Diana Obexer è stata un’attivista austriaca che durante la Seconda guerra mondiale salvò oltre 12.000 tra bambine e bambini detenuti nei campi di concentramento operanti in Croazia, Stato indipendente, all’epoca alleato dei nazisti. Il suo operato è analogo a quello del ben più noto Oskar Schindler, eppure è rimasto nell’oblio per quasi sessant’anni. Un fatto che non ci sorprende più di tanto — non avrebbero altrimenti motivo di esistere associazioni come la nostra, impegnate a restituire alla memoria collettiva l’agìto femminile in ogni ambito del sapere — scrittrici e poete escluse dal canone letterario, scienziate a cui è stato ingiustamente sottratto il Nobel e conferito ai colleghi maschi, mediche, attiviste, politiche, architette, filantrope, una lista di figure che hanno ricoperto un ruolo centrale nella storia — cui si potrebbero aggiungere molte altre, ancora poco conosciute.
Diana Obexer nacque a Innsbruck, in Austria, il 15 gennaio del 1891. Nel 1919, si trasferì a Zagabria, poiché il marito Julije Budisavljević, cittadino austro-ungarico di etnia serba, già medico presso la clinica chirurgica di Innsbruck, era stato nominato professore di Chirurgia presso la Scuola di Medicina dell’Università della capitale.
Nell’aprile del 1941, quando la Jugoslavia fu invasa dalle forze dell’Asse, lo Stato indipendente di Croazia diede inizio a quello che sarà ricordato come il genocidio di serbi, ebrei e rom. Venuta a conoscenza dell’esistenza dell’orrore dei campi di concentramento non molto distanti dalla capitale croata, con l’aiuto della comunità ebraica locale, che era costretta a sostenere i detenuti del campo, nell’ottobre del 1941 Diana Obexer Budisavljević lanciò una campagna di soccorso intitolata “Azione Diana Budisavljević”, dapprima impegnata nella fornitura di beni di prima necessità come cibo, medicine, vestiti ma anche denaro, ai bambini, alle bambine, e alle donne serbe, rom ed ebree detenute nei lager, che successivamente si trasformò in una vera e propria operazione di evacuazione dei e delle minorenni dai campi di concentramento. Ma l’opera di Obexer fu ancora più significativa, e si inscrive in quel modo di pensare e stare al mondo delle donne che è progettuale e sistematico: non aveva infatti il ‘solo’ obiettivo di salvare quelle vite innocenti, ma di creare un vero e proprio archivio con la documentazione necessaria a ricongiungerle alle rispettive famiglie al termine della guerra.
“Azione” aiutò anche i membri della Croce Rossa croata a fornire provviste e cure mediche ai detenuti che si fermavano nella principale stazione ferroviaria di Zagabria durante il loro viaggio verso la Germania. In questo contesto, nel marzo del 1942, Obexer conobbe la capo infermiera, Dragica Habazin, colei che negli anni a venire diverrà una sua stretta collaboratrice nell’opera di trasferimento dei detenuti dai vari campi a Zagabria e in altre città. All’inizio del luglio 1942, con il supporto dell’ufficiale tedesco Gustav von Koczian e del Ministero degli affari sociali, Obexer ottenne infatti il permesso di trasferire i bambini e le bambine detenute nel campo di concentramento di Stara Gradiška a Zagabria, Jastrebarsko e in seguito anche a Sisak, e vestendo l’uniforme di un’infermiera della Croce Rossa, prese parte al trasporto di bambini da Mlaka, Jablanac e Jasenovac. Nell’agosto del 1942 oltre seimila tra bambine e bambini evacuati dai lager furono assegnati a diverse famiglie, grazie anche al supporto della Caritas dell’arcidiocesi di Zagabria.
Degli oltre 15.536 esseri umani che Obexer ha salvato, oltre tremila sono morti durante il salvataggio o subito dopo aver lasciato il campo per le conseguenze delle torture subìte, l’inedia e le malattie, mentre oltre 12.000 sopravvissero. Undici membri della sua squadra furono uccisi durante la Seconda guerra mondiale. Nel maggio del 1945, subito dopo la fine della guerra, l’immenso archivio contenente le identità dei bambini e delle bambine salvate fu confiscato da parte degli ufficiali dell’Ozna (Reparto per la Protezione del Popolo) e Obexer non fu menzionata pubblicamente in Jugoslavia per decenni, uno dei motivi che la indusse a tornare a Innsbruck, dove trascorrerà gli ultimi anni della sua vita, dal 1972 fino alla sua morte, avvenuta il 20 agosto del 1978.
Le ragioni di tale silenzio attorno alla sua figura sono state attribuite alla sua biografia: una donna austriaca, cattolica praticante (considerando il controverso dibattito sulle posizioni delle gerarchie ecclesiastiche durante il nazifascismo), originaria di una famiglia dell’alta borghesia, sposata con un chirurgo di religione ortodossa, insomma, un profilo scomodo per il regime comunista affermatosi dopo la guerra, e alla sua posizione apolitica che emerge dal diario, o meglio a una posizione che non si evince affatto.
Fu proprio grazie al diario, reso pubblico nel 1983 dalla nipote Silvia Szabo, e pubblicato nel 2003 dal direttore degli archivi di Stato croato Josip Kolanović, che è stato possibile ricostruire il periodo della vita di lei che va dal 1941 al 1947, e portare alla luce la rete di relazioni e collaborazioni che permise l’attuazione di questa grande impresa di liberazione, definita dalla professoressa Marina Ajduković, che ne ha firmato la ricostruzione storica, “la prima opera umanitaria in Croazia”, un evento che ha innescato la prassi di assistenza sociale e la tutela delle minoranze.

