Quando, nel 1950 e dopo sette anni dall’inizio, Charley Toorop completa finalmente il grande dipinto Tre generazioni, ha quasi sessant’anni e ha già avuto tre successivi ictus che ne hanno frenato l’attività, ma non la volontà. Il quadro iniziato tempo prima diventa così quasi un testamento, un passaggio del testimone tra lei e il figlio Edgar, anch’egli pittore. In quest’opera sono importanti le presenze, ma contano anche le assenze.

È presente suo padre, Jan Toorop, noto pittore olandese tra Simbolismo, Neoimpressionismo e Art Nouveau, morto ormai da molti anni, ma incombente attraverso il grande ritratto bronzeo che gli aveva realizzato lo scultore e amico John Rädecker.
Lei è al centro, in atto di dipingere; per raffigurare la mano che impugna il pennello, sempre difficile per i pittori da rendere guardandosi allo specchio come è necessario fare per gli Autoritratti, si è ricordata di una foto scattatale anni prima dalla brava fotografa Eva Besnyö, per qualche tempo sua nuora avendo sposato l’altro figlio, John.
Edgar accetta di posare, anche se riluttante perché spesso in tensione con lei, forse proprio in considerazione delle non buone condizioni di salute della madre.

L’idea del dipinto era nata probabilmente da una mostra del 1937, quando una galleria dell’Aja aveva esposto opere dei tre artisti nelle sue sale proprio con quel titolo: Tre generazioni. A proposito di assenze, nell’opera citata non compare certo la madre, Annie Hall Toorop, che pure è stata indubbiamente la persona che più si è presa cura di lei bambina e adolescente, ma trascinandola in un turbine di viaggi, di cambiamenti continui, di regole da rispettare. Il matrimonio tra i genitori era infatti entrato presto in crisi.
Charley, in realtà Annie Caroline Pontifex Toorop, era nata nel 1891 a Katwijk, sul Mare del Nord, dove l’architetto Hendrik Berlage aveva costruito per loro “De Schuur” una bella casa modernista con studio annesso, perché Jan Toorop potesse lavorare ai grandi pannelli in ceramica che hanno poi ornato la Borsa di Amsterdam, opera dello stesso Berlage. La casa era luogo di ritrovo di un’ampia cerchia di conoscenti e amici artisti e intellettuali. Jan amava la bambina e l’ha spesso presa a modello per sue immagini, sia private che pubbliche.
Nel 1902, però, la madre lascia il marito e porta la piccola in Inghilterra, dai propri genitori; si converte al cattolicesimo e inizia a far prendere a Charley, che sembra dotata di indubbio talento, lezioni di violino dai maggiori maestri; seguono quindi viaggi in Germania e a Parigi.
Pur di non perdere l’amata figlia, Jan nel 1905 accetta di farla battezzare e si converte lui pure; la famiglia così si riunisce e Charley può riprendere a frequentare lo studio del padre, che le dà i primi rudimenti nel campo della pittura. Nonostante i tanti amici (tra questi anche il grande violoncellista Pablo Casals) elogino i progressi di Charley in campo musicale, sia come violinista che come cantante di musica da camera, lei — forse proprio per le eccessive aspettative — arriva a un punto di stress tale da sviluppare un totale rifiuto della musica e del canto, interrompendo bruscamente entrambi gli studi.
È allora che nasce in lei l’idea di diventare pittrice: l’esercizio quasi ludico col padre diventa impegno quotidiano, ma non vuole seguire corsi specifici, se non il suo estro e gli stimoli che gli amici di famiglia o le mostre olandesi dell’epoca possono fornirle. Tra i frequenti invitati nella loro casa di Amsterdam o nelle vacanze estive a Domburg c’è il giovane Piet Mondriaan (come allora si chiamava), ancora pittore figurativo in cerca di una propria purezza espressiva, anche attraverso gli studi teosofici.
Quando i genitori, nel 1909, traslocano da Amsterdam a Nijmegen, Charley è riluttante a lasciare il fervido clima culturale della capitale, anche perché vi ha conosciuto un giovane studente di filosofia, ateo e vicino ai circoli anarchici, Henk Fernhout, di cui s’innamora. La famiglia è contraria a tale relazione, prova a opporsi. Lei, allora, nel 1911, lascia la casa paterna per tornare ad Amsterdam e resta incinta; di fronte a ciò, i genitori cedono e accettano il matrimonio. Nel 1912 nasce Edgar, seguito — l’anno successivo — da John; ultima, nel 1916, nascerà Annie, quando ormai la nuova coppia è già in piena crisi. Charley ha scoperto troppo tardi che Henk ha problemi forti di alcolismo, soffre di crisi depressive e ha attacchi di paranoia per i quali deve essere internato per lunghi periodi; inoltre, non accetta che lei dia la priorità alla propria arte, cui si dedica con costanza e dedizione.
Nel 1917 c’è quindi la definitiva separazione, ma è anche l’anno della prima mostra personale, a Utrecht. Charley e i bambini vanno a stare nella fattoria di Meerhuizen, sul Noordhollandse Schoorl, risistemata di recente proprio per accogliere artisti, tra cui varie donne (vi si era tenuta pochi anni prima la mostra: “The Woman: 1813-1913”). Qui conosce lo scultore John Rädecker, citato prima, il poeta Piet Wiegman e altri. Si accosta anche alla “Scuola di Bergen”, che ruota intorno al pittore cubista francese Henri Le Fauconnier e all’olandese Piet van Wijngaerdt e pubblica le proprie teorie sulla rivista Het Signaal.
I suoi amici pittori hanno in comune l’uso di colori scuri, contorni molto netti e marcati, superfici semplificate. Charley ha una relazione col poeta Adriaan Roland Holst, presto troncata, pur mantenendo l’amicizia per sempre, perché la sua priorità è ormai nettamente l’attività artistica. Anche i bambini, forse per non soffocarli come aveva fatto con lei la madre, vengono affidati alle cure di una governante e lei sembra accorgersene solo quando li fa posare, come il padre faceva con lei. Jan, intanto, preoccupato della loro precaria condizione, si è incaricato di far loro costruire una bella casa a Beurweg, vicino a Bergen, dal bravo architetto Piet Kramer, “De Vlerken”.
Mentre la residenza è ancora in costruzione, la pittrice compie un viaggio nella povera regione del Borinage, dove aveva vissuto Van Gogh, pittore del cui periodo olandese sente l’influsso in questi anni. Lasciata la piccola alla governante, va con i figli maschi a Parigi, dove ritrova Mondrian e Le Fauconnier e tiene una personale alla galleria “La Licorne”.
Dal 1921 la famigliola si installa nella nuova casa-studio, dove, a intermittenza, Charley resterà a vivere fino alla morte. Dal 1924 inizia a trascorrere le estati a West Kapelle, vicino a Walcheren, dove sceglie spesso contadini e donne lavoratrici del luogo come soggetto per i suoi dipinti. Sono gli anni più ricchi di incontri e prolifici della sua attività.

