Il mondo nuovo. L’Italia dallo scandalo di Tangentopoli al primo governo Berlusconi

Gli ultimi anni Ottanta in Italia vedono rinascere il conflitto sociale che si era assopito all’inizio del decennio. L’occupazione di spazi abbandonati è ancora diffusa e tutte le città si riempiono di centri sociali che, in maniera più morbida, ricalcano l’esperienza dei circoli del proletariato giovanile degli anni Settanta.

La riforma universitaria del ministro Ruberti (Psi), che prevede la possibilità delle facoltà di ottenere finanziamenti privati per la ricerca e quindi permette l’ingresso delle aziende negli atenei, è accolta con un’ondata di agitazioni studentesche. La prima università ad occupare è quella di Palermo. Federico II di Napoli e La Sapienza di Roma seguono a ruota, finché in pochi mesi quasi tutte le facoltà italiane sono in agitazione. A dicembre del 1989 viene avvistata una pantera su una strada della periferia romana: visto il panico causato dalla notizia, la lotta studentesca contro la svendita e la privatizzazione del sapere assume l’animale come proprio simbolo e nel 1990, con lo slogan «la pantera siamo noi», nasce il movimento della Pantera. Il movimento studentesco ha vita breve, ma sulla sua scia nascono il gruppo rap romano Onda Rossa Posse (il gruppo, legato a Radio Onda Rossa, emittente indipendente romana nata nel 1977, in seguito cambierà nome in Assalti Frontali) e il centro sociale di Napoli Officina 99 (da cui proviene il gruppo rap 99 Posse), che invece rimarranno nel tempo.

Manifestazione del movimento della Pantera

All’inizio degli anni Novanta l’Italia è in subbuglio e vive una complicata fase di transizione. La stagnazione economica e l’inflazione indeboliscono le industrie storiche, le crescenti migrazioni e l’integrazione europea confondono il quadro geopolitico, la dissoluzione di partiti consolidati nei decenni e la nascita di nuovi, come Rifondazione Comunista, i Verdi e la Lega Nord, sconvolgono la politica classica, basata sull’organizzazione partitica e i sempre più frequenti attentati di matrice mafiosa aprono una nuova stagione di emergenza. L’instabilità e soprattutto la comparsa di partiti nuovi estranei alle alleanza parlamentari classiche spingono tutti i partiti ad abbandonare il sistema proporzionale puro per invocare una nuova legge elettorale maggioritaria che dia stabilità al governo in carica.

Nel 1991 un referendum abrogativo su alcuni articoli della vecchia legge elettorale stabilisce di ridurre le preferenze espresse sulla scheda ad un unico nome per lista, aprendo di fatto la strada a un sistema uninominale (vince il candidato che ottiene più voti e non è più il partito a decidere a propria discrezione chi mandare in parlamento).

Di fronte alla crisi politica, il presidente della Repubblica Francesco Cossiga scioglie le Camere sperando che le urne riescano a delineare una situazione più stabile e meno ambigua. Le elezioni del 1992 determinano il crollo della Dc e del Pds (che perde una larga fetta di consensi a vantaggio di Rifondazione Comunista) e il calo del Psi a favore delle formazioni nuove come la Lega Nord, Rifondazione, i Verdi (partito ecologista di sinistra) e la Rete (una formazione schierata contro il sistema dei partiti). Davanti alla difficile situazione si dimettono sia Cossiga (dalla presidenza della Repubblica) che Andreotti (dalla presidenza del Consiglio dei Ministri), segnando di fatto la fine dell’egemonia democristiana. Al Quirinale viene eletto Oscar Luigi Scalfaro, democristiano moralmente inattaccabile.

