IL MONDO NUOVO. L’Unione Europea

Il primo scritto in cui si parla esplicitamente di una possibile unione politica dell’Europa è il Manifesto di Ventotene. Ventotene è l’isola in cui venivano mandati al confino gli intellettuali antifascisti italiani. Qui si incontrano Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni per redarre il testo intitolato Per un’Europa libera e unita, sognando un’istituzione sovranazionale basata sulla solidarietà e sulla cooperazione tra i popoli che ponga fine alle guerre. Il Manifesto di Ventotene è scritto tra il 1941 e il 1944, in pieno conflitto mondiale, e diffuso grazie all’aiuto di Ursula Hirschmann  e Ada Rossi, che lo portarono sul continente e lo fecero conoscere agli ambienti dell’opposizione romana e milanese.  

Nel 1952 entra in vigore la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (Ceca), costituita da Francia, Italia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo e Repubblica Federale Tedesca. L’accordo commerciale è volto non solo a facilitare gli scambi tra i Paesi liberali e liberisti abolendo i dazi doganali, ma anche a controllare i movimenti della Germania occidentale sulle principali materie prime utili per l’industria pesante con l’obiettivo di evitarne un nuovo riarmo simile a quello che negli anni Trenta aveva portato alla Seconda guerra mondiale.

Nel 1953 a Londra un accordo internazionale tra tutti i Paesi europei, anche quelli esterni alla Ceca, stabilisce la cancellazione di metà del debito pubblico tedesco contratto con i danni delle due guerre e con i prestiti internazionali, nonostante le gravissime colpe della Germania nazista nei confronti dell’Europa intera: viene riconosciuto che la Germania in ginocchio non è in condizioni di risarcire i creditori. All’accordo partecipa anche la Grecia, nonostante questa sia tra i Paesi più gravemente danneggiati dalla guerra nazista. Alla negoziazione acconsente pure la Francia, nonostante dopo la guerra franco-prussiana abba dovuto pagare enormi risarcimenti alla Germania senza alcuno sconto. Questo negoziato è il più grande atto di solidarietà della storia europea.

Trattati di Roma, 25 marzo 1957

Il 25 marzo 1957 si tengono i Trattati di Roma. Qui gli stessi Stati protagonisti della Ceca istituiscono la Comunità Economica Europea (Cee), la prima effettiva unione doganale dell’Europa occidentale. Obiettivo della Cee è quello di dare autosufficienza all’Europa occidentale, incentivando la produzione di beni che prima venivano importati dall’estero (per esempio l’Ucraina, parte dell’Unione Sovietica, era sempre stata chiamata «il granaio d’Europa»), rompendo gli scambi commerciali tra i Paesi della Nato e l’Urss.

Francobolli commemorativi dei Trattati di Roma

Parte integrante della Cee è la Politica Agricola Comunitaria (Pac), che finanzia le zone più arretrate del continente (il Sud in particolare) per aumentarne e stimolarne la produttività. La Cee si sta dunque sviluppando in funzione antisocialista e filostatunitense.

Nel 1973 aderiscono alla Cee il Regno Unito, l’Irlanda e la Danimarca ad eccezione delle isole Fær Øer, ma nel 1985 la Groenlandia, regione autonoma della Danimarca a sé stante per situazione geopolitica ed interessi commerciali, decide tramite referendum di uscire dalla Cee pur rimanendo legata al Regno di Danimarca. Nel 1981 vi aderisce la Grecia e nel 1986 anche la Spagna e il Portogallo, tutti e tre Paesi appena usciti da dittature per andare verso la democrazia liberale. La bandiera dell’Unione rimarrà sempre simbolo dei primi dodici Stati che vi hanno aderito.

Nel 1992 gli Stati aderenti alla Comunità Europea si riuniscono a Maastricht, nei Paesi Bassi. I Trattati di Maastricht segnano la nascita ufficiale dell’Unione Europea, con una gestione comune delle questioni di giustizia, sicurezza, politica estera e internazionale, economia e commerci. L’unione doganale abolisce i controlli alle frontiere e rende più facili gli spostamenti, sia per motivi di lavoro che per turismo. Il sogno di creare gli “Stati Uniti d’Europa” inizia a prendere piede con la creazione di un organo politico comunitario, il Consiglio europeo. A Maastricht viene inoltre iniziato il percorso di unificazione monetaria, il cui iter inizia nel 1999 con l’istituzione della Banca Centrale Europea (Bce) e sarà completato nel 2002 con l’entrata in vigore della moneta unica. La condizione posta dai Trattati che i singoli Stati devono rispettare è l’accettazione delle politiche decise a livello centrale: il prezzo da pagare per far parte dell’Unione quindi è la subordinazione delle decisioni nazionali (soprattutto in materia di economia e in particolare sul tema del debito pubblico) agli enti centrali. In particolare la Bce ha facoltà di decidere autonomamente a chi concedere prestiti e a quali condizioni. La Danimarca boccia il trattato con un referendum. 