Ad Amsterdam, è tra i fondatori della Film Liga e in questa occasione conosce Joris Ivens, regista innovatore che sarà fondamentale per la formazione di suo figlio John; si avvicina agli ambienti anarchici, fonda con altri l’Asb, un’associazione di artisti che si prefigge ruoli innovativi e di sostegno reciproco. Nel 1928 muore Jan, l’amato padre. Charley inizia una relazione con Arthur Mueller Lehning, fondatore della rivista d’avanguardia i 10 e con lui si trasferisce a Ginevra; i figli, però, non accettano più di seguirla: Edgar è ormai indipendente, John viene accolto da Joris Ivens, imparando da lui il mestiere di direttore delle riprese, montaggio, ecc.; la piccola Annie finisce in collegio. Charley è poi di nuovo a Parigi, dove Edgar la raggiunge, ormai deciso a divenire anche lui pittore.
Influenzata inizialmente dal simbolismo paterno, ma anche dal diffondersi delle teorie teosofiche, il suo stile resterà sempre figurativo, ma solo in parte realistico. A Parigi aveva visto, restandone molto colpita, alcuni ritratti provenienti dalla necropoli egizia di El Faiyum; quei volti frontali, dallo sguardo diretto verso chi osserva, li ritroviamo mutatis mutandis in molti suoi ritratti, con visi che magari non rispettano correttamente le proporzioni reali, ma sembra vogliano parlarci con forza di sé stessi. Su tale frontalità ebbe influsso anche il contatto col cinema espressionista, come se singole lampade illuminassero ogni personaggio, quasi attore o attrice in un set. Era invece insofferente nei confronti della “Nuova oggettività” tedesca che considerava poco più che mera decorazione.
Gli anni Trenta, fallito anche il legame con Lehning, la vedono tornare a Bergen e, come faceva il padre tanti anni prima, circondarsi lì degli amici più cari: ai soliti si sono aggiunti l’architetto e designer Gerrit Rietveld, che le risistema l’interno della casa, e le nuore, Rachel Pellecaan (pittrice che ha sposato Edgar) e Eva Besnyö, giovane e innovativa fotografa ebrea ungherese che lei aiuta a inserirsi nei circoli artistici olandesi. Sono anni non facili, segnati dalla depressione economica, ma Charley ha ormai un nucleo di collezionisti ed estimatori col cui sostegno riesce a organizzare mostre anche a Bruxelles, mentre nel ’38 partecipa alla Biennale di Venezia.

Da sinistra a destra: Edgar e Rachel Pellacaan, la famiglia Raedeker, Annie, Wim Oepts, A. Roland Holst. Charley,
John e Eva Besnyo
Quando, allo scoppio della guerra, l’Olanda viene subito invasa dai nazisti e si instaura un governo collaborazionista, sia lei che Edgar rifiutano di iscriversi alla Kultuurkammer, filiazione del potere nazista, e non possono quindi esporre, mentre Eva, ebrea, deve entrare in clandestinità, collaborando con la Resistenza per le foto da apporre sui documenti falsi degli ebrei in fuga. Devono tutti lasciare la casa, perché la zona viene dichiarata di interesse militare.

Dopo la guerra si accosta sempre di più alle idee comuniste e nel 1947 diventa membro del Partito comunista dei Paesi Bassi.
Iniziano, però, anche gravi problemi di salute: una serie di lievi ictus che lasciano qualche strascico fisico. Nel 1951 il museo dell’Aja festeggia i suoi sessant’anni con una mostra retrospettiva nella quale viene esposto anche Tre generazioni, da cui ha preso le mosse questo excursus biografico. Nello stesso anno, la mostra si sposta a New York, alle Hammer Galleries.
Ormai, però, l’artista non riesce quasi più a lavorare, se non a poche Nature morte.
Nell’estate del 1955 fa visita a John, che si trova a Roma, e per un’ultima volta trascorre l’estate con Edgar a Westkapelle. Muore il 5 novembre 1955.
Un monumento è stato eretto per lei a Westkapelle nel 2013. Nel 2017, il comune di Amsterdam ha assegnato il suo nome a uno dei ponti della città.
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Articolo di Luisa Nattero

Già docente di Storia dell’arte presso il Liceo Artistico Statale “Klee Barabino” di Genova.
Recente pensionata, ora collabora a un manuale scolastico in corso di revisione e si occupa di personalità artistiche femminili nel tempo.