Contemporaneamente, uno scandalo scuote il Paese. La magistratura milanese apre un’inchiesta sul finanziamento illecito ai partiti da parte di imprenditori e ditte private in cambio di appalti pubblici, sistema che in Italia è sempre stato diffusissimo. A ricevere finanziamenti illegali erano principalmente la Dc e il Psi, ma non soltanto: il vecchio Pci, fin dalla sua nascita, aveva costituito le “cooperative rosse”, ditte legate ai suoi dirigenti (di cui la più nota oggi è la Cmc di Ravenna) che nelle zone controllate dal Partito ottenevano sempre l’assegnamento di lavori pubblici grazie ad appalti senza gara. Con questo scandalo, ribattezzato dai giornali “Tangentopoli”, i finanziamenti silenziosi ai partiti prendono il nome di tangenti: pagare di nascosto i politici per averne favori in cambio, da sempre pratica usuale, taciuta e tollerata, da questo momento inizia ad essere considerato un crimine benché abbia sempre costituito la normalità italiana: gli imprenditori, che prima facevano la fila per pagare sindaci o consiglieri comunali in cambio di modifiche di piani regolatori o vantaggi negli appalti, ora si indignano per la corruzione di cui hanno sempre beneficiato quando non si chiamava così.

Il magistrato che più si scaglia contro i partiti nell’inchiesta, che porta il nome di “mani pulite”, è il pubblico ministero Antonio Di Pietro. Questo scaldalo finisce per travolgere definitivamente la credibilità dei vecchi partiti. 

In questo contesto, mentre si sta indagando sulla corruzione nei partiti e sui legami tra lo Stato e la mafia, il 23 maggio 1992 un attentato uccide il magistrato siciliano Giovanni Falcone, direttore delle inchieste antimafia, la magistrata Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Il 19 luglio dello stesso anno un altro attentato uccide Paolo Borsellino, che avrebbe dovuto sostituire Falcone, e cinque agenti: Agostino Catalano, Vincenzo Li Mui, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina e Emanuela Loi, prima donna a far parte di una scorta. Così la mafia impone la sua voce all’Italia e si mostra inespugnabile: le organizzazioni mafiose hanno sempre controllato la vita pubblica italiana e influenzato le decisioni. 

La strage di Capaci

Tangentopoli e la stragi mafiose segnano una cesura nella storia italiana. La fase che si apre a partire dal 1992 è stata giornalisticamente definita “la seconda Repubblica”. Questa definizione non è corretta, dal momento che tra la nuova fase e la precedente non è intervenuto alcun cambiamento dell’assetto istituzionale. In Francia, ad esempio, tra una Repubblica e l’altra c’è stato nei primi casi un periodo monarchico o imperiale o un’invasione straniera a interrompere la forma repubblicana dello Stato oppure (tra la IV e la V Repubblica) una decisiva modifica costituzionale tale da cambiare la struttura politica del Paese. Invece la crisi italiana dei primi anni Novanta non costituisce un cambiamento che giustifichi le definizioni di “prima” e “seconda Repubblica”.

Finita la credibilità di Bettino Craxi in seguito agli scandali per corruzione, Scalfaro affida il governo a Giuliano Amato (Psi).

Nel 1993 un referendum simile a quello del 1991 conferma il sistema maggioritario uninominale: in ogni circoscrizione elettorale vince la persona che ha ottenuto più voti indipendentemente dalla sua provenienza. Il sistema proporzionale (prende più seggi la lista che ha ottenuto più voti, poi sarà il partito a decidere quali candidati occuperanno quei seggi) invece non farebbe che lasciare intatto il potere organizzativo delle strutture di partito, la cui credibilità è ormai bruciata del tutto.

Insieme a quello sulla legge elettorale, un altro referendum abolisce il finanziamento statale ai partiti, ulteriore segno della loro delegittimazione. Nello stesso giorno, un terzo referendum, indetto del Partito Radicale (uno dei pochissimi partiti non toccati dalla corruzione) abolisce parte della legge repressiva 309 del 1990 in materia di droghe, nota come legge Jervolino-Vassalli, depenalizzando il consumo personale delle sostanze e distinguendo tra uso e spaccio (distinzione che sarà abolita nel 2006 con la legge Fini-Giovanardi). 

