Il mio lavoro di tesi di laurea in Programmazione e Gestione delle politiche e dei servizi sociali, “Gergo palermitano e linguaggio sessuato e sessista nel mercato Ballarò a Palermo. Un’indagine etnolinguistica”, evidenzia il rapporto esistente fra visione del mondo e linguaggio, il rapporto esistente tra una lingua e una cultura, colto da chiunque si trovi a osservare un ambiente linguistico che non gli o le appartiene. L’indagine etnolinguistica nel territorio di Ballarò a Palermo esprime certamente le peculiarità linguistiche della zona, in particolare del mercato storico. Partendo in tale contesto da una origine araba del termine Ballarò — la denominazione del mercato, così come riporta il viaggiatore arabo Ben Hawqal, nella sua opera conosciuta con il nome Descrizione di Palermo nella metà del decimo secolo — l’origine del nome sembra essere quasi certamente “Balhara”, cioè un villaggio che si trovava nei pressi dell’odierna Monreale, da cui provenivano le merci vendute nel mercato, e gli stessi coltivatori per la vendita dei prodotti.
Il mercato fu un emporio, a partire dalle epoche punica, araba, continuando con i Normanni, fino agli Aragonesi. Questa breve descrizione, da un punto di vista linguistico, é utile a comprendere una frammistione di suoni e lingue che da sempre e ancora oggi caratterizzano lo stesso luogo. Infatti, grazie al contributo di nuove etnie, in tempi recenti, si é resa possibile la rinascita e la sopravvivenza del mercato. Secondo un profilo linguistico, si evince, attraverso una ricerca in fonti scritte, la peculiare visione etnocentrica anche dal punto di vista della lingua che assume significati differenti nelle sue espressioni attraverso differenti epoche storiche. Lo studio di origini arabe nella peculiarità di parole del dialetto siciliano, in particolare “palermitano”, fa cogliere una riflessione sul linguaggio come storicamente dato, non privo di significati che si sono evoluti attraverso diverse epoche e denominazioni e che attraverso una frammistione linguistica, hanno assunto nuovi aspetti semantici.
La linguista C.H.M. Versteegh parla dell’influenza greca, però non esclusiva, rispetto alla lingua e grammatica araba. Altri studiosi, invece, non intendono sostenere che il pensiero linguistico moderno-occidentale si sia ispirato alla lingua araba e alla logica del pensiero di quel popolo. Ciò può rappresentare il consolidarsi di alcuni concetti creati nel nostro secolo, come abitudinariamente entrati a far parte della nostra logica e modo di pensare, nell’ottica del “metalinguaggio”, che segue prevalentemente la tradizione “greco-latina”, in cui le equivalenze linguistiche (o le differenze) nel rapporto con la lingua araba vengono stabilite a posteriori.
In tal senso la ricerca etimologica e semantica assumono un ruolo fondamentale per la conoscenza linguistica che possa destrutturarsi nei significati consolidatisi nel tempo.
Proprio a riguardo del particolare linguaggio sessuato e sessista del gergo palermitano, tramite una ricerca etnografica nel territorio di Ballarò, ho tentato una ricerca etimologica e semantica che riconducesse a significati differenti rispetto a quelli che nell’evoluzione storica si sono designati nel contesto urbano; in questo ambito la ricerca nel particolare territorio può essere rappresentativa di un linguaggio comune o più generale nel tessuto urbano, diverso secondo il profilo semantico, attraverso la fonetica e in differenti gruppi sociali. Eppure, attraverso una ulteriore ricerca riguardo a taluni codici linguistici, si evidenzia, per esempio, che la parola “cabasisi” (testicoli nel gergo del luogo oggetto di indagine) deriva dall’arabo “habb-bacca” che indica frutti del Cyprus esculentus, pianta originale dell’Africa. Con questo intendo evidenziare differenti origini semantiche di alcuni termini in uso nel dialetto e nel gergo palermitano, che evolutivamente e nell’attualità, assumono significati aventi carattere sessuato e sessista o che a quei termini si sono assimilati altri significati. Ciò invece non avviene nei seguenti codici linguistici, aventi comunque carattere sessuto e sessista: “Suca-sucaminchia” (latini: sucus-mencia), espressioni volgari destinate a chi propone qualcosa di non conveniente, preferita da chi ha ricevuto la proposta. Inoltre, “sucaminchia” é sinonimo di omosessuale maschile, con un senso dispregiativo, epiteto volgare e ingiurioso, usato anche indipendentemente dalle tendenze sessuali dell’interlocutore. “Pulla”: donna scostumata, prostituta (latino “pullus-a”, pollastra, come puttana da putto). “Arrusu”, anche scritto “Garrusu, jarrusu, iarrusu”: giovane omosessuale, civedo (giovane dai tratti effeminati); parola correlata: “bardascia”.