Trattato di Maastricht, 1992

Dopo il crollo del muro di Berlino, la Repubblica Federale Tedesca annette a sé la ex Germania Est. Non c’è stato alcun cambio di Costituzione in funzione del nuovo Stato ampliato ma solo un’entrata di nuovi Länder (Stati che formano parte della repubblica federale) nello Stato già esistente, per cui è più opportuno parlare di annessione che di “unificazione”. Unire uno Stato socialista abituato a un’economia statale pianificata a uno liberista con un’economia di mercato avanzata significa soffocare il primo. La nuova Germania, che nuova non è, si ritrova così con un debito pubblico enorme contratto per sostenere le industrie dell’Est ed evitarne il crollo. Per consentire alla Germania di gestire la transizione senza rischiare la bancarotta, l’Unione Europa decide nuovamente di azzerare il debito pubblico dello Stato tedesco, come già avvenuto dopo la Seconda guerra mondiale. Italia e Grecia, Paesi molto più poveri della Germania, accettano la decisione.

Nel 1995 Austria, Finlandia e Svezia aderiscono all’Unione Europea. 

I Paesi firmatari degli Accordi di Schengen

Sempre nel 1995 entra in vigore l’accordo che rende effettivo il sogno che aveva dato origine all’Unione. Si tratta degli accordi di Schengen, che permettono la libera circolazione delle persone e delle merci abolendo definitivamente i controlli alle frontiere su tutto il territorio europeo (anche in Svizzera, Norvegia e Islanda, estranee all’Unione) ma non ancora nelle ex repubbliche sovietiche.

Nel 2002 appare la moneta unica che sostituisce le valute nazionali, contribuendo a cancellare il potere decisionale dei singoli Stati membri. L’euro viene imposto agli Stati dall’alto e senza alcun referendum. Regno Unito, Danimarca e Finlandia, pur restando parte dell’Unione, rifiutano la nuova moneta. L’economia britannica è sempre stata legata più ai traffici atlantici che a quelli europei e non ha mai avuto grandi interessi nell’entrare nelle vicende continentali europee, quindi è comprensibile che tenda a rimanerne in disparte. In Danimarca e in Finlandia la decisione di non aderire all’euro è stata presa dalla popolazione tramite referendum. L’Unione Europea ha unito Paesi diversi con livelli di sviluppo tutt’altro che pari, creando un mercato comune con divergenze enormi e una concorrenza impossibile da sostenere per le economie più deboli. Le economie dei Paesi più ricchi (quelle del Nord Europa) non risentono dell’entrata in vigore dell’euro, che invece danneggia le zone meno prosperose (in particolare il Sud Italia e la Grecia) facendo lievitare i prezzi dei prodotti ma non i salari reali a causa della mancanza di un ente di controllo. 

In Italia, ad esempio, un euro corrisponde a circa duemila lire, ma in alcuni casi,  con una subdola strategia psicologica, i commercianti hanno portato a un euro ciò che prima costava mille lire: in assenza della legge sulla “scala mobile” (l’adattamento dei salari in proporzione al costo della vita, legge abolita dal governo Craxi negli anni Ottanta), il potere d’acquisto dei lavoratori è crollato all’improvviso di quasi la metà. Comincia ad essere chiaro che si sta andando verso un’Europa a due velocità con un divario economico tra Stati sempre più largo in cui i Paesi ricchi detengono la totale egemonia sugli altri che non riescono a reggere la concorrenza.

Nel 2004 entrano nell’Unione Europea Malta, Cipro e le ex repubbliche sovietiche di Estonia, Lettonia, Lituania, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria e la Slovenia, uscita dalla Jugoslavia ex socialista. Il divario tra i ricchi e i poveri dell’Unione si fa sempre più esteso. L’ingresso dei Paesi dell’Europa orientale nell’Europa liberista aumenta il contrasto in un’Europa che già sta avanzando a due velocità. Si creano così due economie che devono sopravvivere all’interno di un mercato unico con una moneta che non corrisponde alle esigenze di tutti i Paesi membri. Nel 2007 i nuovi ingressi di Bulgaria e Romania, anche queste provenienti dalla sfera sovietica, confermano il divario e quindi l’egemonia dell’Europa nordoccidentale, in particolare della Germania. 

Negli ultimi anni le istituzioni centrali europee hanno imposto agli Stati la soppressione dello stato sociale e del Welfare in nome del pareggio di bilancio, nuovo dogma dell’Unione al posto della solidarietà tanto auspicata nei decenni passati. La Germania, che ormai detiene la leadership dell’Unione, si opporrà drasticamente a ogni ridimensionamento dei debiti esteri degli altri Stati (in particolare della Grecia), dimenticando di aver ricevuto più volte tale trattamento di favore quando era in difficoltà.

Nel 2017 il governo britannico, ratificando la decisione espressa dal 52% di votanti al referendum per l’uscita dall’Unione – la cosiddetta “Brexit” – come previsto dall’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea, ha annunciato l’uscita del Paese dall’Unione. Il Parlamento britannico ha ritardato tale uscita e solo il 31 gennaio 2020 è diventata operativa, ma le operazioni di transizione termineranno il 31 dicembre.

L’Europa unita che vediamo oggi non assomiglia per niente a quella sognata dagli antifascisti a Ventotene negli anni Quaranta.

L’Europa a 27

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Articolo di Andrea Zennaro

Andrea Zennaro, laureato in Filosofia politica e appassionato di Storia, è attualmente fotografo e artista di strada. Scrive per passione e pubblica con frequenza su testate giornalistiche online legate al mondo femminista e anticapitalista.

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