La sua memoria è stata restituita alla collettività solo recentemente, attraverso varie forme di riconoscimento: il 15 febbraio 2012 il presidente della Serbia Boris Tadić ha insignito Diana Obexer Budisavljević della medaglia d’oro di Miloš Obilić per il coraggio e l’eroismo personale; il 18 ottobre 2013 il patriarca Irinej della Serbia le ha conferito l’alta distinzione della Chiesa ortodossa serba — l’ordine dell’imperatrice Milica; poi ancora le sono state intitolate vie a Belgrado, Kozarska Dubica e Gradiška e un parco nella parte orientale di Zagabria, “Park Diane Budisavljević”; la sua casa natale in Maria Theresia Strasse a Innsbruck è conosciuta come Obexer Haus; da ultimo, ma non ultimo, lo studio di produzione cinematografica di Zagabria, Hulahop, ha realizzato un documentario su di lei, prodotto da Dana Budisavljević e Miljenka Čogelja, intitolato Dianina lista “La lista di Diana”, a rievocare la nota pellicola cinematografica del 1993 a firma di Steven Spielberg.
Nel finale di Schindler’s List ciascuno dei millecento sopravvissuti depone un sasso sulla tomba della persona alla quale deve la propria vita. In onore di Diana Obexer, che di vite ne ha salvate 12.000 — e con esse, anche le nostre — potremmo allora costruire un monumento nella nostra memoria affinché il suo agìto costituisca un solido appiglio per la memoria futura affinché non si cada nuovamente nella stagione più buia della storia, ma se ne faccia un faro di umanità e tolleranza che ci permetta di abitare un mondo sempre più equo e giusto.

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Articolo di Eleonora Camilli

Eleonora Camilli è nata a Terni e vive ad Amelia. Nel 2015 consegue la Laurea Magistrale in Italianistica presso l’Università Roma Tre, con una tesi in Letteratura Italiana dedicata a Grazia Deledda. Dedita allo studio della letteratura e della critica a firma di donne, sommelière e degustatrice AIS — Associazione Italiana Sommelier — conduce anche ricerche e progetti volti a coniugare i due settori.