Nel mercato di Ballarò, nell’ambito della mia ricerca etnografica, ho notato che emergevano espressioni linguistiche di natura sessuata e sessista quando mantenevo un atteggiamento più distaccato e ascoltavo gli enunciati spontanei, quando cioè la ricerca non era esplicitamente volta al rapporto dialogico con i mercanti e le persone; allora la parola “minchia” era intercalata con più frequenza nelle “abbanniate” (voci acute volte al richiamo di acquirenti) dei venditori palermitani. Proprio nel mercato si evince la possibilità di frammistione di lingue fra più etnie e si coglie la possibilità di apprendimento di etnie nuove e diverse che lavorano al suo interno.
Nello stesso lavoro di tesi si evidenziano fattori cognitivi, relativi alla interiorizzazione di tratti linguistici a partire dai primi processi di socializzazione e aspetti sociologici relativi all’uso sessista della lingua e delle lingue che codificano anche i ruoli sessuali in diverse culture e società. «Le lingue che non registrano proprietà intrinseche della natura, ma categorie proiettate della cultura, sono anche un luogo di autoaffermazione del sé, aiutano o deprimono l’autostima, poiché il linguaggio in uso non nomina, cancella anche rispetto a sé e alla propria identità.» (Graziella Priulla, Parole tossiche). La lingua struttura la nostra visione del mondo e le parole non sono mezzi inerti ma definiscono l’orizzonte in cui viviamo. Noi siamo le parole che usiamo e la lingua ci induce a dire le parole a cui la società é abituata, attraverso una costruzione condivisa che se non delegittimata sarà imitata. Si può rivelare un’alleata nel superamento delle discriminazioni sessuali, portando alla luce le associazioni mentali ed emotive nascoste e implicite nell’uso di termini apparentemente neutrali. Nei rapporti fra generi, la lingua manifesta rapporti di potere connessi a discriminazioni che tendono alla svalorizzazione del femminile, cristallizzandosi, radicando pregiudizi, stereotipi e generalizzazioni.
Nel rapporto fra generi, il linguaggio strumentalizza anche i corpi, elementi essenziali dell’identità individuale. Il linguaggio, inoltre, é depositario di un immaginario collettivo e sociale e rappresenta il primo oggetto e modo attraverso cui una cultura imprime e impone i propri caratteri, laddove lo stesso linguaggio definisce apparati simbolici che indirizzano ruoli, determinando quindi la qualità delle relazioni, esprimendo una forma di dominio in cui si manifesta un modello di mascolinità egemone o di identità di genere dominante. A partire dalla indagine etnologica sul territorio detto, nel lavoro di tesi si dà rilevanza agli aspetti fonetici della lingua (in particolare attraverso gli studi di Edward Sapir, che rileva un differente significato del linguaggio parlato attraverso il tipo di emissione sonora vocale). Gli aspetti fonetici incidono sul tipo e sulla qualità di significati delle espressioni linguistiche in uso.
In conclusione si vuole porre all’attenzione di agenzie scolastiche di ogni ordine e grado l’importanza di questa tematica, il linguaggio sessista. Si vuole evidenziare l’importanza della lingua nei suoi aspetti etimologici e semantici, il cui studio e analisi può favorire non solo una prevenzione rispetto all’uso di significati che assumono quei connotati sessisti e che, secondo un profilo semantico si differenziano a partire da radici storiche, ma, altresì, l’importanza dei processi cognitivi e di socializzazione che fanno in modo che taluni significati si cristallizzino nell’uso linguistico comune. Citando Ignazio Buttitta: «La lingua é la madre» e nessuno può privare della propria lingua, anche quando tutto é stato sottratto a un popolo. Questa citazione riguarda e può riguardare le resistenze e le opposizioni di un popolo in relazione a usi e costumi (linguistici in tale circostanza) che rappresentino una tradizione da difendere, sedimentandola anche quando sia rappresentativa nei termini dell’offesa, quale difesa e difensiva di un orgoglio popolare, non solamente quale difensiva sociale inerente ad aspetti e vissuti relazionali.
La tesi integrale al link: https://toponomasticafemminile.com/sito/images/eventi/tesivaganti/pdf/94_Corrao.pdf
Articolo di Maria Elena Corrao

Assistente sociale e specialista in politiche sociali, ha compiuto studi di sociologia, materia per cui ha mostrato sempre particolare interesse dagli esordi del proprio excursus di studi, in cui hanno avuto un ruolo significativo, per la materia linguistica, anche gli studi classici.