Caro corpo ti scrivo… con senso di rammarico

Vorrei essere cane animale per poter provare le infinite forme di piacere che il corpo può dare attraverso tutti i sensi senza le limitazioni che solo un cervello umano può produrre.

Vorrei provare la dolcezza della carezza del vento su un corpo nudo.

Vorrei provare le forti sensazioni degli odori, che siano gradevoli o no.

Vorrei sentire il silenzio o il rumore senza intermediazioni.

Vorrei avere la percezione del mio corpo senza sapere se esso è bello o brutto, giovane o vecchio, un corpo e basta senza giudizio, non aver bisogno di tutti gli orpelli umani.

Vorrei sentire vivere il mio corpo libero e libero non è. Sono il mio corpo ma sopra di lui governa il mio pensiero che lo ha bloccato, che ha inibito ogni libero piacere.

Vorrei correre e rotolarmi giù lungo un pendio erboso senza dovermi preoccupare di nulla, braccia e gambe spalancate e occhi al cielo respirando l’aria, essendo solo corpo e nient’altro.

Ti amo corpo e amo tutte le tue potenzialità ma non ho saputo e non so viverti; in qualche modo ti ho sempre nascosto agli occhi altrui ed ai miei evitando accuratamente gli specchi, da giovane ti ho nascosto perché gli sguardi mi disturbavano, perché non ti apprezzavo per quel che eri, ora che mi affaccio alla vecchiezza e che più mi sento libera, libera non sono perché mi vergogno della tua mollezza, della tua rotondità che pure alimento con cura certosina.

Che meraviglia avere un corpo senza le interferenze di un cervello. Io sono te e tu sei me eppure in qualche modo non ci apparteniamo, siamo due estranei e io ti guardo con sospetto, senza mai avere pietà per te, senza mai consegnarti alla libertà che ti meriti e che sono certa sapresti apprezzare e godere più di me che sono prigioniera del pensiero. Ti perderò un giorno e avrò il rammarico di non averti dato spazio, di averti costretto dentro abiti troppo larghi, di averti imbavagliato perché tu non potessi esprimerti per ciò per cui eri venuto al mondo.

Non so se ti vedrò scomparire tra le fiamme di una cremazione ma, se ti dovessi vedere, ti piangerò come potrei piangere davanti alla morte di un bambino al quale viene tolta troppo presto la possibilità di vivere. Io non amo la vita e ora scopro che forse non la amo proprio per questo, perché non ho saputo riconoscere il tuo valore al di là del mio piccolo rattrappito pensiero. L’animale non ha questa limitazione, l’animale vive sempre pienamente il suo corpo, tutto l’universo passa attraverso il suo corpo del tutto nudo e privo degli infiniti fili trasparenti che noi umani riusciamo a costruirgli intorno fino ad immobilizzarlo.

Oggi mio caro corpo vorrei metterti sul palmo della mano e soffiare leggermente per vederti volare libero da me. Perdonami se puoi ma, se pure dovessi rinascere farei gli stessi errori ne sono certa a meno che non avessi la fortuna di nascere altro da umano.

Ti ho lasciato morire togliendoti l’aria, togliendoti ogni anelito di vita, impedendo la tua libera espressione, ogni tuo guizzo veniva deriso, tacciato di essere preda di istinti primordiali incontrollati, guardato con disprezzo, mi bastava uno sguardo per annichilirti; ora vorrei liberarti ma è tardi non so come si fa.

***

Articolo di Antonella Gargano

Da sempre viaggiatrice solitaria nei luoghi delle emozioni e dei sentimenti che non sa dire a voce alta.  Eremita dello scrivere, ha vissuto la vita di una sconosciuta e a sessant’anni ha cominciato a vivere la sua senza neanche volerlo. Il suo simbolo: il cactus. Segni particolari: nessuno. Osserva l’essere con sguardo disincantato e ironico. Le passioni non sono il suo mestiere.

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