure o interventi chirurgici. La legge del 3 aprile 2001, n. 138 del Ministero della Salute classifica le minorazioni visive «allo scopo di disciplinare adeguatamente la quantificazione dell’ipovisione e della cecità secondo i parametri accettati dalla medicina oculistica internazionale» e al fine di concedere relativi benefici di carattere economico e socio assistenziale. Leggiamo: ART. 2 (Definizione di ciechi totali) Ai fini della presente legge, si definiscono ciechi totali: coloro che sono colpiti da totale mancanza della vista in entrambi gli occhi; coloro che hanno la mera percezione dell’ombra e della luce o del moto della mano in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore; coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 3%. ART. 3 (Definizione di ciechi parziali) Si definiscono ciechi parziali: coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 1/20 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione; coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 10%. Di fondamentale importanza è poi la Legge 104/92, la normativa di riferimento in materia di disabilità, rivolta appunto ai soggetti che presentano «una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione». Nello specifico, l’articolo 8 rimarca l’importanza di disporre le scuole di dotazioni didattiche e tecniche, personale qualificato e prove di valutazione adeguate in un percorso di istruzione individualizzata che garantisca il diritto allo studio fino all’università. Tra gli strumenti più utilizzati dai non vedenti c’è senz’altro il Braille, quel «Sistema internazionale di scrittura per ciechi […], costituito dalle 64 disposizioni che può assumere, in ideali tessere contenenti ciascuna sei collocazioni possibili, un numero (da zero a sei) di punti in rilievo che si leggono facendo scorrere i polpastrelli delle dita sul foglio». Facciamo però un passo indietro, chi ha inventato il Braille e perché? Louise Braille (1809-1852) è l’inventore francese, che ideò il codice che prese il suo nome. Infortunatosi all’occhio sinistro all’età di tre anni nell’officina del padre sellaio, Louise divenne cieco per l’estendersi dell’infezione. Frequentò, grazie ad una borsa di studio, uno dei primi centri specializzati per non vedenti a Parigi (Institution des Jeunes Aveugles). A quel tempo si insegnava ai ragazzi a leggere con il metodo Valentin Haüy, ma questo non permetteva loro di imparare a scrivere. Braille inventò quindi il suo metodo, ispirato a quanto gli spiegò Charles Barbier de la Serre, militare che descrisse un metodo basato su dodici punti per scrivere messaggi in rilievo, usato dalle forze armate nelle comunicazioni notturne. Il Braille, metodo basato su sei punti, permette di leggere, come l’Haüy, ma anche di scrivere sebbene con notevole difficoltà: la scrittura deve essere fatta sulla faccia opposta del foglio, invertendo disposizione e forma dei caratteri. Braille successivamente estese il metodo aprendosi alla matematica (Nemeth Braille) e alla musica (Codice musicale Braille). Tale metodo incontrò ostacoli iniziali, alcuni insegnanti arrivarono a vietarne l’uso, ma l’efficacia del metodo ebbe la meglio e nel 1827 venne pubblicato il primo libro in Braille.
Come funziona il Braille?
Il Braille si compone di simboli, disposti su una matrice 3×2 e con caselle della grandezza 3×2, grandezza corrispondente alla superficie del polpastrello del dito indice, formati da sei punti impressi con un punteruolo su carta spessa, plastica o riprodotti su superfici di diverso materiale. Oggi si può utilizzare la macchina ‘dattilobraille’ per la riproduzione dei punti, che si identificano seguendo lo schema:
punto 1 – punto in alto a sinistra
punto 2 – punto centrale a sinistra
punto 3 – punto in basso a sinistra
punto 4 – punto in alto a destra
punto 5 – punto centrale a destra
punto 6 – punto in basso a destra
nello specifico quindi avremo:
per rappresentare la lettera A, viene posto in rilievo il punto 1
per rappresentare la lettera B, vengono posti in rilievo i punti 1 e 2
per rappresentare la lettera C, vengono posti in rilievo i punti 1 e 4, ecc.
Per le prime dieci lettere dell’alfabeto si utilizzano solo i punti 1, 2, 4, 5; per le lettere da K a T si usano gli stessi punti delle prime dieci aggiungendo il punto 3; per U, V, X, Y, Z si usano gli stessi punti di A, B, C, D, E cui si aggiungono in rilievo i punti 3 e 6. Anche le cifre vengono così rappresentate, si utilizzano gli stessi punti delle lettere con l’aggiunta di un carattere, detto segnanumero, che si ottiene con i punti 3, 4, 5, 6 in rilievo. Attraverso il Braille quindi oltre alle lettere si possono leggere e scrivere i numeri, ma anche i segni di interpunzione, i simboli matematici, chimici, informatici e musicali.

Il Braille è conosciuto in tutto il mondo ed è stato adattato alla quasi totalità delle lingue conosciute, fondamentale se pensiamo che «Secondo le stime del Piano d’azione globale dell’OMS 2014-2019 ‘Salute oculare universale’, in tutto il mondo sono presenti 285 milioni di persone affette da disabilità visive, di cui 39 milioni non vedenti». Esistono numerosi corsi, per imparare ad utilizzare il Braille, e siti internet che ne parlano, tra questi wikiHow riporta otto passaggi utili per avvicinarsi a questo metodo, importante non solo per chi presenta disabilità visive, ma anche per chi ha familiari non vedenti o con capacità visive limitate. Il Braille è solo il punto di partenza che garantisce a ciechi e ipovedenti l’inclusione scolastica, rientra infatti in un apparato non più solo tecnico, ma anche tecnologico e di assistenza che non può prescindere dalla figura del tiflologo o tiflopedagogista. La tiflologia è lo «studio delle condizioni di vita delle persone cieche e in particolare dei problemi educativi relativi al loro inserimento nella vita sociale e del lavoro». Il punto debole è, ancora una volta, la precarietà del ruolo dell’assistente alla comunicazione e del tiflologo, dovuto al mancato riconoscimento giuridico da parte del Sistema Nazionale di Istruzione. Sicuramente il primo passo è la formazione a livello universitario di insegnanti competenti, formazione che dovrà poi estendersi a tutto il personale scolastico, in un’ottica di inclusione completa e continua.
SITOGRAFIA
Ministero della salute, Relazione del ministero della salute sullo stato di attuazione delle politiche inerenti la prevenzione della cecità, l’educazione e la riabilitazione visiva (Legge 284/97), http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2569_allegato.pdf
Treccani, voce ‘Braille, https://www.treccani.it/enciclopedia/braille/
Treccani, voce ‘Cecità’, https://www.treccani.it/enciclopedia/cecita/
Treccani, voce ‘Tiflologia’, https://www.treccani.it/vocabolario/tiflologia/
Wikihow, Leggere il Braille, https://www.wikihow.it/Leggere-il-Braille
Articolo di Alessia Bulla

Laureata magistrale in Letteratura italiana, Filologia moderna e Linguistica, ha una seconda laurea in Logopedia. È particolarmente interessata allo studio sincronico e diacronico della lingua italiana, alla pragmatica cognitiva e alla linguistica, che insegna in aerea sanitaria presso l’Università di Roma Tor Vergata.