Via Brigida Avogadro, una strada a tornanti che porta al Castello, non rientra fra gli itinerari turistici — anche perché è aperta al traffico automobilistico — ma vale la pena raggiungerla per accostarsi all’origine di alcune tradizioni e a figure leggendarie della storia di Brescia, legate a uno dei suoi momenti più drammatici: l’assedio delle truppe di Niccolò Piccinino nel 1438. Circa a metà del tratto di strada che da piazzale Arnaldo conduce al primo tornante si trova il monumento ai Santi Faustino e Giovita (II secolo d.C.), eretto nel XVI secolo nel punto in cui, secondo la tradizione, sarebbero apparsi a dar man forte ai Bresciani sul Roverotto, il settore nord-est dell’antica cinta muraria, il 13 dicembre 1438, rigettando al nemico con le proprie mani le palle di cannone lanciate contro la città e mettendo in fuga gli assedianti.

I due santi sono vestiti da cavalieri e al centro delle due figure c’è un buco a forma di palla di cannone. Questa loro rappresentazione, differente dalle precedenti in abiti sacerdotali e diaconali, li consacra santi guerrieri, pronti a difendere e salvare la città. L’epigrafe inferiore fa riferimento alla peculiarità della loro apparizione durante la battaglia finale dei Bresciani contro Niccolò Piccinino: solo l’esercito assediante li avrebbe visti.
Più di quattro secoli dopo, durante le Dieci giornate del 1849, molte/i bresciane/i espongono immagini dei santi protettori a difesa delle proprie case e, durante i momenti più drammatici dei combattimenti, c’è chi li invoca a protezione della città. Su questi stessi spalti, secondo una leggendaria tradizione, nel 1438 avrebbe combattuto armata anche Brigida Avogadro, una nobildonna bresciana del XV secolo sulla quale si hanno poche notizie storicamente certe.

Tintoretto (1518 o 1519-1594), nell’affresco sul soffitto della sala del Consiglio maggiore del Palazzo ducale di Venezia, la rappresenta sulle mura della città mentre incita al combattimento a fianco del capitano Francesco Barbaro, allo stesso modo del quadro conservato nel Broletto di Brescia fino al 1797, «quasi un simbolo della patria», andato distrutto durante i disordini del 18 marzo di quell’anno, che la raffigura come combattente.
È difficile districare la storia dal mito, tanto sono intrecciati; certo e documentato è che, nel 1440, la Serenissima concede alla nobildonna una pensione di benemerenza di dieci ducati. Secondo le cronache che la menzionano, Brigida non avrebbe partecipato direttamente ai combattimenti, ma avrebbe organizzato gruppi femminili di soccorso ai feriti e gruppi di donne adibite nottetempo alla riparazione dei danni prodotti alle mura dall’esercito assalitore, ed è descritta come «donna dall’animo eccezionale, praestans, così eroica da rivelare quasi una virtù virile, più che femminile».
Gli storici del Cinquecento consacrano la figura di Brigida, esponente di una delle famiglie patrizie più fedeli alla Serenissima, come modello di virtù civili, rielaborandone le presunte gesta in un mito persistente nel tempo, nel quale confluiscono elementi di patriottismo locale, insieme alla necessità di proporre modelli di comportamento che ispirino le donne a partecipare degli ideali di fedeltà alla repubblica di Venezia e di amore patrio, già richiesti ai cittadini maschi. Secondo la narrazione maschile le donne “virili” come Brigida combattono per la patria, curandosi più dell’onore che di sé stesse; in realtà a spingerle sono il timore della violenza fisica e la devozione al marito e alla di lui famiglia. Brigida partecipa alla difesa di Brescia proprio per sostenere il consorte, e la famiglia Avogadro ne ricava lustro; la nobildonna, le cui gesta restano oscure, entra nella retorica storica e familiare — del marito — e va quindi a costituire anche un modello di moglie ideale.
Secondo la tradizione, più dell’intervento di Brigida, sarebbe però stato decisivo quello di un «esercito d’immortali», guidato dai santi Faustino e Giovita, nel fermare e respingere le truppe di Niccolò Piccinino, dopo il loro ingresso in città, il 13 dicembre 1438. Questa notizia sarebbe stata forse diffusa dai Milanesi per giustificarsi della cocente sconfitta subìta e si narra anche che Piccinino avrebbe esclamato: «Sono solito combattere contro i fanti, ma non contro i santi». In realtà pare che la leggenda nasca subito dopo la battaglia, coniugando fede religiosa e orgoglio municipale. Da allora Faustino e Giovita sono i patroni di Brescia, festeggiati il 15 febbraio, mentre santa Lucia, probabilmente già venerata nella chiesa di Sant’Agata, vede il suo giorno diventare anniversario di liberazione e vittoria. Per questo si ritiene che proprio da tale celebrazione discenda la tradizione di festeggiare la santa che svolge il ruolo altrove appartenente a Santa Claus o a Gesù bambino. Secondo la leggenda popolare durante la notte tra il 12 ed il 13 dicembre, santa Lucia passa per tutte le case, con un asinello, per distribuire a bambine e bambini doni e carbone.

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Articolo di Claudia Speziali
Nata a Brescia, si è laureata con lode in Storia contemporanea all’Università di Bologna e ha studiato Translation Studies all’Università di Canberra (Australia). Ha insegnato lingua e letteratura italiana, storia, filosofia nella scuola superiore, lingua e cultura italiana alle Università di Canberra e di Heidelberg; attualmente insegna lettere in un liceo artistico a Brescia.