Le elezioni amministrative del 1993 confermano il crollo dei partiti tradizionali a vantaggio delle nuove formazioni, in particolare la Lega Nord. Nel frattempo il governo, passato nelle mani di Carlo Azeglio Ciampi (ex governatore della Banca d’Italia e quindi estraneo ai partiti), vara una nuova legge elettorale con sistema misto che è un compromesso piuttosto complicato tra le richieste di rinnovamento espresse dalla popolazione nei referendum e il bisogno dei partiti di mantenersi in vita. La legge prevede che i tre quarti del Parlamento siano eletti con il sistema uninominale maggioritario e il quarto restante con il sistema proporzionale puro. L’obiettivo della legge è quello di tornare alle urne il prima possibile. 

In vista delle elezioni tutti i partiti cambiano nomi e simboli. La Democrazia Cristiana si frantuma in quattro partiti minori; il Movimento Sociale Italiano guidato da Gianfranco Fini viene ribattezzato Alleanza Nazionale, rivendica la positività della figura di Benito Mussolini e di vari aspetti del ventennio fascista ma si dichiara non più antisemita; in seguito anche il Partito Democratico della Sinistra cambierà nome in Democratici di Sinistra (Ds) sotto la guida di Massimo D’Alema.

Il più grande elemento di sorpresa del nuovo scenario è la comparsa di una figura nuova. L’imprenditore milanese Silvio Berlusconi, proprietario di tre reti televisive (Mediaset), della più forte squadra di calcio del momento (il Milan), di una compagnia di assicurazioni (Fininvest), di una casa editrice (Mondadori) e della ditta edile che ha costruito alcuni quartieri a Milano (Milano Due), entra in politica con l’intento di evitare la vittoria del Pds. Berlusconi è popolare in quanto “si è fatto da sé”, è arrivato al successo economico da solo pur provenendo da una famiglia non agiata, non ha nessun legame con i partiti tradizionali e lancia slogan non “politici” in senso tradizionale ma da stadio, tanto che il suo movimento (negli anni Novanta la parola “partito” è ormai un dispregiativo quasi impronunciabile) si chiama Forza Italia.

Bettino Craxi e Silvio Berlusconi

Nel giro di pochi mesi Berlusconi riesce a formare una coalizione elettorale con la Lega Nord, Alleanza Nazionale e alcuni pezzi della vecchia Democrazia Cristiana, conquistando di fatto il ruolo di nuova guida del centrodestra. Il suo successo è dovuto non solo alla televisione ma soprattutto al presentarsi come l’unico in grado di spazzare via la vecchia classe dirigente incapace e corrotta. 

Le elezioni del 1994 segnano il trionfo della coalizione berlusconiana, dopo una campagna elettorale portata avanti sbandierando lo spauracchio del comunismo, che ormai non esiste più neanche in Russia. Berlusconi si scaglia contro «il malgoverno delle sinistre» e contro «l’eccessivo potere della magistratura», dato che da imprenditore è stato accusato di falso in bilancio. La sua prima legge da governante è proprio la depenalizzazione del falso in bilancio stesso, in maniera da non essere perseguibile per questo reato. Nella formazione del nuovo governo, il presidente della Repubblica Scalfaro impedisce a Berlusconi di nominare Cesare Previti, condannato più volte per corruzione, alla carica di ministro della Giustizia. 

Un’aberrante distorsione applicata da Berlusconi consiste nell’impostare la propaganda politica (sia in campagna elettorale che durante la legislatura) non sull’operato del governo quanto sulla propria personalità, tanto da mettere il proprio cognome come simbolo della lista elettorale e presentare la propria candidatura come presidente del consiglio dei Ministri, carica che invece secondo la Costituzione non è eletta direttamente dalla popolazione ma dal parlamento dopo le elezioni. 

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Articolo di Andrea Zennaro

Andrea Zennaro, laureato in Filosofia politica e appassionato di Storia, è attualmente fotografo e artista di strada. Scrive per passione e pubblica con frequenza su testate giornalistiche online legate al mondo femminista e anticapitalista.

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